Emozioni . |
Domenica 16 settembre del CA. Al locale arriverà e festeggerà il compleanno, la fidanzata del fratello di Valentina. Dentro di Me, appena il fratello è venuto a parlare per il tavolo, ho “sentito” da subito che Valentina arriverà.
E’ quell’emozione che conosco, fatta di battito del cuore mancato all’appello, di attesa per una persona importante che viene a trovarti a casa, di gioia, di felicità, di speranza. E’ bellissima, quasi di bollicine alla pancia, come se dentro portassi una bottiglia di buon moscato e sa che è messa a raffreddare per poi esser stappata.
Arriva la domenica del compleanno e lei entra in sala. Vestito attillato verde, aderente, le si possono contare gli elementi della tartarughina alla pancia. E’ stanca in volto, coperto di fondotinta, dove sbocciano le sue labbra di un rosso perfetto che ne esalta la dolcezza dei lineamenti della rima labiale.
Tolgo il rivestimento al tappo della mia bottiglia interiore di moscato. Comincio a pregustare le emozioni.
Sono a lavoro, c’è una sala da portare aventi e comande da prendere. Chiedo al collega Claudio una cortesia fraterna, di trattarla come se fosse “la mia ragazza”, avendone un occhio di riguardo. Claudio mi dice “Va bene! Non ti preoccupare!” e sento il cuore più leggero.
La gabbietta allo spumante interiore è tolta.
Per tutta la sera ci studiamo a distanza, con mezzi sguardi furtivi. Ad un certo punto passo volontariamente davanti a Lei per farmi notare, con il più bel sorriso che ho e con la coda dell’occhio la vedo intenta a guardarmi e farsi prendere dai suoi soliti tic nervosi quando la colpisco. Il collo fa uno scatto a destra, un colpetto della testa in su, le spalle lievemente tirate indietro, le labbra che si chiudono a bocciolo di rosa per una brevissima porzione di tempo, per poi rilassarsi e mostrare per una piccolissima fessura delle labbra gli incisivi, incastonati tra le morbide labbra. E’ segno che mi ha notato, ma questo non sempre è un segnale buono con Vale, a volte è preavviso di inizio irradiazioni pericolose.
La sera va avanti, Io non posso perdere molto tempo appresso a Lei e ne tanto meno ne ho. Vado avanti ed ogni tanto le butto un occhio. Le rivolgo un timido ( alla Max Gazzè ) saluto vocale ma non ho risposta. Un altro tic, uno scatto di lato, fa finta di non conoscermi. Un saluto vocale accompagnato con un gesto di mano sortisce maggiore effetto. Ho risposta.
Passo un paio di volte dal tavolo per chiedere al fratello se tutto è a posto, le risposte poco convinte da sorcio dubbioso sono la conferma dello stampo di famiglia.
La cerco con gli occhi tutta la sera e per un momento ho come l’impressione che mi stia aspettando, forse in bagno, forse un messaggio sul cellulare.
E’ tutta una sera che provo a stappare il mio tappo interiore alla bottiglia e non ci riesco.
Il momento in cui la vedo entrare in bagno credo che sia il momento giusto, stappo il mio spumante interiore. Escono le bollicine interiori, lo spumante inizia a sgorgare. E’ brio, è dolcezza, è voglia di vivere, è felicità. Il nettare di Dioniso sgorga e bagna.
Controllo il cellulare e non vedo cenno. Esce dal bagno e non è sola.
Guardo dove il mio spumante interiore bagna e vedo del grigio.
La sera passa, guardo il cellulare sperando in un messaggio, ma niente. L’occhio interiore guarda un altro po dove la bevanda interiore sia finita ed il posto assume i connotati di cemento grigio.
Arriva il momento della torta della festeggiata, chiedo a Claudio di sporzionarla Io. E’ una torta setteveli, a base di cioccolato da lei adorato.
Ancora ripenso ai suoi regali, un libricino su pensieri dolci e cioccolato ed al suo primo pensiero fatto di una stecca di cioccolato al riso soffiato. Le faccio una fetta più grande degli altri, nascondendovi sotto una fogliolina di cioccolato, sarà felice nel trovarla alla fine della torta.
Il mio spumante interiore continua a zampillare, ma il mio occhio interiore focalizza che il grigio cemento è un muro.
La sera è finita. Vale si alza e se ne va via. Rimane nel gruppo per sgattaiolare via, risponde ad un mio accenno di saluto, senza guardarmi troppo.
Il mio occhio interiore, dopo una seduta dalla dottoressa, focalizza che il muro di cemento è sempre quello del nocciolo nucleare impazzito di Valentina e che il mio spumante interiore si è sboccato su esso. Un senso di fastidio mi prende, assieme ad una sensazione di pericolo.
Me ne vado via, senza aver mandato a distanza di una settimana un messaggio alla Vale per dirle che “il verde ti dona”.
Capita.
E’ quell’emozione che conosco, fatta di battito del cuore mancato all’appello, di attesa per una persona importante che viene a trovarti a casa, di gioia, di felicità, di speranza. E’ bellissima, quasi di bollicine alla pancia, come se dentro portassi una bottiglia di buon moscato e sa che è messa a raffreddare per poi esser stappata.
Arriva la domenica del compleanno e lei entra in sala. Vestito attillato verde, aderente, le si possono contare gli elementi della tartarughina alla pancia. E’ stanca in volto, coperto di fondotinta, dove sbocciano le sue labbra di un rosso perfetto che ne esalta la dolcezza dei lineamenti della rima labiale.
Tolgo il rivestimento al tappo della mia bottiglia interiore di moscato. Comincio a pregustare le emozioni.
Sono a lavoro, c’è una sala da portare aventi e comande da prendere. Chiedo al collega Claudio una cortesia fraterna, di trattarla come se fosse “la mia ragazza”, avendone un occhio di riguardo. Claudio mi dice “Va bene! Non ti preoccupare!” e sento il cuore più leggero.
La gabbietta allo spumante interiore è tolta.
Per tutta la sera ci studiamo a distanza, con mezzi sguardi furtivi. Ad un certo punto passo volontariamente davanti a Lei per farmi notare, con il più bel sorriso che ho e con la coda dell’occhio la vedo intenta a guardarmi e farsi prendere dai suoi soliti tic nervosi quando la colpisco. Il collo fa uno scatto a destra, un colpetto della testa in su, le spalle lievemente tirate indietro, le labbra che si chiudono a bocciolo di rosa per una brevissima porzione di tempo, per poi rilassarsi e mostrare per una piccolissima fessura delle labbra gli incisivi, incastonati tra le morbide labbra. E’ segno che mi ha notato, ma questo non sempre è un segnale buono con Vale, a volte è preavviso di inizio irradiazioni pericolose.
La sera va avanti, Io non posso perdere molto tempo appresso a Lei e ne tanto meno ne ho. Vado avanti ed ogni tanto le butto un occhio. Le rivolgo un timido ( alla Max Gazzè ) saluto vocale ma non ho risposta. Un altro tic, uno scatto di lato, fa finta di non conoscermi. Un saluto vocale accompagnato con un gesto di mano sortisce maggiore effetto. Ho risposta.
Passo un paio di volte dal tavolo per chiedere al fratello se tutto è a posto, le risposte poco convinte da sorcio dubbioso sono la conferma dello stampo di famiglia.
La cerco con gli occhi tutta la sera e per un momento ho come l’impressione che mi stia aspettando, forse in bagno, forse un messaggio sul cellulare.
E’ tutta una sera che provo a stappare il mio tappo interiore alla bottiglia e non ci riesco.
Il momento in cui la vedo entrare in bagno credo che sia il momento giusto, stappo il mio spumante interiore. Escono le bollicine interiori, lo spumante inizia a sgorgare. E’ brio, è dolcezza, è voglia di vivere, è felicità. Il nettare di Dioniso sgorga e bagna.
Controllo il cellulare e non vedo cenno. Esce dal bagno e non è sola.
Guardo dove il mio spumante interiore bagna e vedo del grigio.
La sera passa, guardo il cellulare sperando in un messaggio, ma niente. L’occhio interiore guarda un altro po dove la bevanda interiore sia finita ed il posto assume i connotati di cemento grigio.
Arriva il momento della torta della festeggiata, chiedo a Claudio di sporzionarla Io. E’ una torta setteveli, a base di cioccolato da lei adorato.
Ancora ripenso ai suoi regali, un libricino su pensieri dolci e cioccolato ed al suo primo pensiero fatto di una stecca di cioccolato al riso soffiato. Le faccio una fetta più grande degli altri, nascondendovi sotto una fogliolina di cioccolato, sarà felice nel trovarla alla fine della torta.
Il mio spumante interiore continua a zampillare, ma il mio occhio interiore focalizza che il grigio cemento è un muro.
La sera è finita. Vale si alza e se ne va via. Rimane nel gruppo per sgattaiolare via, risponde ad un mio accenno di saluto, senza guardarmi troppo.
Il mio occhio interiore, dopo una seduta dalla dottoressa, focalizza che il muro di cemento è sempre quello del nocciolo nucleare impazzito di Valentina e che il mio spumante interiore si è sboccato su esso. Un senso di fastidio mi prende, assieme ad una sensazione di pericolo.
Me ne vado via, senza aver mandato a distanza di una settimana un messaggio alla Vale per dirle che “il verde ti dona”.
Capita.