Un fiore di cappero è una cosa molto particolare e fuori dai luoghi comuni. Ti ritrovi a camminare per sentieri inospitali, scogliere a picco sul mare, in mezzo a sassi, sotto un sole cocente che trapassa la trama del cappello, secca ogni pianta e spacca il terreno, per trovarti davanti una pianta dal verde smeraldo, incorniciata dal cielo o dal mare blu.
Sorpreso ti avvicini per scrutare questo cespuglio, abbarbicato su una roccia, con i lunghi rami pendenti a strapiombo nel vuoto, dalle piccole foglie incastonate nella nicchia scavata nel muro. Guardi questa pianta arroccata nella roccia più inospitale, dove in un anfratto trova un pugno di terra mista a sabbia a cui si attacca, senza cedere mai e l’unica cosa che puoi fare è scrutarne le parti.
Sotto i rami pendenti come dei salici piangenti, si intravede il cuore nodoso del corpo della pianta, forgiato dal sole che lo cuoce, la salsedine che lo brucia, il vento che lo strazia e le voraci mani umane che strappano i germogli più teneri.
L’occhio cade sui rami piangenti, da verde intenso, vivi, splendenti. Alle estremità dei rami, tra le foglie di un colore sempre più verde e sempre più morbidi, qua e la fanno capolino i boccioli del fiore.
Boccioli, ora piccoli e teneri, ora grossi e tesi, quasi esplodono, volendo gridare la vita che racchiudono. Scorri i boccioli e trovi il primo, il secondo ed il terzo sbocciato, piccoli bracci verdi che racchiudono il fiore. Petali bianchi come la spuma del mare in burrasca, o nuvole nel cielo quando sembra di smeraldo, come un velo di sposa all’altare che ti attende o come il latte appena versato sulla tazza.
In questo lago di bianco spuntano i pistilli viola, che sfumano dal bianco ad un colore sempre più acceso ed intenso. Sembrerebbero delle labbra da baciare o un fiore da cogliere. Guardandolo pensi che abbia un profumo ammaliante, ma mentre ti ci avvicini per assaporare, rischi di finire impinzato da una vespa o altro imenottero che sugge nutrimento.