mercoledì 30 dicembre 2015

Risvegli .



Marco Pantani l'ultima grande salita
Perchè non chiuderlo .

Manutenzione al blog, alcune immagini sono cadute, altri video sono stati cancellati.

Mi imbatto sullo scaffale “Risvegli” e noto che è un po affollato. Leggo; credo che si possa chiudere e far convergere in maniera organica e fluida in un altro reparto, magari “Up & Down” .
Possono andare nell'altro scaffale, prender posto e riempire i vuoti tra un “libro” e l'altro, dando corpo e continuità alla scaffalatura, ma altri concetti all'interno dello scaffale non ci stanno.
Sono concetti ed idee che nascono come “illuminazioni”, sono intuizione, un affacciarsi di nuovo alla vita dopo tanto tempo che dormivo, un tornare su un argomento con la visuale cambiata e proiettare sull'argomento una nuova luce.
E' la loro essenza, anche se potrebbero andare nel cassetto “Up et..” hanno più forte la valenza di intuizione e non di organicità.
Un momento di uscita fuori dagli schemi, che permette di analizzare le cose come di una fuga in avanti, che ti permette di vedere l'insieme meglio, ma perché sei uscito dal gruppo, dalla massa, hai visto l'insieme, hai avuto una visione migliore, ti sei illuminato (chiamalo come vuoi) e poi sei potuto andare avanti meglio.
Un po come quando la mattina presto prendi le migliori decisioni a cervello fermo. Sono delle bellissime intuizioni, hai la mente fredda e riesci a guardare le cose con un briciolo di distacco e quiete. Oltre ad avere uno spazio ove allocare la sensazione di sdegno e repulsione per tutto ciò che è proseguito senza di Te.


Il mariale audio/video appartiene al rispettivo proprietario.

martedì 17 novembre 2015

Concerto di Jovanotti.

“Ghimmi Faiv !”
Concerto Jovanotti, prossimo 18 Luglio, la nostra storia è appena iniziata e procedo con cautela. Non piedi di piombo, ma piede felpato, attento a non schiacciare le “formiche” per terra. Samuele và, Tizia và, Adriana pure, Tindara dovrebbe andare e Noi due che vorremmo andare, ma non capisco perché l'idea non procede.
C'è una botta d'arresto, un conto che non torna. Vorrebbe venire anche Claudia, ma è un tergiversare. Si, No, domani andiamo a comprare i biglietti, oggi no, domani si.
Manda e rimanda i posti economici finiscono, restano i biglietti, cari. Rimandiamo e lasciamo cadere nel dimenticatoio. Claudia non scioglie il nodo se non a ridosso dell'evento ed è tardi, settimane prima i biglietti erano terminati. Dell'amaro traspare in bocca.
Volevo andare al concerto. Ma anche non andarci.
Quando mi ci recai l'ultima volta, stavo con Ramona e la cosa portò male. Ma stavolta saremmo stati tutti e due assieme al concerto, non separati. Le differenze ci sono, basta scrutarle, osservarle, discriminarle e farle emergere, così solo le cose non si ripetono.
Matilde preme per andare a fare un tuffo ai laghetti di Venere. Antonio pure,  Fede è d'accordo, Gemma gli piacerebbe ma di Martedì. Appena lo sente Marilisa dice Si, ma non Martedì, possiamo spostarlo per lei a Mercoledì? Cazzo, Io Mercoledì ho un impegno semiserio di lavoro al locale (riparare una porta quasi gratis). Federica in chat “decide” di Mercoledì. Rimando l'impegno semiserio lavorativo perchè la foto del gruppo di ragazzi condotti farà pubblicità e comunque curriculum.
Dalle 16.00 l'appuntamento viene spostato alle 17.00, Fede deve andare dal dietologo. Matilde a quell'ora non può, Gemma nei giorni precedenti (fino alla sera prima) ha fatto notare che non la si è voluta spostando l'evento a Mercoledì, ci metto una pezza ripetendo che ci sarà altra occasione. Marilisa è la prima che salta dicendo di non voler venire. Cazzo, proprio Lei che aveva insistito per andare nel suo giorno libero? Poco affidabile e dalla volontà precaria la ragazza.
Qualcosa non quadra, problemi su problemi, troppi. Nuovamente troppi punti da accontentare e poca disponibilità. Butto la carta Io, alle 16.00 sarò lì, chi vuol venire è bene accetto.
Vediamo chi gioca a “coglionare” e chi No. Chi verrà, manterrà la parola, chi non verrà mi darà indicherà in modo chiaro di quanto potrà valere la sua parola: assente = niente.
Una di queste è Federica, ha detto che verrà, ha spostato l'orario e poi non viene. Hmm... torna a galla una dinamica che mi sfugge, la dinamica è riferita Marilisa ma qualcosa non mi quadra con Fede.

giovedì 16 luglio 2015

Affondamento .

Della Santo Stefano .
22/07/2012, muore il nonno, primo siluro a babordo. Perdita pesante, ma l'abbraccio con Claudio e Teresa mentre chiudono il nonno nella cassa fa sentire ancora vivo.
28/08/2012, un messaggio, “Mi hai lasciata sola alla mia laurea”. L'aver cercato di non fargli mancare nulla quel giorno mi ha permesso di star ancora in vita. Una torpedine nel bel mezzo del nulla arriva alla fiancata.
Febbraio 2013, un giorno non meglio specificato dopo il 9. Riunione nuovo Direttivo AVIS, non vengo eletto Presidente e chi credevo vicino mi volta le spalle. La ciurma assale la cabina di pilotaggio ed una guerriglia si protrae per il natante. Amara delusione. 
30/08/2013, è finita. Una storia di quattro anni volge al termine, ancora non è chiara l'entità dei danni, ma è stato un grosso buco in cabina di pilotaggio. Il richiamo di un'altra sirena si sente in lontananza ed i pochi piloti al timone fanno rotta verso il canto.
3/11/2013, è finita. Un grosso e pericoloso squarcio a dritta sventra la chiglia, con anima e corpo mi butto a lavorare. Si tiene la rotta, ma si imbarca abbondante acqua. Il lavoro non manca, ma qualcosa non quadra.
11/01/2014, ultimo giorno di lavoro. Dopo non rinnovano, nessun impegno e non c'è niente. Conoscenti mi promettono che avrò una risposta, qualunque essa sia. So già che sarà un “fine”. Ultimo siluro sulla fiancata Capitano, la nave non può andare avanti, bisogna navigare verso un'insenatura sicura.
Faccio rotta verso il letto e lì mi areno per i mesi venturi, in un febbrile assemblare pezzi, riparare, aggiustare, imprecare e cercare di ripartire, far riprendere in qualche modo la navigazione.
Ma la nave non ne vuole sapere di ripartire. E nel frattempo l'idea di abbandonare la nave per sempre si fa avanti.
Si stringono i denti e si va avanti, ma a quale prezzo.

Gli irrazionali.



Don abandons Alice - DayZ edition  .


La sede è stata invasa dagli irrazionali, alcuni dei miei stessi “amici” di percorso sono diventati degli irrazionali a loro volta, aggredendomi e fattomi a pezzi.
Maciullato e dolorante sono andato via.
Troppo tardi aggiungo
.

Il materiale audio e video appartengono ai rispettivi proprietari.

Elementi chimici .


E reazioni chimiche .
L'incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche: se c'è una reazione, entrambe ne vengono trasformate.

Carl Gustav Jung .

Qualcuno era un forte catalizzatore e qualcun'altro si incendiò.

giovedì 25 giugno 2015

Danza Macabra.

Clusone, oratorio dei disciplini, danza macabra .

Seduto, scorrono le dita sui libri.
Scende la bruma ed ovatta le cose, a voler celare l'occhio indiscreto e creare uno spazio riservato. 
Il mal di testa sale come note di flauti e tamburi suonati per invitare alla danza. 
La confusione avanza, come scheletri che voglio prender parte alle danze. 
Le idee si fanno irrequiete, come bimbi che hanno voglia di partecipare ai balli, vogliono buttarsi nella mischia, volendo uscir fuori.
La bocca si apre ed i concetti prendono forma, è un fluire di parole, idee, pensieri dirompenti, gridano di esser risolti, di avere una risposta, una sistemazione, un perché, una fine o un nuovo inizio.
Incalzano, si fanno avanti, travolgono la concentrazione, l'Io scompare, o meglio ora si fa da parte per farli scorrere via come fiume in piena e non bagnarsi più del dovuto.
Le idee danzano intorno una una mente che si arrovella, come uovo cotto in padella, o come legna bruciata su un falò intorno al quale anche i pensieri, le emozioni e le sensazioni che non hanno trovato pace e sistemazione, iniziano a danzare vorticosamente.
L'Io è invitato da queste idee di morte e tossiche a danzare. 
Ieri ballava con loro in un turbine senza senso, oggi prova a farle scorrere, non da la mano per esser preso a danzare, si fa da parte, le lascia stare.
E' ora di alzarsi ed andare a passeggiare, senza prima aver chiuso i libri, sistemato le cose, messi gli occhiali e chiuso il portone. Via a camminare. Perché a volte, se una di queste danze mortali viene presa in tempo, una camminata aiuta a spegnerla.

 L'immagine appartiene al rispettivo proprietario.

lunedì 16 marzo 2015

Vieni via...

Da quel ricordo .
Preparazione alla statica. Egidio scandisce i tempi, sono partiti i tre minuti. Inizia il percorso mentale di avvicinamento all'Io. La ricerca dei bei ricordi può aver inizio. Scorrono le immagini, la vallata di monte Trino, fiori di primavera, sono solo e mi ritrovo ad incamminarmi verso cala Grottaccia.
E' un sentiero già preso durante una sessione di bagno Turco. Qualcosa mi dice che la strada non porta a nulla di buono, ma devo ritrovare un equilibrio per fare questo viaggio nella statica. 
Mi trovo a camminare verso il mare, contrada Trinità. Supero il prato di acetoselle, iniziano gli ulivi. I passi procedono e mi ritrovo con Franco a raccogliere verdura selvatica, alle Tre Pietracce, la prima volta che scorgo bieta selvatica e qualcuno me la spiega, gioia.
Un'immagine di volto in controluce, Rò ed il suo sorriso, le fossette intorno alle labbra, noi due a mare, la festa di compleanno. Cazzo! Capitano via da quella cazzo di stanza! Chi cazzo aspetta? Via da questa stanza maledetta di ricordi! Andiamo via!!!! Viaaaa!! Perchè cazzo ci devi far fare a pezzi? Capitano invertiamo la rotta, in quella stanza dei ricordi c'è solo morte e ghiaccio! Cazzo capitano tra poco ci immergiamo! Cosa cazzo sta combinando? Viaaaa!!
Panico, silenzio, dolore, contrazioni nell'addome, un treno che fischia nella notte, paura e freddo.
Arrivano i due minuti scanditi dal Mister. Un segnale esterno, sovrasta gli innumerevoli segnali di pericolo interni, come un corno da guerra suonato da una collina.
I passi procedono in retromarcia, la mano accompagna la maniglia per chiudersi e finalmente si stacca, stavolta ci sono entrato, ma non è detto che la prossima volta ci debba ritornare, anzi, credo proprio che quella nota di emozione impressa seduto meditante sul vertice della roccia del torrente Santo Pietro, sarà un nuovo ground-zero da cui ripartire.  

Avere un Io.. .

Un Io, non tanti .
Avere un Io è una bella cosa; bella perchè le azioni fatte o da compiere, hanno un inizio, un centro da cui partire e da cui proseguire.
Permette l'inizio di un discorso, di un ragionamento, di un'azione, in pratica un punto di partenza: la tua persona.
Non più un inizio a casaccio, random, a 360 gradi come sabbia sparsa per terra che non riesce a trovare un punto di aggregazione.
L'Io ti permette di fare scelte, perchè è la postazione da cui osservare la situazione, con la visuale ed i suoi limiti, legati a te.
Non una miriade di posti di osservazione sparsi per terra da cui non è possibile avere una visione univoca, le cose frammentate in miriadi di punti di osservazione, incoerenti e sparsi, persi e a pezzetti, dove tali e tante sono le visuali da non riuscir ad omogeneizzare e vedere alla fin fine un bel nulla.
Avere un Io ha anche il suo prezzo, a volte dolce, altre salato o addirittura amaro.
Dolce perchè hai il tuo punto di inizio delle tue azioni.
Salato perchè se fai delle scelte affrettate, sbagliate, dirompenti o errate, quello che è al centro dell'azione e a cui ricadono gli effetti dell'azione sei tu.
Amaro perchè non ci sono gli "altri" a cui addossare la colpa, cosa voglio dire: se una persona compie una “minchiata”, ed avendo un Io da dove valutare col proprio punto di vista e  decidere di  andargli dietro, non posso e non voglio addossare la colpa delle conseguenze delle azioni iniziali. Un Io che dice SI ed anche NO alla “minchiata”, queste scelte sono mie e non di altri, alias se il primo che ha fatto un'azione ed IO la giudico una minchiata e di conseguenza non la voglio condividere il gioco si ferma; ma se Io  scelgo di condividerla sono IO ad averla condivisa e non che la “minchiata” è di altrui proprietà.
"Mi è arrivato un sms, o è roba da pagare, o è Dona o Marco.” Era Marco.
Mentre scrivevo pensavo a mio padre, a quanto duri e puri, sferzanti e moralisti, pesanti e opprimenti, psicotizzanti e schiaccianti erano i suoi discorsi quando iniziava a far capolino il mio Io.
Ricordo la durezza di risposta quando quello che usciva fuori non gli andava a genio ed i duri colpi verbali a botte di questioni sociali e morali venivano sferzati come un bombardiere su di una città.
Ricordo la sensazione di panico, di sgomento, di ansia, di terrore, di demolizione interiore che vivevo, la paura di morire da un momento all'altro, la claustrofobia che mi prendeva ed il senso di strangolamento che mi attanagliava la gola.
Ricordo che era come se mi mollava una delle sue pizze in faccia, dopo le quali mi ritrovavo steso per terra, peccato che era il mio Io sbrindellato/sdirinato/spappolato in 1000 pezzi.


Come se un rabbino una volta deciso di costruire un golem di sabbia, decida di prenderlo a pugni fino a sgretolarlo a pezzi per terra.

venerdì 6 marzo 2015

La menzogna di Cechov .

Una sessione on – line su un noto social network; mi imbatto in un link riguardante Cechov.
Lo leggo, una biografia del luminare russo, condita da una serie di sue massime, intime, profonde, da sussurrare piuttosto che gridare.
Mentre gli occhi scorrono sul testo, una frase in particolare mi colpisce:

Il pidocchio delle piante mangia l'erba, la ruggine il ferro, la menzogna l’anima .

Alla parola “pidocchio” delle piante mi si materializza in mente una cimice verde. 


Alla parola “ruggine”, balza alla coscienza il punto ruggine che sta corrodendo l'inferriata di casa. 

Leggendo la parola “menzogna” mi si apre un baratro. Vengo catapultato alla sera del 15 Ottobre, in Via delle Giudicarie. L'ha indossata fino ad ingurgitarla nelle viscere, fingendo, nascondendo, omettendo e negando le evidenze. 
 

Memorie .

Varie le tipologie .
Cammino sotto la pioggia, è battente e continua da stamane. Non accenna a calmare. Ho lasciato alle spalle Via delle Giudicarie, non vorrò rimettervi piede, sgattaiolo come un ratto tra vicoli e sentieri collaterali, non voglio esser visto, sono come un animale ferito che si trascina.
Le gambe mi portano verso il sentiero che percorremmo in bici assieme, altra fitta al cuore, ma è un dolore diverso, quasi tollerabile, ho recuperato un altro pezzo di me stesso e finalmente messo assieme a gli altri, è come se il dolore sempre presente diminuisse di intensità e finalmente provenisse da una parte viva e non più marcia da rimuovere.
Guadagno il poggio, mi siedo sulla panchina e come un padre che va a recuperare il proprio bimbo abbandonato, mi siedo, accanto a lui e lo guardo per del tempo. Non so quanto, forse sono secondi, minuti o decine di minuti, un beccheggiare sulla seduta intercede a intervalli in cui chiedo scusa al mio ragazzo per quello che gli ho fatto fare.
La pioggia batte e trapassa quasi le ossa, ma qualcosa si muove quando vedo nella panca e non vedo nessuno, un treno di allarme mi desta, mi sveglia, noto degli smile disegnati sui chiodi di fissaggio, uno di questi sorride. Ricordi di una sera in riva al mare dove invitai Rosa a guardare all'orizzonte dove c'era un piccolo puntino luminoso in mezzo al buio. Ecco, stavolta sono Io che ho visto il puntino luminoso all'orizzonte, un sorriso spezza il defluire delle lacrime, mi alzo e prosieguo.
La memoria fisica mi porta verso il supermarket, senza essermi scordato della farmacia, della posta e poi il cimitero. Ma queste sono altre storie.
Lasciato il campo di cipressi per cui mi sono aggirato come uno zombie per i vicoli, i corridoi, i viali e vialetti, come un moribondo, mi portavano le gambe, il cervello era sconnesso, non pensava, non ragionava, era come una finestra aperta per far entrare quel che proviene dal fondo, con pochi filtri e molti vomiti di ricordi.
Arrivo a Piazza Dante, non prima di aver intravisto dal finestrino, nel tram opposto al mio, una sagoma di schiena che avrei riconosciuto tra migliaia. E' freddo, gelo, umido, sono zuppo di acqua ed umidità. Mi perdo, cerco di usare il gps del cellulare, ma è così rodiro di acqua che a tentoni riesco ad avviarlo. Guadagno la piazza e dico una preghiera tra me e me. Scusandomi con me stesso e recuperando un altro pezzo di me stesso.
Mi perdo tra i vicoli fatti di parcheggi di auto lambenti case squadrate e dalle facciate impeccabili, alberi piangenti di foglie e pioggia, arrivo non so come all'ufficio dell'USL. E' un tuffo nel nero del dolore. Forse una bici appoggiata in rastrelliera mi dice che “saresti” lì. Forse non ho voglia di star troppo lì. Me ne vado, le gambe mi portano tra vicoli e colonnati verso il Sentierone, dove camminammo davanti a quelli delle castagne.
La stessa sensazione di prima, cammini per inerzia, sono le gambe che ti portano, spinte da una memoria impregnatasi sui muscoli, le ossa, le articolazioni, le viscere, i singoli neuroni degli archi riflessi si spremono per sputare via il dolore. E' il tuo corpo che si desta, ricorda in ogni sua piccola cellula e ti porta, tu sei spettatore semi-attivo fino a quando non raggiungi la destinazione ed è come se si togliesse il pilota automatico e torni a guidare il tuo corpo.
Al Sentierone non ce la faccio più, sono bagnato fradicio e lercio. Ho freddo e fame, basta, si fa rotta per Brescia.
Ma nei giorni a seguire la sensazione ritornerà, quando camminerò per città alta, alla ricerca di quella bella luce per far foto, per ripercorrere le vie dove passo dopo passo mi facevi a pezzi con il machete e ti cibavi di me, mentre Io con un sorriso ebete ti seguivo. Ma anche questa è un'altra storia.

Sonni


Sssh, stanno riposando .
Ciò che abbiamo vissuto in quei giorni si è incallito dentro. Credevo non potesse più riaffiorare alla mente. Poi quella foto, ha destato una parte di me che credevo addormentata per sempre.
Odî volontariamente sopiti, malinconie, sogni, speranze. 

La volpe .

E l'uva .
Richiamare il senatore e mandarlo a farsi friggere o far finta di niente e cercare di conciliare le due cose con il minor male. Oppure tentare e in  caso che nessuna idea valida venisse alla mente, allora rinunciare adducendo l'onestà intellettuale che non consente il compromesso.
La volpe e l'uva.
Merda...

Le cose si fanno in due .

La forbice taglia perché le lame sono due.
Dal periodo di merda lasciato alle spalle ho capito una cosa, forse il senso a questa montagna di merda scalata nei rapporti umani sta nel fatto che alcune cose, vedi quelle di una coppia ( parlare, scrivere, sentire, amare, uscire, litigare, capire, intendere, baciare, mangiare, vivere etc.)  si fanno in due, se no non si fanno.
La forbice taglia perché le due lame sono parallele, vicinissime ma indipendenti l'una dall'altra, convergono in un punto ed assieme tagliano: la carta, i gambi dei fiori, la plastica, il cartone, i fili etc. Assieme funzionano e realizzano, da sole No.
L'ho capito dalla storia chiusa con Ale, dove alla fin fine ero rimasto solo e quello che si faceva in due non si poteva più fare.
L'ho capito dalla storia chiusasi con Rò, dove ero rimasto a crederci da solo e quello che si faceva o si sarebbe potuto fare assieme è finito come petali di mandorlo portati via dal vento.
L'ho capito quando ho provato a frequentare delle persone disinteressate, anche ex-Amici, ma essendo solo nel crederci, anche in questo caso le cose da solo si potevano fare e gli altri ne usufruivano, quando c'era da fare almeno in due, la cosa/le cose non si realizzava/vano.
Il fondo l'ho toccato con Antonietta, 3 mesi per un caffè ancora da giungere. Poi il tempo di una pizza e neanche questa arrivava. Una serata chiesta di lunedì e presentatami di Venerdì con la frase “Te l'avevo detto”, il telefono staccato chiamando Lei ed Antonietta che non rispondono per vedersi.
A quel punto dissi “Basta!”, se avessi avuto un problema con una persona glielo avrei detto, infatti le scrissi “E' difficile realizzare le cose se si è soli”, da allora silenzio tomba, se non degli auguri di buon Natale.
Questo principio lo impiegai con An. Visite a lavoro promesse e non arrivavano, arrivavano improvvise, uscimmo un pomeriggio e finì da uomo con caramelle.
Una sera spuntò al locale, chiedendomi di parlarle, in compagnia di un'amica con il compito da fungere da terzo. La ascoltai, capii che aveva un gran casino in testa, una storia tirata avanti che attendeva qualcuno per finirgliela, un rapporto con se stessa altalenante, in pratica cercava qualcuno a cui scaricare tutto questo.
Incrociati gli occhi (aveva uno strabismo di Venere) le dissi “Vedo che i compiti a casa ancora non li hai fatti. Vorresti che te li facessi Io?”. Silenzio-assenso. Proseguii “Fatti risentire quando li avrai fatti.” Da allora scomparsa, fino a quando non si ripresentò sul social network per chiedere amicizia.
L'idea l'avevo capita bene e l'avevo messa in pratica. 

giovedì 19 febbraio 2015

Avrò scritto in fronte..

Giocondo?
Sembra che abbia scritto in faccia “Cerco lavoro a gratis”.
Per ora vedo chiamate sul discorso, di cui non ho voglia di sentirne feto, in quanto mi sono rotto di dover lavorare, impegnarmi e dover fare, professionalmente e gratis.
Sembra che debba risolvere i problemi del mondo intero, basta. La gente mi cerca perché ha bisogno di aver fatti lavori gratuiti, dove si cerca un'alta professionalità, serietà ed impegno, ma di cui poi non è intenzionata a passare alla fase successiva, cioè di ricordarsi di Te nel momento di quando c'è del lavoro da spartire.
Taglio subito.

O forse avrò scritto Jo Condor.. :-))


Scontro tra due emozioni .

Crash two train
Da una parte il rispetto per la Donna passato dagli Uomini di famiglia, che alla tenera età di meno di 10 anni mi permise di comprendere da solo il significato della canzone di Luca Barbarossa "L'amore Rubato", che a sua volta ringrazio per aver scritto un testo per me sacro sul rispetto della Donna.

Dall'altra parte un fortissimo senso di sdegno e Rabbia per una persona mi contorce le budella. Ringrazio Dio che oltre 1'000 Km mi separano da "Manolo" perchè anche se ora avesse 42 anni e magari una famiglia con figli (spero non figlie), la voglia di spaccargli la faccia e di incaprettarlo per bene mi fa fremere le mani, leggendo di un pomeriggio.

L'immagine appartiene al rispettivo proprietario.

martedì 17 febbraio 2015

Tu ...

Gliel'hai concesso .


Sei tu che gliel'hai permesso, in nome di un amore che evidentemente esisteva solo nella tua testa. L'hai accettata, l'hai fatta entrare nel tuo intimo e lei se n'è approfittata.

L'immagine appartiene al rispettivo proprietario.

sabato 14 febbraio 2015

Recupero pezzi .


 
Vari e dolorosi .
E' la sera del 2 Giugno, torno da un'escursione sui Peloritani voluta e cercata, per rompere il solito tram – tram, per buttare le carte sul tavolo e rompere la brutta piega assunta dal gioco.

Nel pomeriggio ricevo una telefonata, forse lavorerò per la stagione. E' felicità, è speranza, forse si ricomincia a poter progettare, su un nuovo campo, su un nuovo livello, forse si riuscirà a togliersi qualche sassolino dalla scarpa.

Mi concedo un bagno caldo e rilassante, voglio coccolarmi e riprendermi. Penso a cosa potrei fare con quei soldi che prenderò e già i progetti si snocciolano nella mente: Vestiti, Apnea, qualcosa messa da parte, un po di spesa, un viaggio e se dovessi aver bisogno, della Terapia .

“Un viaggio?”, mi domando tra me e me. “Dove?”, cerco di restringere il campo di ragionamento. Una parola affiora alla coscienza: Bergamo. Dubbi su dubbi si susseguono, ma un dolente nucleo di dolore interiore è lì che preme. Inizio a giocare al “bersaglio” per capire dove voglio arrivare, costi quel che costi, lavoro e me lo posso permettere di far quel che voglio:

- Vuoi vedere Rò? Si, ma non proprio di persona, magari di sfuggita o senza esser visto. Anzi, non voglio esser visto. Effettivamente non voglio esser visto ne da lei, ne da nessun altro.

- Cosa vuoi fare a Bergamo? Voglio rivedere dei posti.

- Quali posti vorresti vedere?

Il ragionamento si inceppa. Tante immagini si susseguono dalla memoria, ma non puntano a voler vedere Rò nuovamente lì, è come se una parte di me è ancora lì e mi manca. Sento vuoti dentro, percepisco pezzi mancanti, non rispondono più all'appello e vanno dal fare fotografie alla città di Bergamo, dal Circolino al vino, la città alta, le mura, il vicolo dell'assemblea Nazionale dove credetti di vederla. Una lista vertiginosa di posti si fa avanti, assieme al cimitero ed al parco Redona.

Ricordo i posti ed un forte dolore mi prende, come se qualcosa dentro mancasse, come se avessi bisogno di andare lì per rappacificarmi con me stesso, per chiedermi scusa, per vedere i luoghi con occhi diversi e dirmi scusa.

E' assurdo, voglio vedere Bergamo ma non voglio vedere Rò. Voglio vedere i posti in cui sono stato con Lei, ma non voglio ripercorrerli con Lei, voglio andarvi da solo, per i fatti miei, guardarli, capirli e sentirli ora, dopo che la tempesta nera è passata.

Inizio a ragionarci su. Stilo una lista di luoghi dove andare, ma fino all'ultimo minuto non sarà completata. Metto i soldi da parte ed i giorni scorrono. Non sono convinto di andare a Bergamo, perché potrei vederla e nuovamente mi dico tra me e me “non la voglio vedere”, anzi “voglio esser dimenticato”.

Scorrono i giorni e la confusione si accentua. Poi un pomeriggio parlo con mia madre e dell'idea che mi frulla in testa. Mi chiede “Vuoi andare a vedere nuovamente qualcuno?”, “No mà, sento che devo andare a recuperare dei miei pezzi che ho lasciato lì, non una persona”.

Prendo il coraggio a due mani, chiedo i giorni di ferie in anticipo e prenoto il volo. Nel frattempo mi sento con Davide e l'idea di unire il viaggio per Bergamo ad altro di utile mi suona bene. Coglierò l'occasione per andar a trovare Davide a Brescia, così non resto a Bergamo, stacco e mi allontano, non so come reagirò al tornare in quei posti e l'idea di un supporto non è male. Si farà base a Brescia.

Compro il biglietto, qualcosa è cambiato. Ho un po più di fiato e potrò partire da Catania, ho i mezzi per arrivarci per i fatti miei e pagare il parcheggio. Posso permettermi di comprare un extra di bagaglio per i precedenti motivi e non dover rompermi il collo a spedire pacchi. Vorrei prenotarmi il posto, ma la vedo come una cosa pacchiana, mi accontento dei distinguo realizzati finora e lascio scorrere. Per carità al ritorno un posto distinto mi potrebbe velocizzare l'imbarco, ma a me quello che serve è un sbarco veloce a Catania, onde poter mettermi prima in auto e dirigermi verso casa e poi al lavoro.

Nei giorni a seguire mi preparo, valuto che lo sbarco agevolato non esiste e che alla fin fine non guadagno minuti per tornare a casa prima. Organizzo cosa portare a Davide, conserve fatte in casa ed addirittura della verdura selvatica del Capo, spero gli farà piacere. Assemblo i pezzi e tutto scorre via fino a quando l'aereo si stacca dal suolo Siculo. Lì sento davvero che la partita si apre e che dovrò stare attento. Vado a recuperare pezzi miei, come un uomo discreto nel sottobosco vado a cercare per trovare, ma senza voler dare nell'occhio o infastidire, o sopratutto esser notato. Ma su questo punto dovrò scendere a patti con me stesso, dato che dal primo momento che arrivo a Bergamo una forte voglia di andare a casa sua mi prende, ma un'altrettanta voglia di non vederla mi prende.

E' stata difficile, ma ce l'ho fatta.

Matrimonio


Chiesa de la Trinità.
Primavera inoltrata, mattina di sole, chiesa della Trinità. Da quel luogo sacro in cui si sposarono i miei bis-nonni, usciamo mano nella mano Io e Te. Indossi un sorriso smagliante sul volto, rimbombano nella chiesetta e dentro di noi le parole del prete “marito e moglie”. Un tubino bianco ti avvolge, come quello che disegnasti sul sacchetto di carta. Tutta la mia famiglia al completo e la tua sono seduti nelle sedie impagliate e seguono con lo sguardo il nostro procedere verso l'uscita, è un ridere ed un gridare di gioia. I miei amici ed i tuoi hanno fatto gruppo e ci canzoneggiano.

Ti prendo in braccio per sollevarti e scendere i gradini. Una pioggia di riso ci avvolge ed un lungo bacio tra urla di gioia e festa ci accompagnano. Mia madre ha le lacrime, mio padre pure, mia nonna è felice come non mai dalla morte del nonno. E' gioia, gioia pura. I tuoi sono entusiasti, vedo il cugino Alberto ridere, mentre sua moglie  è contenta. Le due bimbe, ormai signorine, giocano nell'aia davanti la chiesa.
Un sole vivo e bianco ci bacia dall'uscio in poi, percorriamo un paio di metri sul selciato davanti la chiesa, con la coda dell'occhio scruto Carola, tutta impettita con famiglia a seguito e scorgo un filo di invidia nel suo sorriso sarcastico. Merito del panorama da cui si vedono tutte le isole Eolie, la punta del Promontorio, il rosa della chiesta che si stacca e contrasta con l'azzurro del cielo, le abbondanti rose bianche comprate in zona che hanno addobbato l'interno e l'esterno della chiesa .

Un banchetto ci attende a pochi metri dal sagrato. Non prima di aver fatto volare in cielo un mazzo di palloncini con attaccati biglietti di gioie, speranze e buoni propositi scritti su foglietti di carta colorati nel cuore della notte.
Un cameriere sorridente e spontaneo mi porge la bottiglia da stappare. Voglio stapparla con Te. La scarto, la pulisco ed entrambi i nostri pollici spingono il sughero compresso. Il tappo vola nel cielo azzurro per poi perdersi nella sottostante campagna. Gli applausi si susseguono. Verso del vino nel tuo calice, mentre premurosa lo versi nel mio. Passiamo la bottiglia al cameriere che destreggia come un funambolo per preparare i flute del piccolo rinfresco.
Appena gli invitati hanno almeno una mano occupata, alziamo i vetri, brindiamo con i presenti ed incrociando le braccia beviamo senza staccare gli occhi l'uno dall'altra.

E' festa, è gioia, è vita. I presenti assaggiano dolci e confetti sul tavolo coperto da una tovaglia bianchissima, è stata ricamata dall'altra mia nonna. Un filo di vento la sposta, facendola ondeggiare, per poi scorrere sul mio volto ed è come se mi avesse portato un di Lei bacio. Sembra quasi che ci siano proprio tutti i miei cari, sembra che un momento all'altro i nonni debbano salire dalla discesa, tenendosi per braccio e discutendo del nipote convolato a nozze.

Un arrivederci a tutti alla villa, dove ci attende il banchetto e la festa, mentre seduti sul cassone di un'ape bianca, andiamo a far foto .

Prima facciamo una tappa al cimitero. Portiamo il bouquet alla tomba del nonno. E' stata una tua promessa l'altra sera mente scrivevamo i bigliettini per i palloncini. Ricordo ancora le tue parole “Fabio. Vorrei portare il mio bouquet alla tomba di tuo nonno”. Non ti dissi nulla, se non un abbraccio stretto – stretto ed un lungo bacio con le labbra umide di lacrime. Preghiamo assieme e lo salutiamo, fisicamente non è con noi, ma in cuor mio il nonno c'è ed è accanto a noi per benedire questa nuova strada.

Scattiamo foto, tra Fondazione e Faro. Sorpresa delle sorprese, sono riuscito a far arrivare un barcaiolo. Ci spingiamo con il fotografo per gli scatti nella grotta a mare. Non manca nulla di noi.

Torniamo sull'ape, tirata a lustro, per arrancare verso la villa. E' quasi il tocco ed il motocarro si fa strada nel viale alberato, con un sorriso smagliante sei attaccata al mio braccio mentre ondeggiamo, vorrei che questo momento non finisse mai. Ho paura quando arriveremo allo spiazzale antistante la villa e parcheggeremo, tutti ci vedranno come marito e moglie.

Le tue amiche fatte venire apposta ti assalgono appena scendi dal sedile, in un cinguettio di rondini. Le rondini stesse che hanno fatto il nido sotto un cornicione nei pressi, ci salutano cantando. Per un momento mi fermo e ti guardo, con gli stessi occhi che tengo in serbo da quando si posero su di te sotto l'ulivo, sei bella come una venere ed il bianco ti dona.

Andiamo al banchetto allestito sotto i gazebi. In lontananza si vedono le isole. L'aria è così limpida che si distinguono le bianche case dal terreno vulcanico.
Il gruppo attacca a suonare canzoni, mentre i camerieri fanno scorrere piatti tra i tavoli degli invitati. Che cosa strana trovare al medesimo tavolo toscani, siculi e lombardi, per di più un alpino della brigata Bergamo ed uno nella Vigilanza Aeronautica Militare entrambi di leva in Alto Adige. Chissà cosa ne uscirà fuori, spero che il nostro cucciolo nel grembo da un paio di mesi amerà il mare e la montagna, l'apnea, l'arrampicata, il camminare e tutto quello che vorrà .

Piatti siculo – lombardi – toscani si susseguono. E' un imbastardimento all'ennesima potenza, tra salumi, formaggi, antipasti, primi, secondi e dolci. Il palato volteggia tra le pietanza servite, una diversa dall'altra, ma si sa a me le cose incrociate fanno impazzire.

I tuoi apprezzano la cucina sicula – toscana di casa ed i miei gradiscono le pietanze lombarde. E' una gara al piatto che racimola maggior consenso. Mezza forma di Parmigiano è in bella mostra sotto un albero, chi vuole si alza, afferra il coltellino, stacca la scaglia che vuole e sceglie la frutta che più gli aggrada per accompagnarlo: frutta fresca, frutta secca, miele e fette di pane a portata di mano.

Il vino è rigorosamente un Valcalepio, lo stesso de “Il circolino”; scorre a fiumi. Sono mezzo brillo, ma concesso il primo ballo a tuo padre, ti concedo poco a gli altri invitati. Le danze accompagnano gli intervalli tra una pietanza e l'altra.
Come statua ti ergi dal tavolo, chiedi con decisione ai camerieri di portarti i confetti. Con un mestolo e la cesta di olivastro, fai il giro dei tavoli per mescere un po di confetti e le bomboniere a gli invitati. E' superfluo sottolinearlo, ma le bomboniere le hai dipinte tu, tutte a mano e sono una tempesta di colorate “F&R”.

J'y suis jamais allé - Yann Tiersen

Attacca un violino accompagnato da una fisarmonica, le note di Yann Tiersen in J'y suis jamais allé echeggiano nell'aia, mi guardi negli occhi ancora più contenta di prima e ti stringi a me per ballare. Danziamo fino a quando i piedi non fanno male, le pietanze sono state servite, le fiammelle dei lumi sono state accese, i contorni delle isole quasi si sono perse e quasi si possono toccare con mano le luci delle case. Un urlo di sorpresa e gioia echeggia tra gli invitati e si voltano in direzione Levante, si vedono le eruzioni del vulcano. Sento che Isso mi abbia fatto il suo regalo a noi.

Giunge la sera ed il momento della torta, ma la festa sembra non voler finire. Una cassata gigantesca viene portata, guarnita di ogni bellezza di frutta candita e martorana. Impugniamo il coltello e lo affondiamo su quel dolce fatto giungere appositamente da Palermo. Un profumo soave di dolce, ricotta, mandorle, miele e tutta la Sicilia esce delicatamente dalla guarnizione. Ci baciamo e lasciamo finire il lavoro ai camerieri.

Sparecchiano, alcuni invitati si sono alzati per andar via, ma ancora ti muovi come le fiammelle dei lumi e ti seguo con decisione e chiarezza. Stanchi ma felici saliamo nuovamente sull'ape. Lentamente si fa strada nel viale alberato e le fiaccole per terra si susseguono tra gli alberi a bordo strada. Una pioggia di barattoli di latta e di “palloncini” fanno un baccano sul selciato e svolazzano.
Guadagniamo la strada per l'albergo, saremo nostri per tutta la notte e per sempre.

martedì 6 gennaio 2015

Ritorno a sentir messa .


Chiesa del Carmine .
Martedì 24 Giugno, per il calendario Cristiano è San Giovanni Battista, mio nonno avrebbe compiuto l'onomastico. Il giorno prima sento mia nonna per telefono, mi ricorda dell'onomastico del defunto nonno. Qualcosa dentro mi dice di andarci.
Sveglia naturale, senza orologio. Preparato per uscire, salto la colazione dato che è Martedì; ho deciso di uscire di mattina e far colazione fuori, pure un cornetto comprato al panificio e mangiato sotto un albero, ma devo uscire fuori.
La messa verrà celebrata alla Madonna del Carmelo. Durante il rosario a poco a poco ci riuniamo vicini nei banchi: Io, Claudio, mamma con la nonna ed infine papà. Spero il nonno ci possa vedere da lassù. Prego per lui, per i miei cari.
Durante la celebrazione una frase torna alla mente:

L'idea scattò fulminea agganciando in fondo al cervello un'immagine prigioniera e sigillata per anni da una dura cicatrice, lampeggiò aguzza come un rasoio tagliandogli l'anima crudelmente, prima che potesse rendersene conto e chiudere il varco, l'immagine uscì con tutta la forza di una molla lungamente compressa .”

Manfredi V. M. , L'oracolo, Stabilimento NSM – Cles ( TN ), giugno 1992, Arnoldo Mondadori Editore SPA.

Non sono anni, ma 8 mesi, oltre 200 giorni ( per la precisione 245 ), diamogli un senso sintetico: più di mezzo anno. Da cosa? Da l'ultima volta che sono entrato in chiesa per sentire una messa.
Era Domenica 20, tardo pomeriggio. Dopo esser stato “sfanculizzato” fuori casa e per passare il tempo mi misi a camminare per Bergamo, fui portato di fronte a nostro Signore Gesù Cristo. Andammo a messa e ci sedemmo accanto, per farmi vedere la tua chiesa, dove pregavi per me, per farmi conoscere Don Carlo che ti aveva tirata via dalla depressione ( cosa non si fa pur di non andare da uno psicologo ) e per andare a messa assieme di Domenica.
Il ricordo era sedimentato nel dimenticatoio, per non soffrire, per dar pace, per guadagnare tranquillità, ma il dimenticatoio si è intasato, è saturo e se non spurgato come una fossa nera, le cose ivi allocate emergono con prepotenza e si presentano.
Mi ha fatto male sentirmi preso in giro davanti a nostro Signore Gesù Cristo, di pari passo mi sono sentito stupido nel pregarlo di benedire la strada intrapresa. Mai in vita mia mi sono sentito tanto cretino. Mai, davanti poi al Principale..

lunedì 5 gennaio 2015

Ho notato che il Blog cade a pezzi. File presi on - line cancellati e filmati andati. Proverò a ri - fare la manutenzione, ma stavolta partendo da scatti personali. In passato avevo già riparato il blog, ma vuoi la mole di post, di lavoro svolto, l'uso di immagini on - line che poi sistematicamente sono scomparse, mi ha portato a non finire e a dover ricominciare dove avevo già finito. Un bel circolo vizioso.
Per ora mi dedicherò allo scaffale "Il mio quotidiano", vediamo cosa ne esce fuori. 

Ritornare sui propri passi .



L'angoscia lo spingeva a frugare dovunque senza metodo e senza precisione e poi a ritornare sui suoi passi nella convinzione di non aver cercato abbastanza bene.. .

Manfredi V. M. , L'oracolo, Stabilimento NSM – Cles ( TN ), giugno 1992, Arnoldo Mondadori Editore SPA, pag 82.

Stai per uscire. Ti fermi davanti lo zaino o la borsa e fai mente locale su ciò che dovrai fare mentre sarai fuori. Le prime immagini si focalizzano sul pavimento dell'attenzione, ma quasi subito le mattonelle saltano ed altre idee si fanno strada, come spinte da una molla molto e da troppo tempo carica.
Il pavimento si sgretola, le idee si affollano e sei lì a dover preparare la borsa per uscire.
Ricominci, magari con l'ausilio di un foglio di carta per scrivere il da fare, lasciando uno spazio tra il margine foglio ed il rigo di scrittura. Dopo darai un ordine cronologico o topografico per quello da sbrigare, aggiungendovi un semplice numero.
Le idee si materializzano sul pavimento dell'attenzione. Scritte alcune cose, il pavimento si sgretola sotto la spinta di geyser. Idee interrotte prendono il sopravvento, trovano fessure tra gli interstizi delle mattonelle e sputano fuori tutta la loro energia, facendo saltare i cocci proprio lì dove prima si focalizzavano le idee.
Ri – provo, la lista è stata fatta a metà e forse riesco a riprendere il lavoro interrotto. Leggo dal vetta lista, proseguo. Aggiungo alcuni particolari non scritti ed appena sono alla fine, iceberg di ghiaccio squarciano il calpestio. Lame appuntite emergono dal profondo degli abissi a notevole velocità, con spinta senza eguali e freni, puntano al pavimento della coscienza, lo urtano, lo rompono con gran fragore, spezzando il sartiame alla base della coscienza.
Riprendo a leggere la lista dal vertice. Scorro sui punti, arrivo verso la fine e la concludo con gli ultimi punti. L'elenco è finito. Torniamo a preparare la borsa. Questo mi potrebbe servire, quell'altro pure, cerco di immaginarmi cos'altro potrebbe servirmi, ma le idee che hanno iniziato a scorrere sul pavimento della coscienza vengono interrotte da un'esplosione di rabbia interiore. Una colata piroclastica di lava lancia in aria lapilli e lava, la rabbia gratta dalle profondità dell'abisso frustoli e brandelli di anima per poi sputarla più alto possibile. Il filo della ragione è perso.
Cerco gli occhiali. Cerco la custodia, ma il loro “solito” posto è vuoto. Mi metto a cercare nell'ingresso, ma la mensola è vuota. Torno nella stanza e ri – apro il cassetto del comodino, forse non ho cercato bene. Ri-frugo senza gran precisione, rovistando tra la marea di oggetti ivi depositati senza un senso o un perchè, sedimentati nel tempo per pigrizia, con la scusa “poi gli troverò una sistemazione”.
Non li trovo.
Ritorno all'ingresso nuovamente, stavolta cercherò con metodo questo guscio. Passo in rassegna i vari oggetti allocati, concludendo che gli occhiali lì non ci sono. L'angoscia mi dice che non ho usato precisione nel cercarli nel cassetto. Torno sui miei passi e rovisto magari prima sul tavolo, poi sulla libreria, ma una voce interiore mi dice che quello non è il loro posto.
Mi rivolgo alla memoria, ma un moncherino amputato risponde. Cerco con angoscia nel cassetto. Prende un annebbiamento della coscienza, come se fosse calata la bruma nella stanza, si fa strada un mal di testa di formiche fameliche che mordono il cervello.

Spiegelman A., Mause, Einaudi Tascabili Stile Libero .
Rabbia, rabbia, rabbia e nuovamente rabbia, arriva, verso gli occhiali, verso la custodia regalatami e non c'è più, verso la memoria che non risponde, verso la coscienza fatta a pezzi, verso quelle emozioni emerse con insistenza e forza dalle profondità del fiume lete per far a pezzi quell'angolo di pace costruito per poter uscire fuori. Rabbia verso la stessa rabbia.
Mi fermo, tra me e me una scena di un fumetto si focalizza, Art Spiegelman, MAUSE, “Lascia stare quel cuscino e si porti via tutti i nostri guai!”. Ripeto tra me e me “Lascia stare gli occhiali! Si portino via tutti i miei malanni!”. Una risata tra me e me scorre sulle labbra. Un venticello di leggerezza entra nella stanza della ragione da una finestra apertasi. Prendo un cappellino e lo indosso, se ci sarà sole mi riparerò gli occhi con questo.
Prendo lo zaino ed esco a sbrigare le commissioni, meno male che non sono subentrate le abitudini che incarcerano tutto e ti asfissiano.

L'immagine appartiene al rispettivo proprietario.
Il materiale letterario appartiene al rispettivo proprietario.