giovedì 3 dicembre 2009

Arcobaleno .

E mettiamoci pure questo .

E' nell'aria, sospesa tra le nuvole nell'etereo blu ed i folletti pacioccosi che allegramente salgono e scivolano sul suo dorso. Ride sempre, di un sorriso ebete, sembra quasi mostrare il lato buono dell'umano, ma se guardi la maschera, noti un costrutto di falsità che la avvolge. Meglio non smuoverla quella maschera, quello che c'è dietro fa paura .

Sii prudente dalle deduzioni tratte da ciò che leggi: ciò che pensi potrebbe non essere ciò che chi ha scritto ha inteso.

martedì 1 dicembre 2009

Lupo .

A poco a poco arriva al gregge.
Da lontano sembra una macchia, non ci fai caso e tiri per la tua strada. Man mano che ti avvicini ne percepisci i connotati ed il tanfo, fumo misto a troppo alcool bevuto per tirarsi su. Lo osservi e lui ti osserva, vi studiate perché entrambi capite che siete 2 predatori.
Te ne accorgi del suo status dagli sguardi languidi sulla preda, dal giocherellarci di continuo appena l'occasione si presenta, contatti, abbracci alla minima occasione, con mani che sfiorano i perimetri di zone corporee riservate. Voglia di complicità con la preda, ricerca costante di lei. Ha accanto un'altra preda, ma non la caca di striscio, si vede lontano un miglio che è un ripiegamento dato che il boccone principale che gli interessava non l'ha potuto avere.
A poco a poco si è studiato tutti i componenti del branco, uno ad uno, per capire cosa poter fare. Ha cercato i punti deboli e su di essi ha giocato la sua partita. Sul finto capobranco maschio affonda sul suo vizio del bere per metterlo KO (salvato in extremis dalla compagna), sulla femmina alfa sa che è compiacente ad ogni cosa, quella che gli sta accanto sa che ha una funzione finché è accanto a lui se no non conterebbe nulla, la preda più piccola gli fa venire la bava alla bocca e si vede. Sa che chi affianca la sua preda è innocuo, permettendogli di giocare in pubblico fino ad un certo punto, poi sa di non potersi spinger oltre. Sa che nel giocare a camminare lungo il perimetro del recinto in cui c'è il branco può farsi vedere ed intendersi dalla reale preda voluta . 
Ti colpisce come possa fare il tuo compagno di viaggio a sopportare che il lupo possa giocare con la sua lei, resti dubbioso.
Io avrei cominciato a mandare bave schiumanti di rabbia, miste a ringhi con occhi fissi, la mia donna non la condivido con nessuno, tanto meno ci faccio giocare gli altri. Ma questo è un altro discorso.

Sii prudente dalle deduzioni tratte da ciò che leggi: ciò che pensi potrebbe non essere ciò che chi ha scritto ha inteso. 

Obiettivo .

Centrato.

Sabato 28 esco con un amico a fare 4 passi per il Capo di Milazzo. Scherzi, risate e tante idee messe a confronto. Nonché racconti di esperienze vissute. Parliamo degli ultimi eventi accadutici, lui con prossimi progetti, io con esperienze realizzate, di cui una delle ultime condivisa con lui.
Racconto l'atipicità dell'evento, di come sia stato improvviso e senza alcun preavviso, le difficoltà nel realizzarlo, fatto di discussioni, appuntamenti, piccoli passi, momenti in cui si era molto presi dal realizzarlo, la carica e la voglia di riuscirci.
Finalmente l'obiettivo viene centrato, le condizioni ci sono tutte, si realizza grazie alla disponibilità delle parti ed il risultato è nostro. Sembrerebbe aprirsi una bella pagina, ma invece si chiude subito e per intero il cantiere aperto.
La chiusura improvvisa è stata la fase successiva che mi ha sorpreso, dove una volta raggiunto l'obiettivo ognuno per la propria strada. Ci sono restato male e l'ho condiviso con il mio amico.
Chi mi era accanto mi faceva notare che anche se si è centrato l'obiettivo una volta, non è detto che si debba centrare anche altre volte ( cosa che avrei gradito ), l'importante è esser riusciti a raggiungere un punto reale e concreto.
Forse dovrei riformulare il mio modo di ragionare in funzione degli obiettivi raggiunti, ed una volta arrivatici lasciarli scorrere via, per dedicarsi ad altro, piuttosto che concentrarmi sul ri-centramento del medesimo obiettivo nel tempo.
Esploratore o Stanziale ? Bel dilemma. 

lunedì 30 novembre 2009

Politica del silenzio .

Quando ci vuole, è una buona risposta .

La politica della scelta del silenzio nasce da una serie di premesse: Comunicazioni incostanti, dubbiose ed incerte. Si chiede a chi è dall'altra parte cosa si ha, magari come va e le risposte non arrivano. Vengono omesse o non date, e ad un modo di relazionarsi umano si risponde in maniera anonima, deviante, senza chiarezza, gelida.
Magari dall'altra parte si riconosce che ci si comporta male e lo si viene a dire ( per fortuna ) a distanza, magari per mettere una pezza da qualche parte . Ma dove? Il Silenzio passa, taglia e pulisce i rapporti umani, sotterrandoli e tumulandoli.
Troppe illusioni su ciò che si poteva fare, scontratisi con il poco che si è fatto. Domande cadute nel vuoto, perché una volta innalzate tra una persona e l'altra non hanno trovato sull'altra  sponda la risposta su cui reggersi.

Post Numero....

E vai con il prossimo.

Traguardo segnato dall'isola di Melee, dopo i 2 anni, il post numero 100, 200 ed il 500, ora arriva quota 800. Tanti gli scaffali che si sono via – via aperti nell'isola , vari gli argomenti trattati ed affrontati, tantissimi i cybernauti transitati da questi lidi, tanto che ho perso il conto, molti i complimenti e le critiche mosse a quest'opera.
L'ultimo complimento è arrivato da un mio caro amico: Tommaso. In riferimento all'isola di Melee diceva che non è un visione parziale della mia persona, dove trovarvi solo le cose splendenti e belle, ma vi trovi tutto di me, in tutto e per tutto.
Sono contento che almeno una volta ogni tanto questo mare di internet porti qualcosa di buono sulle sponde dell'isola e non cose strane .

domenica 29 novembre 2009

Il soldato Ivan .



Di seguito riporto l'articolo recuperabile al seguente indirizzo:


Mentre l'immagine proviene dal seguente sito :

Testo ed immagine appartengono ai rispettivi proprietari.
 Manuela Scarpellini
Il vero volto del soldato Ivan (l'Armata Rossa)
tratto da: Il Giornale, 1.11.2005.

La fine del ventesimo secolo ha spazzato via molti miti riguardanti la seconda guerra mondiale. Non solo ha confermato la violenza dei regimi totalitari, ma ha anche sfrondato la retorica intorno al comportamento degli eserciti alleati, sottolineando le ambiguità e le incertezze dei leader democratici, i loro silenzi (ad esempio verso le persecuzioni razziali e i genocidi di massa), gli errori tattici e strategici. Solo un mito resiste ancora, almeno in Russia: quello del valore e dell'abnegazione dell'Armata rossa, che seppe combattere e vincere in condizioni difficilissime e a prezzo di immani sacrifici la «Grande Guerra Patriottica», come è tuttora chiamata la seconda guerra mondiale. La propaganda ha costruito un'immagine eroica del «soldato Ivan»: è un uomo semplice, ma allo stesso tempo forte e coraggioso, capace di guardare in faccia la morte senza paura e di sacrificarsi senza esitazioni per gli ideali della patria. E ancora oggi, nella Russia di Putin, i combattenti della seconda guerra mondiale sono un'indiscussa icona di grandezza.

Le ricerche di una storica inglese mettono per la prima volta in discussione quest'immagine. Catherine Merridale, docente di Storia contemporanea al Queen Mary college dell'Università di Londra, studia da anni i risvolti sociali e culturali della violenza. E in "Ivan's War: The Red Army 1941-1945" (ed. Faber and Faber, in uscita negli Stati Uniti presso Metropolitan Books) ha deciso di mettere sotto osservazione l'Armata rossa da un'insolita angolazione: non la storia di Stalin e dei suoi generali, ma quella dei soldati più umili. Ha perciò svolto ricerche in vari archivi russi per documentare la vita quotidiana al fronte (attraverso lettere di soldati, bollettini medici, rapporti segreti di polizia), e ha raccolto diari personali e testimonianze dei sopravvissuti, girando in lungo e in largo i luoghi dove si sono svolte le principali battaglie. E il quadro che ne esce è ben diverso.

Per cominciare, non esiste una caratterizzazione unica del combattente medio: l'esercito raccoglieva tutte le numerose nazionalità dell'Unione Sovietica (russi, ceceni, ucraini, uzbechi, georgiani, ecc.); soldati del tutto diversi tra loro, e spesso neppure in grado di parlare la lingua russa. Molti di questi coscritti provenivano da zone impervie e remote del Paese e giungevano al fronte del tutto impreparati, senza neppure conoscere le cause della guerra. E il libro registra molti episodi di discriminazione e di violenza a danno delle minoranze etniche.

Poi il soldato Ivan era a volte... il soldato Irina. L'Unione Sovietica fu infatti il primo Paese a utilizzare sistematicamente donne con compiti operativi. Dopo le disastrose campagne del 1941, che causarono migliaia di vittime, il governo sovietico reclutò moltissime donne (all'unica condizione che non avessero figli) con vari compiti, ad esempio come tiratrici scelte e piloti. Si formarono equipaggi di bombardieri tutti femminili (in particolare per azioni notturne) e non mancarono assi dell'aviazione come Lydia Litvyak, che abbatté 12 aerei tedeschi prima di essere abbattuta a sua volta nel 1943, a soli 22 anni. Furono ben 800mila le donne che combatterono durante il conflitto.

La vita di questi soldati al fronte era difficilissima e non sorprende che molti si dimostrassero tutt'altro che eroici. Le testimonianze raccolte parlano del terrore di fronte ai primi attacchi della formidabile macchina bellica tedesca, delle diserzioni di massa (soprattutto negli anni 1941-1942), della cronica mancanza di equipaggiamento, armi, e persino cibo (a cui sopperiva in parte un fiorente mercato nero), del perenne stato di ubriachezza. Ma ciò che colpisce nel libro è la paura degli spietati superiori, che consideravano i sottoposti solo carne da macello e punivano con estrema ferocia i disertori e persino le loro famiglie (il libro cita vari episodi di esecuzioni sommarie a scopo dimostrativo). Più di tutto, quasi al pari del nemico, era temuta la NKVD, l'onnipresente polizia politica di Beria, pronta a spiare e colpire con violenza ogni deviazione per obbligare i soldati a obbedire: quasi che lo Stato, scrive Merridale, combattesse una guerra contro il suo stesso popolo.

Gli anni della guerra furono lunghi e i caduti tra le file dell'Armata rossa milioni (in genere sepolti anonimamente in grandi fosse comuni). Eppure l'esercito tenne, i veterani rimasero ai loro posti e infine riguadagnarono le posizioni perdute. A cosa si dovette questo risultato? Forse alla fine la martellante propaganda aveva raggiunto il suo scopo? Assolutamente no. La storica britannica ritiene che ciò sia dovuto al fiorire di illusioni su un futuro migliore dopo la guerra; e, ancora di più, alla capacità di sopportazione del popolo russo, alla sua abitudine alla sofferenza e alla morte. Nel giro di due decenni la Russia aveva conosciuto rivoluzioni, guerre, carestie, persecuzioni politiche e deportazioni di massa; tutto questo aveva accentuato un tipico atteggiamento di fatalismo e rassegnazione di fronte a qualunque dramma: in ciò risiedeva il vero segreto della sopravvivenza.

Con queste armi, l'esercito sovietico giunse fino al cuore della Germania. E qui consumò la sua terribile vendetta. E' sorprendente, osserva ancora Merridale, come arrivati a questo punto i ricordi dei veterani si facciano evanescenti e confusi: la loro memoria sembra non serbare traccia delle violenze commesse su civili e militari, delle distruzioni e dei saccheggi, quasi fosse stata «filtrata» attraverso il mito ufficiale della guerra eroica (e pulita). Ma questa violenza ci fu ed ebbe più di una motivazione. C'era il desiderio di vendicarsi contro i nemici, ovviamente, ma anche la voglia di sfogare i sentimenti di rabbia e umiliazione patiti in anni di vessazioni da parte dei superiori e dei commissari politici; e persino la cieca soddisfazione di distruggere le ricchezze degli occidentali, constatato come questi -contrariamente alle immagini della propaganda- vivessero molto meglio dei sovietici.

Chi più pagò questa rabbia furono le donne tedesche, sottoposte a violenze di ogni tipo e stupri di massa, che appagavano, oltre una lunga astinenza sessuale, il desiderio di punire e umiliare il nemico sconfitto. Tristemente, coniarono per se stesse il termine di Freiwild, prede libere; non furono risparmiate neppure le donne polacche, ungheresi, ed addirittura russe, deportate in Germania come lavoratrici coatte.

Alla fine, al rientro in patria, ma in realtà già dai primi mesi del 1945, i veterani dell'Armata rossa trovarono un destino ben diverso da quello atteso. Stalin ordinò una purga nell'esercito che portò all'imprigionamento e alla morte di almeno 130mila fra soldati e ufficiali. Terminava così, in un ultimo bagno di sangue, l'esperienza reale di milioni di soldati; al suo posto, nasceva l'immagine eroica e positiva del «soldato Ivan».

Data inserimento: 30/09/2006 .




Fuoco di Paglia .


Breve, intenso, esplosivo... Che dura poco

Accatasta pallottole di carta non troppo stropicciate ed appallottolate, magari accartocciale per lungo per fare una piramide. Sopra aggiungi dei legnetti, secchi, magari di ulivo o altro albero resinoso. Bagna il tutto con del liquido infiammabile, anche poco.
Prendi un pezzo di carta arrotolato per lungo, dagli fuoco ed aspetta che prenda. Avvicinati cautamente alla pira precedentemente creata ed allunga il fuoco nel punto in basso dove la carta è rada e bagnata. Dagli fuoco.
Attendi che il fuoco prenda e non appena vedi che le fiamme si propagano, allontanati ad una distanza di sicurezza. Guarda il fuoco con che passione inizia a bruciare tutto e l'improvvisa vampata che avvinghia tutti i pezzi.
Se avessi altri legni è un buon momento per aggiungerne di altri di diametro via -via maggiore. Se hai solo legnetti aggiungili fino ad esaurimento scorte , vedrai il calore del fuoco via – via aumentare fino a riscaldarti volto e corpo, ma è solo un attimo. Poi tutto scompare e resta solo pochissima brace, su cui non puoi preparar nulla di consistente, ma che è pronta ad infuocarsi nuovamente.
 

Sii prudente dalle deduzioni tratte da ciò che leggi: ciò che pensi potrebbe non essere ciò che chi ha scritto ha inteso.