Le cose rotte si possono riparare è la loro riparazione ad impreziosirle, rendendole uniche . |
Da un paio di anni giro intorno all'argomento sul riparare. Riparare oggetti, strumenti, parti di se stessi, anche da soli.
Il punto di partenza è l'esser cresciuto con un padre in grado di riparare la qualsiasi e renderla migliore dell'originale. Più bella, funzionale, resistente e quella disomogeneità della riparazione un elemento di abbellimento. Pure Io ho iniziato a riparare; cose, oggetti, strumenti, persone, me stesso.
Il punto di partenza è avere “tutti” (o quasi) i pezzi, per poi incollarli, assemblarli e sistemarli, trovandone il verso. A volte i pezzi non ci sono e per riparare devi riempire. A volte non c'è bisogno di avere tutti i pezzi, si inizia e mano a mano che si trovano, si aggiungono all'opera.
Quando vedevo i vasi di epoca greco – romana, dove mancavano i pezzi e venivano riempiti con malta o altro materiale di riempimento, la cosa non mi piaceva. La detestavo, la odiavo, a rigor del vero mancavano pezzi e la cosa non era giusta!
Poi mi trovai Io, dopo l'ennesimo attacco psicotico ed andato giù in pezzi, a recuperare i mille frammenti, ri-assemblarli, ricomporli, da solo, senza aiuto esterno, sia esso genitoriale, terapeutico, amicale o di conoscenti.
Dura, davvero. Con l'aggravante di una “scassacazzo” che frequentava il blog per farsi prima i fatti miei, poi rosicare, grattare pezzi del nostro passato comune e poter così capire come muoversi di conseguenza e tornare all'attacco. Ma questa è un'altra storia.
A volte si va in pezzi quando meno te lo aspetti e ce ne vuole per recuperarli.
Bergamo, poggio del parco Redona. Vado in pezzi un Venerdì 18, di un solare Ottobre del 2013. Passano 395 giorni e riesco a tornarci di lunedì 17, in un piovosissimo Novembre del 14. Alle spalle ho tanti giorni di calvario, di recupero pezzi, Taormina, Casa, Milazzo, Capo, Marinello e chi più ne ha, più ne metta.
Per motivi di distanza ed economici Bergamo è rimasta l'ultima “campagna scavi”. Restano altri pezzi da recuperare, però quelli non sono più da Solo, sono in due.
Faccio una lista di luoghi da visitare, tocco diversi punti su dove andare a recuperare frammenti, ma non riuscirò a raggiungerli “tutti”. Mi rendo conto che fisicamente non posso andare ovunque; devo scegliere, escogitare un piano per non passare due volte dallo stesso posto, adattare alla giornata trovata ed al tempo a disposizione, non far saltare la mia copertura perché voglia di esser notato e vedere non ne ho, tante cose da far quadrare e scegliere sul da fare.
Alcuni pezzi sono stati abbandonati lì per scelta e forze di causa maggiore, l'idea di ritornare in alcuni posti non mi aggrada molto, ma dove posso passare e recuperare, lo faccio, recupero pezzi e metto da parte.
Arrivato ad una massa critica, tra luoghi rivisitati, gesti, pensieri, memorie, modi di fare e pensare, inizio la lenta opera di ricomposizione, che ancora oggi procede.
Con cosa ri-assemblo e riparo? Mi viene in mente del ”oro”, oro interiore. Ma cos'è? Inizio con quel poco di oro che mi era rimasto da parte e non avevo usato con Rossana, lì si apre un baratro. Perchè proprio “oro”? Perchè questo materiale si associa a regalarlo ad una persona preziosa a Te vicina.
Ricordo il primo ciondolo d'oro regalato: Antonella. Un ciondolo d'oro con delfino, con Lei che neanche mi voleva vedere per l'anniversario. Quando uscii il regalo per l'evento e fu aperto, vidi disegnato sul volto la cupidigia. La cosa mi rimase infissa nella mente e da quel momento iniziai ad odiare i gioielli. Feci dei bei sacrifici per poterle regalare quel pensiero.
Mi fermo. Vado a cercare Lorenzo Cherubini, anche Lui ha cantato di “oro”, ne “Tutto l'amore che ho”:
Il punto di partenza è l'esser cresciuto con un padre in grado di riparare la qualsiasi e renderla migliore dell'originale. Più bella, funzionale, resistente e quella disomogeneità della riparazione un elemento di abbellimento. Pure Io ho iniziato a riparare; cose, oggetti, strumenti, persone, me stesso.
Il punto di partenza è avere “tutti” (o quasi) i pezzi, per poi incollarli, assemblarli e sistemarli, trovandone il verso. A volte i pezzi non ci sono e per riparare devi riempire. A volte non c'è bisogno di avere tutti i pezzi, si inizia e mano a mano che si trovano, si aggiungono all'opera.
Quando vedevo i vasi di epoca greco – romana, dove mancavano i pezzi e venivano riempiti con malta o altro materiale di riempimento, la cosa non mi piaceva. La detestavo, la odiavo, a rigor del vero mancavano pezzi e la cosa non era giusta!
Poi mi trovai Io, dopo l'ennesimo attacco psicotico ed andato giù in pezzi, a recuperare i mille frammenti, ri-assemblarli, ricomporli, da solo, senza aiuto esterno, sia esso genitoriale, terapeutico, amicale o di conoscenti.
Dura, davvero. Con l'aggravante di una “scassacazzo” che frequentava il blog per farsi prima i fatti miei, poi rosicare, grattare pezzi del nostro passato comune e poter così capire come muoversi di conseguenza e tornare all'attacco. Ma questa è un'altra storia.
A volte si va in pezzi quando meno te lo aspetti e ce ne vuole per recuperarli.
Bergamo, poggio del parco Redona. Vado in pezzi un Venerdì 18, di un solare Ottobre del 2013. Passano 395 giorni e riesco a tornarci di lunedì 17, in un piovosissimo Novembre del 14. Alle spalle ho tanti giorni di calvario, di recupero pezzi, Taormina, Casa, Milazzo, Capo, Marinello e chi più ne ha, più ne metta.
Per motivi di distanza ed economici Bergamo è rimasta l'ultima “campagna scavi”. Restano altri pezzi da recuperare, però quelli non sono più da Solo, sono in due.
Faccio una lista di luoghi da visitare, tocco diversi punti su dove andare a recuperare frammenti, ma non riuscirò a raggiungerli “tutti”. Mi rendo conto che fisicamente non posso andare ovunque; devo scegliere, escogitare un piano per non passare due volte dallo stesso posto, adattare alla giornata trovata ed al tempo a disposizione, non far saltare la mia copertura perché voglia di esser notato e vedere non ne ho, tante cose da far quadrare e scegliere sul da fare.
Alcuni pezzi sono stati abbandonati lì per scelta e forze di causa maggiore, l'idea di ritornare in alcuni posti non mi aggrada molto, ma dove posso passare e recuperare, lo faccio, recupero pezzi e metto da parte.
Arrivato ad una massa critica, tra luoghi rivisitati, gesti, pensieri, memorie, modi di fare e pensare, inizio la lenta opera di ricomposizione, che ancora oggi procede.
Con cosa ri-assemblo e riparo? Mi viene in mente del ”oro”, oro interiore. Ma cos'è? Inizio con quel poco di oro che mi era rimasto da parte e non avevo usato con Rossana, lì si apre un baratro. Perchè proprio “oro”? Perchè questo materiale si associa a regalarlo ad una persona preziosa a Te vicina.
Ricordo il primo ciondolo d'oro regalato: Antonella. Un ciondolo d'oro con delfino, con Lei che neanche mi voleva vedere per l'anniversario. Quando uscii il regalo per l'evento e fu aperto, vidi disegnato sul volto la cupidigia. La cosa mi rimase infissa nella mente e da quel momento iniziai ad odiare i gioielli. Feci dei bei sacrifici per poterle regalare quel pensiero.
Mi fermo. Vado a cercare Lorenzo Cherubini, anche Lui ha cantato di “oro”, ne “Tutto l'amore che ho”:
Considerando che l'amore non ha prezzo, sono disposto a tutto per averne un po.
Considerando che l'amore non ha prezzo, lo pagherò offrendo tutto tutto l'amore che ho.
Considerando che l'amore non ha prezzo, lo pagherò offrendo tutto tutto l'amore che ho.
Sembra un controsenso, ma l'amore impiegato per riparare me stesso, con quell' ”oro”, lo misi in campo per riparare Rossana. Rossana fu disposta a far di tutto per averne un po, anche le peggiori porcate e meschinerie, Io dall'altra parte nell'illusione del ricevere il suo “amore/oro”, lo pagai con tutto l'amore che avevo.
Amore bello, caldo, vivo, fatto di casa, di mia madre, di mio padre, di mio nonno, di mia nonna, siano essi siculi o toscani. Di nonno che viene a prendermi all'asilo, notti di Natale, di Capodanno speranzoso, di amore fatto per la prima volta. Di fiori, di pensieri, di speranze, di opportunità, di voglia di vivere, di spazio per l'altra persona, di voglia di stare assieme, di tempo donato, di ascolto, di assorbire e far mia tutta la merda che l'altra persona stava mandando, di far mie le sue sofferenze ed andare avanti assieme, di piangersi assieme gli altrui lutti: storie non seppellite, bambini abortiti, balli mai finiti. La voglia di condividere un pensiero, una speranza, uno scorcio dell'altro inaspettato da chi ascolta e detto con garbo, un fiore, uno scritto, una lettera, un messaggio, una telefonata, uno sperare che ci rivedremo, un far l'amore lasciandosi andare fino ad essere inerme nelle altrui mani come un gattino. Un fare sesso senza limiti e se c'è da aprire la porta ad una nuova vita che ben venga. Un sussurrare “Ti amo” nel cuore della notte, una mano che ti cerca, un sorriso donato, una mano stretta, un abbraccio all'improvviso, una girata in bici sotto il sole, un faccio Io/non ti preoccupare, un fiore regalato senza aspettarlo, una pensiero dolce per mitigare i pensieri cattivi, un scusa, un non arrabbiarti, un lottare contro la mia rabbia per non uccider la nostra storia, un farmi vedere con le lacrime, indifeso ed atterrato, l'amore che mi donò Ramona e che custodivo gelosamente con quel “Giò”, mai più usato e mai più tirato fuori, un guardarti con gli occhi di Ramona un.. un .. Un .. Un tutto questo ed altro. E questo “amoreoro” glielo donai, lo usai per ripararla, per mitigare dove aveva dolore. Cinicamente Lo prese, si ri – assemblò, impreziosita, pulita, sistemata, disintossicata, se ne andò via, senza scordarsi di rubare fino all'ultimo e senza ritegno. Finito, mi buttò in un angolo, come si buttano i ferrivecchi, i ferri esauriti. Disposta a far di tutto per averne un po.
Bella e pulita, come un vaso riparato dal Kintsugi, andasti ad addobbar la vita altrui, prendendo tutto quello che c'era da prendere da Me ed entrando nella vita di un altro.
Mi ritrovai “derubato/svuotato” e dovetti mettermi a ricomporre la mia di vita con quel poco di amoreoro rimastomi. Fortunatamente abbastanza.
Capii tutto questo quando provai a recuperare una parte di Me da Alessia, quella parte dolorante che ho messo in gioco con Francesca, Antonella, Rosy, Anna, Rossana. Rossana per disperazione se ne cibo famelicamente, da povera morta di fame. Alessia vuoi per la distanza e la sua impossibilità a viversi una storia in lontananza non potè cibarsene, da zombie, da carne ormai putrida, fradicia che si avventa su carne viva per riprender forze. In quella storia capì qualcosa che ora stà emergendo e a poco a poco e stò ragionandoci su.
Ma questa è un'altra storia.
Amore bello, caldo, vivo, fatto di casa, di mia madre, di mio padre, di mio nonno, di mia nonna, siano essi siculi o toscani. Di nonno che viene a prendermi all'asilo, notti di Natale, di Capodanno speranzoso, di amore fatto per la prima volta. Di fiori, di pensieri, di speranze, di opportunità, di voglia di vivere, di spazio per l'altra persona, di voglia di stare assieme, di tempo donato, di ascolto, di assorbire e far mia tutta la merda che l'altra persona stava mandando, di far mie le sue sofferenze ed andare avanti assieme, di piangersi assieme gli altrui lutti: storie non seppellite, bambini abortiti, balli mai finiti. La voglia di condividere un pensiero, una speranza, uno scorcio dell'altro inaspettato da chi ascolta e detto con garbo, un fiore, uno scritto, una lettera, un messaggio, una telefonata, uno sperare che ci rivedremo, un far l'amore lasciandosi andare fino ad essere inerme nelle altrui mani come un gattino. Un fare sesso senza limiti e se c'è da aprire la porta ad una nuova vita che ben venga. Un sussurrare “Ti amo” nel cuore della notte, una mano che ti cerca, un sorriso donato, una mano stretta, un abbraccio all'improvviso, una girata in bici sotto il sole, un faccio Io/non ti preoccupare, un fiore regalato senza aspettarlo, una pensiero dolce per mitigare i pensieri cattivi, un scusa, un non arrabbiarti, un lottare contro la mia rabbia per non uccider la nostra storia, un farmi vedere con le lacrime, indifeso ed atterrato, l'amore che mi donò Ramona e che custodivo gelosamente con quel “Giò”, mai più usato e mai più tirato fuori, un guardarti con gli occhi di Ramona un.. un .. Un .. Un tutto questo ed altro. E questo “amoreoro” glielo donai, lo usai per ripararla, per mitigare dove aveva dolore. Cinicamente Lo prese, si ri – assemblò, impreziosita, pulita, sistemata, disintossicata, se ne andò via, senza scordarsi di rubare fino all'ultimo e senza ritegno. Finito, mi buttò in un angolo, come si buttano i ferrivecchi, i ferri esauriti. Disposta a far di tutto per averne un po.
Bella e pulita, come un vaso riparato dal Kintsugi, andasti ad addobbar la vita altrui, prendendo tutto quello che c'era da prendere da Me ed entrando nella vita di un altro.
Mi ritrovai “derubato/svuotato” e dovetti mettermi a ricomporre la mia di vita con quel poco di amoreoro rimastomi. Fortunatamente abbastanza.
Capii tutto questo quando provai a recuperare una parte di Me da Alessia, quella parte dolorante che ho messo in gioco con Francesca, Antonella, Rosy, Anna, Rossana. Rossana per disperazione se ne cibo famelicamente, da povera morta di fame. Alessia vuoi per la distanza e la sua impossibilità a viversi una storia in lontananza non potè cibarsene, da zombie, da carne ormai putrida, fradicia che si avventa su carne viva per riprender forze. In quella storia capì qualcosa che ora stà emergendo e a poco a poco e stò ragionandoci su.
Ma questa è un'altra storia.