giovedì 3 luglio 2014

Accartocciato dal dolore .

Come una lattina .

Il dolore è quasi palpabile, si direbbe un grumo nero interiore che a poco a poco gonfia. Gonfiano gli occhi, sotto le lacrime che spingono da dietro per fluire. Il dolore comincia interiormente a girare, come roccia nera di ossidiana. Gira, gira e rigira, prende pezzi interiori e comincia ad appiattirli, ad assottigliarli a poco a poco, via – via con maggiore velocità.
Quando il dolore è passato e si è calmato ti ritrovi come una lattina spiaccicata per terra.
Capita .

martedì 1 luglio 2014

La nebbia .


A gli occhi
Chiacchierata familiare passata (12 di aprile). Solita nenia sentita e risentita centinaia di volte e soliti contenuti assoluti: fallito, cretino, incapace, incompetente, buono a nulla etc. . In questa occasione decido di staccarmi da questa maledizione di Sisifo, dichiaro che se l'altra persona decide di impastare tutto e mesco 12 dilarlo all'infinito, lo può far pure, lui prende la sua strada ma Io non lo s pril più. Ribaditi i concetti che dalla merda me ne sono uscito da solo e che non ho la benchè minima intenzione di seguirlo, lo faccio prendere per la tangente ascendente della sua bolla di sapone di retorica. “Ciao – ciao” dico tra me e me, mentre gli ribadisco sbattendo la mano sul tavolo “Tu della mia vita non ti devi permettere di dire più alcun che”. Constata una capacità innata di amnesia selettiva delle cose, per cui decide di dimenticare quello che non gli conviene e passa avanti come un carro armato sovietico con la fanfara dell'armata rossa in sottofondo.
Finita la predica dal pulpito della chiesa mi alzo e me ne vado, scegliendo di non dar più retta. Basta. Con questa tiritera.
L'effetto lo conosco, è come la tempesta elettromagnetica che prendeva la TV prima del digitale terrestre, la mia “nebbia”.
Iersera la mia “gelida amica”, viene a trovarmi dopo il periodo di risalita. Mi lecca i piedi, le gambe, lo stomaco, lambisce il torace ed il suo contenuto e stamattina arriva la “nebbia a gli occhi”.
Una forma di brusio, retro-oculare, come di formiche che camminano negli occhi, un bruciore nel guardare le cose, una difficoltà a star fermo. Un vagare come cieco per le stanze, prima camminando, poi correndo. Infine la constatazione che da gli occhi non ci vedo bene, nel senso affettivo, qualcosa mi dice che non va. Una parte interiore, il mio Io, mi dice di fermarsi, di prendere e scriverne, di trovare un punto di partenza da cui descrivere come mi sento, poi snocciolare le idee ed infine metterle per iscritto, magari con una bella fotografia.

Anello .


Anticoncezionale, non solo per me .
Primo Atto: Cala la sera, ci ritroviamo seduti di fronte al mare a parlare di argomenti difficili. Mi parli del tuo rapporto con Luca ed Io ascolto attentamente, molto attentamente. Sento che hai preso la via del blues quando accenni all'esser restata in cinta e di come questo si sia rivelato un problema per Voi e non una soluzione. Resto agghiacciato dalla descrizione dei colpi alla pancia. Non ce la faccio più, soffoco. Sto male. Il mio Marte interiore urla con la sarissa in mano, non tanto per il comportamento di Lui, quanto ad un concetto ovvio non utilizzato. Ma è poi tanto ovvio? Forse per Me. << Giò, guarda che in un rapporto esiste la contraccezione condivisa, ma a patto che essa non venga scardinata o tolta dalla concezione condivisa. Come dire una coppia decide quando aver figli, ma il fatto di voler amarsi senza il rischio di gravidanze è un punto di partenza per un rapporto>>. Il mio Marte interiore urla di gioia. Hai chiarito questo punto, bravo. Gli occhi di lei cambiano, come se avesse avuto un cambiamento di direzione e vira dal Blues.
Secondo Atto: Ti è rimasto il boccone in gola, ma la tua fame è tanta ed altri appetiti vogliono esser soddisfatti. Vuoi esser presa e fatta mia da ogni parte, anche Lì. La cosa mi inquieta un po e ti ricordo che abbiamo scelto la contraccezione condivisa. Ma non chiudo la porta alla possibilità di instaurarla e parlarne assieme.
Terzo Atto: La notizia dell'anello anticoncezionale mi giunge all'orecchio in un momento particolare, è festa . La macchina scorre sull'asfalto, abbiamo superato un paio di semafori e prendo l'argomento della contraccezione condivisa. Ti chiedo di parlarmene e sei restia, quasi infastidita. Percepisco dell'astio nelle tue parole, ma voglio andarci a fondo su questo punto. Ti chiedo di spiegarmi il funzionamento dello strumento. Una descrizione scarna di particolari giunge, ti “giustifico”, sei alla guida.
Ma qualcosa non torna, appena ti chiedo di condividere la spesa del contraccettivo, salti dal sedile, come se avessi provato a metterti un cappio in gola. Come già ti dissi in altra occasione, se siamo una coppia allora dobbiamo condividere anche la spesa dell'anticoncezionale. Porti su di te la scelta del non condividere, che l'acquisto è tuo e che non ce n'è bisogno. La cosa mi lascia turbato ed infastidito, un altro pezzo di rapporto è saltato e la cosa non mi piace.
Ora capisco che l'anticoncezionale non era solo nostro, o meglio l'anticoncezionale non era solo per me, ma per un altro Noi che era un Voi ma con Massimo. Se a posteriori non glielo comprò addirittura lui l'anticoncezionale, come dire “La vacca che si fa mettere il giogo di sopra dal proprio padrone”.

Politica degli errori .

Fino a Seicento ?

La bici scorre sul lungomare. Più che una strada, sembra una via crucis. Superato il semaforo incontro Paolo, un saluto ed una considerazione “Coglione!”. Dopo il depuratore ed incrocio Claudia alla guida, dico tra me e me “Avanti un altro..”. Nei pressi di Torretta si vanno a sommare una serie di ricordi in negativo legati al luogo. Mi lascio convincere dalle parole dei radiocronisti alle cuffie e vado avanti.
Al ritorno, lasciato alle spalle un incidente, vedo una seicento tentennare nell'immissione in carreggiata. Sembra strano che proprio una piccola utilitaria tentenni al sopraggiungere di una bici per impegnare la corsia; in altre occasioni avrebbero inserito la prima e tagliata la strada .
Mi avvicino al mezzo. Riconosco il volto al volante, controllo il numero di targa e mi rendo conto che la volta precedente avevo sbagliato a segnarlo, dannate ultime lettere del codice. Mi fissa, come si fissa un fantasma passare . Mi domando “Perché?” ed è il preludio a tanti perché che si fanno strada nella coscienza.
Perchè non ho chiuso prima? Portare avanti per 2 anni una storia che non si sbloccava, non è che sia stata una gran scelta. Oggi in parte me ne pento, in parte mi incazzo con me stesso: una cosa morta va chiusa e basta. Forse ingenuamente credevo che si poteva riparare ed andare avanti, ma il silenzio di tomba non è che sia stato un grande aiuto. Sacrifici su sacrifici. Errori dietro errori, correzioni, passi indietro, riconoscimento di sbagli, scusa e poi per cosa? Per ritrovarmi il corpo devastato e la mente pronta a saltare.
Mettici l'essermi ridotto ad un topo in gabbia che appena ha avuto un briciolo di libertà se l'è svignata, non è che abbia concluso molto. Errori su errori.
Uno è stato anche con Lei, non appena vedevo che la situazione si sarebbe messa male, avrei dovuto chiudere, da entrambe le parti, ma il suo ricordo in quei 3 anni di inferno trascorsi, è come un dolce fiele che ammalia.
La notte passata assieme la porto dentro, come una notte tanto desiderata, voluta, cercata, l'essermi sciolto e mischiato in lei e con lei dopo tanta fame e miseria, assumeva guarda caso le sembianze di un porto sicuro dove approdai in periodo di burrasca e fame.

Lì morì la mia giovinezza .

Una Citroen verde pistacchio sfreccia nella tangenziale, direzione aeroporto. L'autista corre un po troppo per i miei gusti e per l'incolonnamento di mezzi sul largo nastro grigio. La percezione è che abbia fretta, togliersi un pacco di sopra.
Discorsi di incolonnamenti, incidenti ed ore perse in auto si susseguonoi mentre fuori una nebbia attanaglia tutto e morde i lineamenti della campagna, ieri produttiva, oggi inerte pronta ad esser preda della cementificazione .
Un'uscita dal nastro grigio attraversa una carreggiata a tre corsie, regolata da un tenue semaforo che “gestisce” lo svincolo. Il guidatore taglia sfrecciando la carreggiata ed Io mi afferro alla maniglia dello sportello. Troppa fretta, cosa celerà? Sono troppo preso da discorsi per far breccia sul futuro, ma una cortina di nebbia impenetrabile cela le intenzioni altrui.
Parcheggiamo l'auto, l'ennesima sbuffata su “si deve pagare anche il parcheggio”. Lascio scorrere, penso tra me e me “ti offrirò un caffè”. Guadagniamo l'entrata della stazione, nuovamente questo casermone nero dai lineamenti rifugio post – nucleare anni '80 inghiotte le nostre sagome.
Andiamo al BAR, cerco di capire il volo e scopro che è già in ritardo. Lo comunico a chi mi sta accanto, ma Lei preme per farmi superare il gate ed andarsene. Non passeremo dell'altro tempo assieme. Le propongo un caffè e rifiuta, gli dico che potrebbe essere l'ultimo ed infastidita lo accetta. Dallo sconforto mi metto a parlare addirittura con dei poliziotti, tanto è l'ermetismo di chi mi sta accanto. Pure il barrista/cassiere mi sembra più propenso al dialogo.
Il caffè senza zucchero scende per la gola, ma amara è la sensazione provata in quell'aereoporto piuttosto che il caffè non zuccherato. “E' una bevanda della pace Araba”, ripeto tra me e me, ma dall'altra parte vedo una persona con il cappello calato, una sciarpa avvolta al collo, quasi a voler celare il volto.
Gli dico che ho del tempo prima di dovermi imbarcare, mi risponde che il parcheggio si paga e tra non molto scadrà. A quel punto basta, non ce la faccio più, lascio le rendini e capisco che è andata, Un bacio stampato sulle labbra strette come una saracinesca è il preludio dell'incamminamento verso i cancelli di controllo. Mi volto una prima volta e scorgo un volto tagliato da un sorriso cinico sul volto, incorniciato da cappello e sciarpa. Faccio altri metri, mi volto e non vedo più nessuno alle spalle. Arrivo al cancello, supero i controlli, guardo ancora indietro e davvero sono solo.
Come un malato all'ospedale, cerco il parcheggio dove era messa l'auto, guardando da dietro le giganti finestre a vetro. Vuoto.
Sento una parte di me morire. La mia Giovinezza affoga nella melma della pianura del Serio per una persona sbagliata.
Ciao ragazzo mio, ciao.

lunedì 30 giugno 2014

Dove è finita la sensazione di sazietà

Miseria e nobiltà, by Me .
Mi siedo a tavola mangio, mangio meccanicamente, ingurgitando ogni cosa presa a tiro, fino a quando la sensazione di sazietà piena al basso ventre appaga i sensi ed ammutolisce la ragione.
Ma da un paio di anni a questa parte non la percepisco . Me ne resi conto alla cena sociale dell'AVIS Milazzo del 2012, quando seduto al desco e ripercorrendo le sensazioni percepite in quel momento, mi resi conto che avevo ingurgitato una mole di alimenti, ma la sensazione ebbra di appagamento non arrivava. Dovetti alzarmi da tavola ed uscire a camminare, tra rutti e peti per poter sgomberare l'intestino e far scorrere la nausea di vomito attanagliante.
Da un po di tempo la situazione sembra essersi calmata, ma dietro l'angolo c'è una fame nera ed un sonno nero che lambiscono la coscienza.
Forse dovrei dar attenzione alle sensazioni quando sono a tavola, non forzarle, capirle e dargli un senso. Forse ho cercato a tavola quello che altrove non riuscivo a saziare avendo fame, ma non c'era di che sfamarsi. E forse il non aver fatto i conti con questa sensazione di mancata sazietà ed eccessiva fame, mi ha portato prima a mangiare cibo contaminato e poi alimenti tossici.