venerdì 5 settembre 2008

Logo triste .

C’è anche la tristezza .

Era un po’ che non usavo il logo, vuoi per comodità, vuoi per poco tempo, mi sono reso un po’ conto che nell’isola avevo perso un suo compagno di viaggio caratteristico: il piccolo squalo . Ora normale, poi piangente, in seguito innamorato, ridente ed infine triste.
Quale sarà la prossima espressione che riuscirò ad esprimere con il disegno? Chissà… Intanto facciamoci 2 risate, perché la troppa tristezza non è buona. Ed il troppo ridere, si domanderà il lettore attento? Del troppo ridere non mi stancherei mai.
AVE ATQUE VALE

Il traghettare .

Charun, ovvero psicopompo Etrusco. 
A volte quello che abbiamo in cuore non è proprio una delle migliori emozioni provate. Da che prima toccavi il cielo con un dito ed eri pronto a superare l’impossibile per avere ciò che volevi, a che passi in un latente stato di dolore interiore che non ti lascia.
A volte ci conviviamo, altre volte vorremo sbarazzarcene al più presto. In certe occasioni sensazioni quali il dolore interiore non accennano a diminuire e vorresti proprio crollartene nell’oblio.
Possa Carun traghettare nell’oltretomba questo sentimento che provo in petto. Fa male e basta.

NB: Affresco proveniente da una tomba Etrusca ( alias Tirrenica ) di Tarquinia.


mercoledì 3 settembre 2008

Dolore 02 .

Il neurone preposto al trasporto del dolore nei vertebrati.

Tra i vari sensi che ci permettono di scoprire il mondo esterno, il dolore è il più arcaico.
Dal punto di vista filogenetico è la prima forma di esterocezione ( capacità di percepire il mondo esterno ) che la natura abbia elaborato. Ha il compito di difendere la nostra integrità fisica, per cui può essere visto in chiave utile, ma a lungo andare se cronicizza, il dolore stesso può diventare una malattia invalidante.

Tum….. Ahi!... Tum…. Ahi!... Tum .

Tum….. Ahi!... Tum…. Ahi!... Tum
Capita di ritrovarti davanti agli occhi una persona simile ad un’altra, per occhi, carnagione, capelli e costituzione fisica, ed è come se avessi di fronte una fotografia vivente, che respira, parla. In quel momento è come se il cuore venisse invaso dalla morte .
Senti il petto non più pervaso da sangue caldo, ma liquido refrigerante che azzanna con un morso il cuore e lo dilania. Senti che i punti dati con tanta fatica ad una ferita non ancora rimarginata, vengono ferocemente strappati, la ferita viene squarciata e riprende a sanguinare.
Senti dolore interiore, il volto si allunga, i lineamenti sono marcati, le narici sono alitanti, l’inespressività di una maschera di coccio prende il posto al volto di un essere umano. Ti chiudi dentro perché hai paura che gli altri capiscano che provi dolore, e per evitarne dell’altro datoti gratuitamente alla sola vista, in quel momento ti chiudi ancora di più, affinché non arrivi un’altra scarica di dolore interiore che ti ammazzerebbe.

martedì 2 settembre 2008

Come installare Resident Evil per PC .



Semplice ed accurato.

Un paio di settimane fa mi viene voglia di Playstation. Tra gli sportelli di un mobile, trovo la cara console regalatami per i miei 18 anni . Tutto contento ma preoccupato, provo ad accenderla e con grande piacere vedo che gira, non a caso la piccolina ha “solo” 10 anni. Faccio partire il primo gioco, poi il secondo ed infine la voglia di Resident Evil si fa strada.
Da qualche parte trovo il gioco, ma appena messo nel lettore, non da segni di vita, il gioco è praticamente KO. Un po’ deluso, cerco di creare una copia di backup, ma non riesco, è come giocare all’archeologo informatico: software come cloneCD, i CD Verbatim ( quando erano ottimi ) fermo restando che 10 anni trascorsi di informatica possono considerarsi pari a 50 anni biologici.
La copia di backup va a male. Da qualche parte dovrei avere la versione per PC, ma l’ultima volta che lo vidi girare c’era un Windows 95 e la bellezza di un Pentium 200. Bellissimi ricordi di macchine potenti ed affidabili con software gestibili e semplici.
Faccio l’azzardata di farlo partire con Windows Xp, ma…. Nulla. Provo le varie modalità di avvio seguendo i vari consigli dei forum di discussione, ma alla fin fine scopro che in italiano si scrive poco di informatica, male e c’è un copia – incolla selvaggio dove la stessa notizia viene ripetuta all’infinito da pseudo – guru dell’informatica . Etichetto alcuni di coloro che rispondono sui forum informatici pseudo – guru perché alla fin fine non sanno neanche cosa voglia dire ciò che scrivono, tanto l’ha scritto un altro e di certo sarà corretto ( grossissima minchiata ).
Nel mio peregrinare per internet approdo a You-tube. Tra i vari trailer del filmato di apertura
( era un po’ quello che volevo ri - vedere ), trovo il filmato ( sopra pubblicato ) dove un ragazzo spagnolo spiegava passo – passo come installare il gioco.
Spagna 1 – Italia 0 in questo caso del campo informatico, ma il caso non è unico. Facendosi un giro per i vari server, gruppi di discussione, sviluppo di software etc. i ragazzi iberici si mangiano letteralmente i coetanei italiani. Lontani sono i tempi in cui l’informatica italiana era di pochi appassionati che producevano una qualità di informazione e risultati alti. Bei tempi…

Pomeriggio a mare .

Venerdì pomeriggio ( 08 del mese scorso ) mi squilla il telefono, Daddo mi diceva quatto – quatto di prendere maschera e boccaglio per andarcene a mare. Partito il Vespone e salito per il Capo di Milazzo, arrivo a casa sua e suono.
Pochi minuti e Davide non si fa attendere, destinazione baracca di Antonio. Fatta una discesa ripida e difficile ( che in seguito scoprirò fatta regolarmente da Antonio con il motore ), un angolo di paradiso marittimo capiciano si apre ai nostri occhi.
Salutato il padrone di casa e fatto il punto della situazione, inforchiamo pinna e maschera per un tuffo in acqua, alla ricerca di chissà cosa.
Un paio di immersioni vanno a vuoto, poi Davide trova una maschera. Incuriosito da un relitto di ferro a circa 5 m di profondità, mi immergo per scrutarlo. Era un pezzo di una nave con avvinghiate intorno reti morte. Non ci vedo nulla di particolare se non un relitto ingombrante in ferro, ma Davide scorge qualcosa di più.. Si immerge subito a gran velocità, sguainando il coltello e mollando fendenti in un anfratto del relitto. Finita la riserva di ossigeno risale e gli domando:
- Che hai troavato?
- Un polipo!

Non me lo faccio ripetere 2 volte che parto alla ricerca del pesce. Il grandissimo figlio di buona donna va a rintanarsi ancora di più nell’anfratto, gli molliamo colpi di coltello, scuotiamo il pezzo di lamiera, ma lui nulla, niente lo smuove. Indispettiti arriviamo all’idea di portare in secca tutto il pezzo, polipo all’interno, ma dopo un paio di immersioni e pochi metri l’idea viene cassata: nulla da fare siamo troppo stanchi.
A Davide viene l’idea dell’erba per stanare il polipo, così mentre lui va a riva per prendere il vegetale necessario, io resto di guardia all’imboccatura della tana. Durante l’attesa mi viene un’idea: E se giocassimo d’astuzia, nell’attenderne l’uscita dalla tana, ricoprendo il varco con il retino?
Finisco di formulare il concetto e già vedo Daddo immerso ad inserire l’erba nella tana. Il polipo tutto inferocito sbuffa fuori acqua ed erba, sabbia e detriti, nonostante tutto il trambusto l’erba irritante non lo stana. A questo punto Davide punta all’arpione ricurvo per stanarlo, ma per prenderlo deve tornare a riva, nel mentre io gioco d’astuzia: Tendo l’agguato al polipo.
5 minuti di attesa con calma e a debita distanza dal rifugio del mollusco, mi permettono di avere ragione. Mette fuori il primo tentacolo, il secondo, il terzo, quando è uscito tutto non ha neanche il tempo di capire che è in trappola, perché gli chiudo la via di uscita alle spalle: Il pesce è in trappola.
Tutto orgoglioso faccio rotta per la riva, guardo ed ammiro il polipo battuto in furbizia, ma è troppo presto per cantare vittoria. Il retino è bucato, il polipo fermo non sta e come un forsennato cerca una via di uscita. La trova, la allarga, esce i tentacoli uno dopo l’altro e a me non resta che accorge mene con la coda dell’occhio mentre scappa. Incazzato nero gli mollo una coltellata, ma lo stronzo di tutto punto mi sputa il nero in faccia e si dilegua.
Rammaricato della perdita torno dagli altri, meno male che “ci consoliamo” con pane caldo, ricci e patelle. Una merenda da favola.
L’esperienza mi ha permesso di vedere un capiciano pescare il polipo, se avessi avuto un mezzo di ripresa subacqueo, avrei girato il mio primo documentario intitolato “ La pesca del polipo capicina”. Pur non avendo il mezzo di registrazione le sequenze si sono impresse indissolubilmente dalla mente, per cui quando voglio è come riviversi quella avventura e giocare d’astuzia con il polipo.