venerdì 14 febbraio 2014

Infisso dalle frecce


300: Pioggia di frecce .

 
Ho difficoltà, ad esprimere emozioni, sensazioni, il mio Io. La mente è affollata da cose, pensieri, idee, problemi, sfiducia e discussioni. Cicatrici su cicatrici mentali affollano la coscienza. Toccarle mi da una scarica di sofferenza interiore che si tramuta in lacrime nere, che svuotano e non liberano.
Da 3 mesi piango ogni giorno o quasi, anche più di una volta al dì. Ho una montagna di merda interiore da spalare e non ci riesco a toglierla tutta. Il blog da una mano, la lettura di “cinquanta sfumature..” mi permette di trovar spunti di coagulazione dei pensieri su concetti altrui espressi, ma non basta.
Ho bisogno di scrivere, parlare, confrontarmi, ascoltar musica, dir la mia. Ieri parlare con Stefano mi ha dato una mano. Poter chiacchierare delle proprie cose personali con un coetaneo della propria terra, con cui si condivide molto, aiuta e molto.
Ma quello che da ai nervi sono le continue scariche di dolore interiore provate. Mi sento come il San Bastiano legato ad un albero per il martirio. Frecce nere, appuntite e taglienti infisse nelle membra, tronco, costato, braccia e gambe.
Provo a muovermi, verso una persona, una ragazza, una situazione difficile, un esame. Ad unisono i dardi come antenne iniziano a vibrare e dolermi. Il dolore interiore spacca, rompe, ammacca, accartoccia.
Devo fare uno sforzo sovrumano per trovare la forza di piegare un braccio apparentemente libero e dirigerlo verso la freccia che duole maggiormente. L'afferro, altro dolore si sprigiona, comincio a tirarla.
Uno sbocco di sangue nero esce dalla bocca e lacrimo sangue che riga il volto. Uno sbuffo di dolore esce dalla bocca e lascio la presa.
Resto tramortito, fino a quando riprendo i sensi. A quel punto ricomincia la via crucis. Allungo la mano libera verso la freccia, l'afferro tra dolori. Fili di sangue iniziano a lacrimare dal punto di infissione. Il nodo a rete, grigio ed impolverato che serra la gola, stringe la voce. Stringo i denti, punto le dita dei piedi per terra, mi faccio forza trattenendo il respiro in un'apnea/agonia. Dagli spazi interdentali un soffio profondo e gutturale sputa fuori bava e sangue. Rivoli rossi scorrono giù dalle rime labiali. Un tremitio scuote il corpo, lo sbuffo scioglie il nodo, le labbra si schiudono, mentre la testa della freccia scorre via dalle carni.
Un sibilo prima tenue e poi via – via più intenso trova spazio in gola. Il sibilo diviene urlo, l'urlo squarcia il silenzio. L'urlo diventa un grido di dolore che gratta le corde vocali ma decresce non appena la punta infissa nelle carni esce.
La porto a gli occhi. Una goccia di liquido rosso cupo coagula sulla punta. Gocciola per terra. Mi guardo attorno inebetito. Non trovo nessuno, figuriamoci Te. L'amica rabbia mi solletica il volto, scaglio il dardo il più lontano possibile. Capisco che è una cattiva amica di viaggio e non cedo alle sue lusinghe di compagnia. Mi ricompongo per pochi secondi ed inebetito guardo il resto delle code di piume nere che tappezzano l'animo e quante ancora ne dovrò estirpare.
Una domanda mi torna a mantra: Perchè mi sono fatto del male? La risposta non arriva ancora, forse un giorno. Intanto mi riposo, per poi riprendere con le restanti. Amorevolmente mi sono state scagliate contro da una Forsennata, subito dopo essersi fatta a pezzi con la lama de “Il fallimento” ed ebbra dell'odor di sangue, ti sei scagliata con chi avevi accanto.

Il materiale audio-video appartiene al rispettivo proprietario.

Ti ho vista...

..fare giochi con lo specchio .
Serata da nessun rimpianto, nessun rimorso. Scivolo sul tuo profilo alla ricerca di un segnale di vita, qualsiasi. Qualcosa che mi dica che ci sei, che esisti, un segno anche piccolo, che mi dica che tu ci sia. Niente, foto già viste.

Nessun rimpianto – 883

Scorro sui vecchi scatti e l'attenzione cade su uno in particolare. In piedi, appoggiata ad uno stipite di legno, impugni una reflex. Sarà sicuramente una Nikkon. L'obiettivo è rivolto al centro dell'inquadratura, ma la tua figura è riflessa al centro, lateralmente, verticalmente, in più proiezioni. Sono varie angolature di specchi che riproducono la tua persona.

Quella che non sei – Luciano Ligabue.

Cambia il disco, da Max Pezzali nell'orecchio interno arrivo ad ascoltare Ligabue, Quella che non sei. Emerge il verso:

Ti ho vista fare giochi con lo specchio

Un gusto amaro di bile tinteggia ed insinua le fessure dentali, inonda la bocca. Il palato sembra accogliere il gusto della morte dell'anima. Un amaro per ciò che poteva essere e per quello che speravo. Forse troppo.. Capita.


« Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, abbiamo toccato il fondo. Rialzarsi sarà per me molto difficile. » (Marco Pantani[25])

martedì 11 febbraio 2014

Sogno di una notte di mezza estate.

E solo questo resta, mentre un sonchus oleraceus L. “Cardella” guarda il terrazzo .
Ho dovuto aspettare il 10 gennaio del nuovo anno prima di tornare in quel luogo che fu nostro. Una fitta al cuore mi prende all'idea di scavalcare il cancello come quella sera.
Ho bisogno di rigiocare le carte, arriverò sul posto da un'altra entrata, un po più lunga, impervia ma puntellata da scorci paesaggistici che mi aiutano nel percorso della via crucis. E poi ufficialmente devo raccogliere del finocchietto selvatico per cucinare.
Cardella” e “cavuliceddu” quanto ne voglio, anche punte di ortica e della “cosca vecchia”. La prima borsa delle verdure è piena, ma di finocchietto neanche l'ombra. Sarò costretto a dovermi dirigere verso il faro.
Trovata una soluzione di continuità nella rete sul bordo della strada, posso guadagnare il viottolo che porta alle scale. Una lacrima di “sangue” fuoriesce da una delle ferite dell'animo camminando sul selciato come quella sera.
Tu bellissima indossavi il tuo sorriso ed un vestiario da ragazzina, tra le mie braccia mentre con le borse cariche di ciò che dopo avrebbe deliziato due persone adulte, passavamo tra ragazzine e ragazzini travestiti da donne e uomini che facevano la fila per entrare in discoteca. Ricordo i loro sguardi magnetizzati da un uomo ed una donna che con il sorriso stampato sul volto si dirigono verso una serata tutta loro, che nessuno mai potrà mai condividere e di cui non esiste lista di accesso al privè. Guardo le tue converse gialle e la tua camicia bianca, confrontandoli con i tacchi vertiginosi di una vestita di nero. Ti trovo perdutamente sensuale ed ho voglia di farti mia.
Come un manto di tenebra i ricordi avvolgono il cuore mentre salgo da solo i gradini, ma mi faccio permeare dal sole della giornata e le nebbie si diradano.
Hanno pulito dove quella sera erano sterpaglie che lambivano il sentiero, ora un prato ampio con tenere piantine si apre. Indugio un po. Ho la scusa di cercare del finocchietto selvatico. La doppia busta al braccio sinistro dichiara di voler raccogliere i germogli per cucinarli, ma in cuor mio faccio fatica a voltarmi verso il faro. Raccolti quelli a disposizione e finita la scusa, mi volto verso la struttura, il giallo delle pareti riflette la luce del sole ed un caldo invito ad andare verso la terrazza si presenta.
Faccio la prima rampa di scale, cerco di ricordare i discorsi fatti quella sera, ma la memoria è muta, è tornata sabbia liscia su cui poter scrivere, levigata dalle onde della rimozione.
Un'emozione forte e chiara riemerge, quella della mattina quando ti condussi per la prima volta sulla terrazza. Volevo farti assaporare le bellezze del posto prima di scendere verso la scogliera. Decisi di puntare prima al faro e complice la chiara mattinata, ti ci portai.
La scarica elettrica che mi/ci attraversò quando volontariamente o involontariamente mettesti la mano vicino alla mia, quasi pronta ad esser toccata. Un senso di pudore mi prese, ritrassi la mia e mi chiusi a guscio. Toccarti la mano era un gesto troppo intimo e personale. Non mi sentivo pronto, non eravamo ancora nulla e vissi quel gesto come un'eccessiva invasione. Lo percepisti come un rifiuto.
Ti chiudesti a riccio. Quando scendemmo dalla ripida scaletta di metallo, sulle prime rifiutasti la mano che ti porsi per aiutarti di facciata, ma in cuor mio giocavo al gatto con il topo per capire la tua reazione conseguenza del porgerti la mano in una situazione di cortesia. Rispondesti da dura, ma Io da prepotente ti diedi lo stesso la mano e ti aiutai a scendere.
Le fila dei ricordi si riallacciano e quella sera diventa questa sera, le cose fluiscono in un caldo dolore. Sei con me, sei mia e voglio darti la mano non da cortesia, ma da un uomo che vuole aiutare e vuole la sua donna. Ti tiro su come un uccellino dalla scala. Finisci tra le mie braccia e forse un bacio scocca tra di noi, uno dei tanti, sempre più belli. Un retrogusto di fumo lambisce la bocca, non ci voglio dar tanta retta.
Guadagniamo il centro della terrazza e dispongo i teli da mare e sotto il tappetino di gommapiuma in modo da guadagnare un quadrato su cui poterci distendere sotto la volte di questa notte stellata e baciata dalla luna.
Apro la borsa frigo ed estraggo una bottiglia di Glicine ghiacciato. Prendo della frutta che prima avevo pulito e tagliato per noi e su i passi a base di vino e frutta con le mani e le labbra inizia la danza.
La mente apre un altro capitolo, un'altra botola al cui interno scendo/precipito e la mente va ad una sera d'estate di tanti anni prima, quando Donatella mi invitò a trascorrere una giornata con lei all'Hilton Hotel a Giardini Naxos. La serata della festa in bianco trascorse con la bellissima ragazza dai lunghi capelli ondulati che mi danzava intorno. Ci corteggiammo mordendo e mangiando dalle altrui mani grappoli e chicchi di uva. Questa sera la voglio fare nostra e mangiare nuovamente ma con Te uva, frutta e bere vino con e dalle nostre mani, in un concerto di passione fatto di notte d'estate, stelle, buio schiarito dalla torcia del faro e voglia di viversi a fondo questi momenti.
La frutta è mangiata da labbra che offrono all'altrui bocca bocconi di pesca noce o chicchi di uva. Le dita che porgono all'altro scampoli dolci finiscono nell'altrui bocca o labbra, un gioco di seduzione forte ci prende. Gli occhi con cui ci guardiamo ci fanno assaporare l'un con l'altro. 
 
 
Ti alzi dal quadrato “nostro”, come ubriaca di emozioni e barcollando ti dirigi verso l'inferriata. Gusti il panorama delle isole Eolie illuminate a presepe in lontananza, quasi volessi toccarle con le tue stesse mani. Ti appoggi all'inferriata e ti lasci permeare dalla bellezza della notte che ci avvolge come maschera.
Ti raggiungo. Sei di spalle tra le mie braccia in un caldo abbraccio. La memoria ha voluto lasciar andar via molti particolari, per cui ci ritroviamo nudi incastrati perfettamente nell'altro. La passione è tanta e forte, ti voglio tutta mia, senza lasciar nulla al caso. Ti ci aggrappi all'inferriata come un capitano sul castello di poppa durante una tempesta. Un caldo vento di scirocco spira alle nostre spalle, portando le note della sottostante discoteca alle nostre orecchie, ma le mie sono catturate dalle tue urla di piacere, mentre volano su gli aliti di vento verso le isole. “Chissà se le sentirà la Liparota?”, penso compiaciuto tra me e me.
Ti sollevo con le mie braccia, come una bimba ti sento sul mio petto e ti adagio sul telo. Vino, frutta, carezze e piena libertà di esprimersi ci prende. Come fiumi in piena ci prendiamo e ci mischiamo. Un amore forte, caldo e tenero come il calore che sale dal terrazzo, il vento di scirocco solletica le nostre pelli madide dell'altrui sapore. 
 
Gli sprazzi dei ricordi mi attraversano come fiume in piena non appena salgo sul terrazzo. Un Sonchus oleraceus L., alias una “Cardella” dall'intenso colore giallo, le stesse che raccoglievo e portavo a mia nonna strada facendo di ritorno da scuola, guarda timidamente il terrazzo del faro. Immagini ed emozioni danzano in un sabba bellissimo ma mortale. Tra me e me a poco a poco mi riprendo. Prendo i pezzi del nostro trascorso, ora mio passato e puntellati da qualche scatto guadagno la discesa dalla terrazza.
Ancora tanta strada ho da fare, così come tante cose ho da compiere oggi. Nuovi sentieri si dipartono ed Io ancora non ho trovato il finocchietto che mi serve.

Squilli .

Anonimi .
C'è stato un periodo in cui mi giunsero squilli anonimi . Questo periodo si è ri-presentato, cambiano i soggetti, l'intensità degli eventi, ma le dinamiche sono le medesime.
Squilla il telefono, 1, 2, 3 volte, fino a quando non rispondo. Appena sente la mia voce stacca la chiamata.
Il telefono squilla, rispondo e cerco di parlare alla Tipa. Parole dolci, magari si convince a dir qualcosa per rompere il muro del silenzio. Niente.
Arriva una telefonata, anche 2 in una giornata, provo a farla parlare, ma niente di che. Appena è il suo turno di rispondere, stacca il telefono.
Comincio a scrivere su Facebook per tenere un diario degli eventi. A parte la generale curiosità ed il sarcasmo preso per compiacenza all'evento, non ottengo grossi risultati, se non capire che la Stolker è tra i miei contatti del social-network. Tra questi un'amica mi consiglia un'applicazione da impiegare verso le chiamate anonime, ma consiste nel riuscire a rifiutare la chiamata.
Si apre una gara a chi stacca per primo. Snervante e non esauriente.
Un'altra amica mi suggerisce di finirla: cambia numero e spanna un po di gente da Facebook . Oltre ad un consiglio legale di presentare una denuncia per stalker alla locale stazione di polizia.
Per ora ho deciso di ignorarla. Dopo si vedrà, prima o poi si dovrà stancare della sua vita e di quello che fa, uscendosene dal porcile dove grufola rotolandosi per terra.
Ho la netta sensazione che sia quella persona a cui ho dato poco per poco tempo, ma che siano stati i più grossi doni e conforti in un periodo difficile. Il problema è che nella situazione in cui sta, ci sta bene e non vuole uscirsene, tirando dentro chiunque possa aiutarla a puntellare e tenere in vita una situazione assurda ed invivibile.

lunedì 10 febbraio 2014

Apnea .


Guillaume Nery base jumping at Dean's Blue Hole .

Vorrei indossare il costume, per poi volgere al mare e scendere a “gamba di donna”. Prepararmi per l'apnea con dovizia di particolari, pinne, calzari, maschera, boccaglio, muta integrale, pesi per un corretto assetto.
Adagiarmi a pelo d'acqua per la respirazione sul bordo del marciapiedi a vermenti ed iniziare a toccare con mano interiore tutti, ma proprio tutti i bei pensieri e ricordi della vita. Dal primo ricordo felice in culla guardando i puà Rossi della volta del cesto, a quando venne a prendermi a scuola il nonno, senza scordarmi del primo bacio. Li passerei in rassegna, accarezzandoli, sentendoli nuovamente miei, come quando ti abbracciai sulla pensilina alla stazione di Milano.
Raccoglierli tutti, tenerli in un grande abbraccio e tuffarmi nel mare, sprofondando nel blu profondo. Arrivare a vedere con i miei occhi interiori tutti questi momenti, salutarli, ringraziarli e lasciare giù, proprio la sotto i momenti negativi. Magari lavarli e stemperarli, commistionarli con i belli, mischiati in modo che li nel profondo blu perdano gli eccessi e poterli riprendere con me.
Aggrapparsi alla corda di risalita e ad ogni manata prendere un brutto ricordo, lasciarlo nelle profondità oppure portarlo con me ma meno intenso. Salire con decisione braccio dopo braccio, sentirsi via-via leggero, per poi bere all'uscita un sorso di aria fresca e brindare alla rinascita. .

domenica 9 febbraio 2014

L'inferno.. .

Di piazza Dante Alighieri .
Giornata bella, quasi irreale. Clima primaverile ci avvolge intorno e dentro. Sembra quasi di volare sulle bici. Io contento di pedalare, sopratutto con Te, ma grato a tuo padre di avermi prestato il suo velocipede. Capisco da subito che è un prezioso prestito, la tratto con riverenza quasi sacrale. Prima di salirci sopra, conscio dei miei 100 e passa, testo le ruote. Capisco che sono sgonfie e ti chiedo di andar dal benzinaio.
A passo celere ci dirigiamo verso la pompa di benzina ed Io attingo alla mia cultura povera ma presente di meccanica di bici. Gonfio le ruote con una cura neanche se fosse l'ultima volta in vita mia. Testo i freni con precisione e cura. Noto il tuo sguardo su di me che mi elettrizza, faccio tutto con il mio tempo e meravigliosamente bene dentro me. Ti accorgi che mi impegno in ciò che faccio e rimanendo stupita da come curo la bici, lo condividi con me. Una gioia immensa mi pervade il cuore, sapere che apprezzi ciò che faccio per noi mi riempie di felicità.
Chiedo al benzinaio quanto è il disturbo, una risata è il preludio degli arrivederci. Saliamo in sella ed iniziamo a pedalare. Tremante dallo spettacolo di vederti in bici, allungo il passo ed accostando dico << Ringrazia tuo padre per avermi prestato la bici. >> Con un sorriso abbagliante mi rispondi << Fabio. Lo devi ringraziare perchè ti ha dato la figlia!>>.
Rimango scioccato, quasi intontito. Questo al mio paese vuol dire che il padre si fida di me e mette nelle mie mani la sua figliola. Un senso di pesantezza mi sale sulle spalle, come di troppa responsabilità. 
 Pedaliamo per le vie, il traffico è scorrevole e gli autisti non ci mettono sotto. Arriviamo ad un primo parco comunale, giriamo intorno ad un ruscello ed Io vorrei fermarmi lì. I miei occhi ti vedono ninfa, mi innamoro per l'ennesima volta e quasi piango nel vederti.
Proseguiamo a pedalare, dritti verso un altro parco. Varcatone il cancello, mi fermo a fotografare una foto sul rispetto degli spazi comuni e sulla necessità di raccoglier i bisogni dei cani. Il cartello mi ha colpito perchè dimostra con mano che basta poco per iniziare ad avere uno spazio comune pulito.
Riprendiamo il percorso con il vento in poppa, forse chiudono il parco o forse l'ufficio dove lavori, ma sento che voglio seguirti e non farti andar via.
Guadagniamo l'uscita dello spazio verde, ma incrociamo un volto familiare. Io ho come paura a veder quella persona, qualcosa mi dice di aver già visto quei lineamenti da qualche parte. E' tuo zio.
Ti fermi a parlare ed Io mi metto un po in disparte. Mi sento in imbarazzo e quasi fuori luogo, dato che dentro di me gira e rigira un disco rotto “Lei è precaria, Tu pure. Ma che cazzo ve state a dì? Qui ci stai per poco tempo e rifatta la valigia di cartone, te ne tornerai a casa tua. Non tessere legami.”
Ti fermi a parlare, la discussione diventa lunga ed Io ho terminato le scuse per indugiare. Appoggiare la bici, scendere con calma, bere alla fontanella, guardare il cartello. Ho finito le scuse, non posso più starmene in disparte, anche perchè mi ha puntato con lo sguardo ed ha il viso di chi vorrebbe conoscermi, oltre a te che vorresti presentarmi. Non ne posso fare a meno. Mi avvicino e mi presento con “Fabio” ed un sorriso impaurito mi si dipinge sul volto. Dall'altra parte è riservato un sorriso dolce ed affabile, disponibile e da zio verso un nipote acquisito, simile a quello dello Zio Ettore. Mi sento ancora più in imbarazzo, non so che dire o fare, sento e capisco che Io qui sono di passaggio e l'anima è straziata tra far il coglione affabile ed il menefreghista “tanto sono qui solo per fottere”. Mi avvicino e timidamente ascolto, scambio qualche parola e mostro curiosità ed interesse.
Una stretta di mano pone fine alla mia passione, mentre ci avviamo definitivamente all'uscita mi arriva la voce dello “zio” << Trattala bene, è una ragazza d'oro>>.
Un sorriso tirato accompagna un impaurito << Certamente >> dalla bocca. Vorrei urlargli che Io qui sono di passaggio, ma il tempo è poco ed il posto è fuori luogo, lui non mi conosce e sento che Tu mi stai tirando dentro ad un copione fatto e ri-fatto decine di volte, con chissà quante altre persone prima di me.
Un ulteriore peso giunge sulle mie spalle, sento i piedi vacillare, come un colosso dai piedi d'argilla comincio ad oscillare.
Mi sento fuori luogo ed impacciato, ma giungiamo al tuo posto di lavoro. Mi presenti le colleghe ed Io ho portato un pensierino dalla Sicilia per loro: penna e righello AVIS Milazzo per tutti, presenti ed assenti. Sicuramente saranno utili. Baci, saluti ed abbracci.
Complimenti dalle tue colleghe che non mi staccano gli occhi di sopra, tessono lodi per la cortesia e la gentilezza, mentre tu mi sfanculizzi lanciando sul tavolo la tazzina di caffè. La cosa non mi fa molto pensare su momento, ma dopo, a mente fredda tornando sul caffè come bevanda della pace e dei rapporti sociali, penso che mal celavi il tuo disturbo verso un Marucchin che nel bene e nel male, partendo da una condizione svantaggiata riesce a intrattenere rapporti anche con le tue colleghe.
Incontro tutti, dalla collega pronta ad andarsene via per fine contratto, alla dirigente di settore. Mi sento cortesemente accolto e credo che la cortesia serva a non farmi mettere radici o tessere rapporti umani.
Guadagniamo l'uscita dello stabile, ripetendo il percorso che quotidianamente impegni ed oggi mi confessi di volerlo condividere con me. Mi sento un cuore di cane, da una parte felice perchè lo vuoi fare con me, per noi; ma dall'altra so che è una facciata ipocrita. Saliti sulle bici ci dirigiamo verso il Sentierone, ti guardo pedalare e ti trovo sempre più bella ad ogni falcata.
Mi fermo a prendere del pane ed una mozzarella ad un gazebo di prodotti che espongono davanti a gli archi, mentre tu mi racconti l'ennesimo aneddoto di casa tua e della tua famiglia. Mi sento fuori luogo ed impacciato, cosa ho fatto per meritare questa doppia tortura? Da una parte mi rendi partecipe della tua vita, ma dall'altra mi sbologni.
Arriviamo in piazza Dante, posiamo le bici vicino ad una panchina ed i nostri occhi iniziano ad intrecciarsi. Mi cerchi con lo sguardo mentre mi spari insistentemente delle domande, delle necessità, delle speranze.
- Fabio, ho 35 anni.
Con un pizzico di ansia nella voce.
Sdrammatizzo con un: - Fino a prova contraria 34, forse quasi 35, ma Io il mio tempo non lo cedo a nessuno, neanche un frammento se non alla donna che amo. Un buco nell'acqua, continui la filippica. Chissà quante volte l'hai detta e ri-detta.
Voglio farmi una famiglia. Voglio sposarmi. Voglio avere dei figli. Farmi una casa e crescervi la mia famiglia.Un fiume in piena ghiacciato mi giunge addosso, quasi non capisco dove sono finito. Mi sento come i Romani nella selva di Teutoburgo caduti in un'imboscata. Mi muovo con affanno ed impacciato.
Le tue domande e richieste di certezza sopravanzano come un cingolato, non c'è modo di scansarle, almeno per via del forte legame che provo verso te. Mi tieni il volto con la mano destra sulla guancia sinistra. Ancora è come se sentissi il calore del tuo palmo sulla pelle. Scruti i miei occhi come uno “spiaggiatore” scruta la sabbia, scorrono le pupille per percepire ogni singola increspatura degli occhi che tradisca le emozioni interiori.
Decido di affrontarle. Guardo la fontana, l'acqua che scorre, le fronde degli alberi. Il mio staccare lo sguardo dal tuo per trarre respiro non è bene accetto.
Sono impacciato, goffo, maldestramente mi muovo, spanno. Hai preso la mia Chicca, scatti foto a più riprese rivolte a me. Tra me e me mi dico “Vorrai veder con calma il mio volto più tardi e capire se ciò che ho detto è differente a quello che esprimo”. Maledette fotografie, ma allo stesso tempo benedette perchè ti fanno vedere come gli occhi dell'altro fotografo vedono le cose.



Sulle note di “Lisa Gerrard - Now We Are Free” mentre lo stormire degli alberi mi rincuora, ricordandomi proprio il pezzo de il Gladiatore, trovo la forza per afferrare una semplice domanda “Bimbo mio, vuoi tu questa donna per la vita?” Come un pirla di dimensioni assurde dico tra me e me “Si”.
Capitolo, ormai non ho scuse, sono Tuo. Non connetto più, sono cotto, innamorato, perso in Te, ho accettato di rispondere a questa domanda ed esprimo la mia volontà a farmi un futuro con Te.
Più stretti di prima, almeno per me, volgiamo a “casa”. Per la prima volta cucinerai per me e ciò che vedrò tra i fornelli non sarà bello, ma ormai sono capitolato e ti ho accettata accanto a me.

Avrei voluto esser Ulivo ...

Per Te .
Avrei voluto esser ulivo secolare per Te, affinché tu vite avessi avuto modo di avvolgerti intorno. Con le mie fronde badare a Te e cullare la prole che avresti partorito.
Avrei voluto vedere il tuo sorriso stanco affaticato ma gioioso, mentre per prima stringevi ciascuno dei pargoli che via via avresti dato alla luce, mentre ebro di felicità mi sarei avvicinato a voi e tra le mie braccia sarebbe nato un nuovo Noi.
Avrei voluto sentire il profumo del tuo latte, mentre nutrivi la nostra prole, gioiosamente trasportata una ad uno in fasce coloratissime avvolte intorno a tronco.
Avrei voluto caricarmi le spalle di ampi zaini per la montagna, pieni di ciò che ci sarebbe servito a far famiglia in montagna, senza scordarci di portare almeno un cucciolo sulle spalle per fargli veder meglio l'orizzonte, come ogni buon Berti è abituato sulle spalle del proprio Babbo.
Avrei voluto far i conti la sera, per capire su cosa avessimo potuto intervenire per giungere a fine mese. Fare dei sacrifici per i pargoli e riuscir poi a sorprenderti per il tuo compleanno con qualcosa per te di inaspettato.
Avrei voluto.. Tante cose, ma eri la persona sbagliata.

Aqua .

Non è un errore di battitura .
Prende il via nell'Isola di Melee un nuovo scaffale, intitolato “Aqua”. Non è un errore di battitura, bensì l'utilizzo del vocabolo acqua in Latino. E' un ricollegarsi al motto da me adottato AVE ATQUE VALE e le varie implicazioni classiche che gli studi hanno comportato.
L'oggetto dello scaffale/insenatura dell'isola è ciò che ruota intorno a questo elemento, riscoperto con la scelta di cimentarmi in apnea.
Erano anni che ci giravo intorno, complice l'alzata di scudi pesante di mia madre quando comprai la muta subacquea, senza scordarsi le discussioni assurde paterne circa il fare pesca sub.
Timidamente ci tornai in contatto nell'estate di 4 anni fa, quando complice un mar di ponente lercio dai liquami, mi dovetti dedicare anima e corpo a nuotare nella piscina della Tonnara. Lì qualcosa si mosse, continuato poi nell'autunno ma bloccato dalla discussione poco stimolante con Salvatore B. Fortunatamente con Katia riuscimmo a trattare dell'argomento e a metterlo a dormire, circa le profonde e belle sensazioni provate quando a fine allenamento di nuoto libero mi concedevo un'immersione a fondo vasca per premiarmi.
Oggi il premio me lo prendo periodicamente. Faccio apnea ed ho riscoperto questa parte di me da troppo tempo malcelata.