Una
Citroen verde pistacchio sfreccia nella tangenziale, direzione
aeroporto. L'autista corre un po troppo per i miei gusti e per
l'incolonnamento di mezzi sul largo nastro grigio. La percezione è
che abbia fretta, togliersi un pacco di sopra.
Discorsi
di incolonnamenti, incidenti ed ore perse in auto si susseguonoi
mentre fuori una nebbia attanaglia tutto e morde i lineamenti della
campagna, ieri produttiva, oggi inerte pronta ad esser preda della
cementificazione .
Un'uscita
dal nastro grigio attraversa una carreggiata a tre corsie, regolata
da un tenue semaforo che “gestisce” lo svincolo. Il guidatore
taglia sfrecciando la carreggiata ed Io mi afferro alla maniglia
dello sportello. Troppa fretta, cosa celerà? Sono troppo preso da
discorsi per far breccia sul futuro, ma una cortina di nebbia
impenetrabile cela le intenzioni altrui.
Parcheggiamo
l'auto, l'ennesima sbuffata su “si deve pagare anche il
parcheggio”. Lascio scorrere, penso tra me e me “ti offrirò un
caffè”. Guadagniamo l'entrata della stazione, nuovamente questo
casermone nero dai lineamenti rifugio post – nucleare anni '80
inghiotte le nostre sagome.
Andiamo
al BAR, cerco di capire il volo e scopro che è già in ritardo. Lo
comunico a chi mi sta accanto, ma Lei preme per farmi superare il
gate ed andarsene. Non passeremo dell'altro tempo assieme. Le
propongo un caffè e rifiuta, gli dico che potrebbe essere l'ultimo
ed infastidita lo accetta. Dallo sconforto mi metto a parlare
addirittura con dei poliziotti, tanto è l'ermetismo di chi mi sta
accanto. Pure il barrista/cassiere mi sembra più propenso al
dialogo.
Il
caffè senza zucchero scende per la gola, ma amara è la sensazione
provata in quell'aereoporto piuttosto che il caffè non zuccherato.
“E' una bevanda della pace Araba”, ripeto tra me e me, ma
dall'altra parte vedo una persona con il cappello calato, una sciarpa
avvolta al collo, quasi a voler celare il volto.
Gli
dico che ho del tempo prima di dovermi imbarcare, mi risponde che il
parcheggio si paga e tra non molto scadrà. A quel punto basta, non
ce la faccio più, lascio le rendini e capisco che è andata, Un
bacio stampato sulle labbra strette come una saracinesca è il
preludio dell'incamminamento verso i cancelli di controllo. Mi volto
una prima volta e scorgo un volto tagliato da un sorriso cinico sul
volto, incorniciato da cappello e sciarpa. Faccio altri metri, mi
volto e non vedo più nessuno alle spalle. Arrivo al cancello, supero
i controlli, guardo ancora indietro e davvero sono solo.
Come
un malato all'ospedale, cerco il parcheggio dove era messa l'auto,
guardando da dietro le giganti finestre a vetro. Vuoto.
Sento
una parte di me morire. La mia Giovinezza affoga nella melma della
pianura del Serio per una persona sbagliata.
Ciao
ragazzo mio, ciao.