giovedì 4 marzo 2010

Burn out .

Sballato al PC con Island Paradise.

Ormai sono quasi 2 settimane che sono fuori, dalla stanchezza, dal mal di testa, dai pensieri, dalle passioni, dalle voglie, dalla progettazione, dalla memoria, dall'ascoltare, dagli amici, dalle persone care, dallo studio, dagli impegni, dai pensieri, dall'idea di muovermi, di far sport, dal darmi degli obiettivi, dal darmi una regolata con il peso, dal cercare le persone care, dal ridere, dall'essere spensierato.
Ho avuto alcuni momenti di tregua come il Sabato pomeriggio, trascorso in campagna con i miei cari, ma non ce l'ho fatta a recuperare.
Domenica scorsa il convegno a Pergusa, bella esperienza ma massacranti sono state le 6 ore di autostrada; meno male che Federico mi ha suggerito la strada da prendere. Situazioni assurde durante l'assemblea e dopo.Fortuna di aver visto Alessandra per un po.
Nel pomeriggio assieme a Cettina siamo andati al lago di Pergusa, bel momento fatto di risate, bel panorama, ma strane situazioni e discorsi, poco chiari, di colei che si butta nei problemi altrui per scordarsi i propri.
Oggi burn out: ho toccato il fondo con una sfuriata per un volantino, troppo giù. Ma ora si può solo risalire. Speriamo..

L'immagine appartiene al rispettivo proprietario.

Villa Dante .

A Messina.

Leggevo Macno di Andrea De Carlo, quando una tra le tante frasi/periodi mi ha particolarmente colpito, la riporto:

“Andavo a correre nel parco per ore di seguito, per dimenticare il cibo e i milioni di parole a vuoto e lo schifo di vivere in questa città” .

Mi ha riportato indietro di oltre un lustro, a Messina. Quando per scaricare la tensione accumulata al policlinico, tra banchi, con colleghi, conoscenti, professori, chi mi era accanto, sui libri, per le strade di una città (che reputavo e reputo alla stregua di un cesso pubblico), la sera me ne andavo per le 19 a correre a Villa Dante. Memore di una Milazzo dove trovavi e trovi per quell'ora persone in giro, mi misi a correre.
Corri e corri, la tensione non si smaltiva. Continuavo a correre fino a quando mi accorsi che per la Villa non c'era più nessuno. Il parco è in pieno centro, ma scesa la notte ha un aspetto lugubre. Decisi di continuare a correre a più non posso, dato che ero in evidente aumento di peso e qualcosa pur dovevo fare.
Stremato dalla corsa, me ne andai a fare il salto con la corda. Scelsi una pavimentazione di mattonelle realizzata sotto un grande albero (simile a quelli della marina Garibaldi), nei pressi di un piccolo stabile dove di giorno i pensionati giocano a carte.
Iniziai a saltare. 10, 20, 30, 50, 100, 200 salti, sentivo il cuore impazzire. Volevo fare una serie perfetta di 50 salti ma non ci riuscivo. Arrivato a quota 48 inciampavo sul filo, sbagliavo e ricominciavo daccapo.
Più andavo avanti e più iniziavo ad inciampare sempre prima: a 40, a 30, a 20 salti. Quando arrivai ad inciampare a 20, raccolsi tutte le mie strenue forze e ricominciai. Detti un ultimo strenuo “colpo di reni” e riprovai nuovamente.
Arrivato a quota 15, un dolore lacerante e tagliente mi trapassò da parte a parte il petto. Mi mancò il fiato e mi accascia per terra. Al freddo e al gelo, in un parco abbandonata in un cesso di città, senza nessuno intorno, nessuno a casa che mi aspettasse (ero solo), senza un parente prossimo a cui dire: Aiuto! Raccolsi le mie forze, il fiato cortissimo come se avessi potuto morire da un momento all'altro tirandolo troppo, raccolsi le cose e tornai a casa.
Mi lavai e me ne andai a letto, non facendo menzione a nessuno di quello che mi era successo: Quella sera nessuno mi avrebbe cercato o telefonato. Tanto vale non disturbare nessuno, a chi avrebbe potuto interessare?
Il mese successivo andai a visita cardiologica all'ospedale di Milazzo tramite l'AVIS di Milazzo.
Il dottore mi rassicurò circa i fatti, ma dentro di me morii.