Di calcio . |
Non è una novità, il calcio non mi piace. Da bambino provai a tifare Torino, perché il Toro ne era il simbolo, come il segno zodiacale, rosso come la passione. Per una serie di motivi su cui sorvolo passai a tifar Fiorentina, più per chiudere sul nascere e non sentire le discussioni dei tifosi che si accaniscono uno sull'altro .
Un altro è il motivo per cui il calcio non mi piace, riconducibile al punto precedente, ci sono partite, a mio avviso molte, in cui le squadre che si affrontano sul rettangolo di gioco, fanno poco sport o niente. E' un rinchiudersi in tatticismi, aspettare l'altrui errore per poterne approfittare, la palla viene lanciata non si sa dove e si aspetta che qualcosa accada.
Si aspetta che il pallone superi la metà campo avversaria, si aspetta che gli attaccanti siano ben piazzati e che i mediani tirino la palla, si aspetta che il difensore intervenga e salvi l'azione di attacco, si aspetta che il portiere salvi dal goal. Si aspetta, si aspetta, si aspetta. Si aspetta che accada qualcosa, si attende che si faccia dello sport, che lo sport venga fuori, che corrano, saltino, passino la palla, la fermino, la stoppino, la rilancino, la parino. A volte il risultato è un pareggio, una perdita condivisa, non c'è un vincitore ed un vinto, perdono entrambi.
Giunge il dopo-partita, commenti su commenti, discussioni su discussioni, fiumi di parole con opinionisti veri o presunti, quarti di gazzelle esposte, ex sportivi che non hanno concluso molto nella loro carriera ma esprimono un'autorevole opinione, programmi quali “Il processo del Lunedì”, del Martedì e del Giovedì, 90° minuto, 88° secondo e 3/4, Mai dire goal, Mai parare, Vai con il liscio e Vai con il dritto, contenitori/pollai.
Un vociare a più riprese, con urla che schizzano da una parte e l'altra, accuse, rimproveri, discussioni ed elegie, difese ed invettive, ipotesi di perdita, ipotesi di vincita, vincitori morali e perdenti affettivi.
Un analizzare con potenti strumenti tecnologici il nulla e rilevare con mezzi precisi, accurati ed efficienti quegli avanzi di sport usciti fuori sul green, improvvisando voli pindarici su reminiscenze sportive del secolo scorso; risalendo all'alto Evo del calcio moderno per trovare una giustificazione a ciò che è stato fatto. Senza scordare il nostalgico di turno che rimpiange il tempo passato in cui il “calcio” era una cosa seria ed ora è una “mxxxa”. Non dimentichiamo il martire di turno per la par condicio, a cui intitolare campi sportivi dove non hanno fatto grandi numeri.
Questo discutere, fare, parlare od intendere non interessava e non interessa.
Ho fatto rugby, perché lì sport se ne faceva tanto e chiacchiere poche. Esserci e giocare sull'erba era già una vittoria ed ho provato a portarlo nella vita.
Mi sono ritrovato a giocare nel green della vita partite dove l'avversario giocava a calcio ed Io ero il nemico da abbattere, mentre per Me l'avversario era colui che mi avrebbe permesso di onorare lo sport con una bella partita, lasciando indelebile in entrambe le parti il ricordo di un'esperienza vissuta da entrambe le parti.
Ho imparato a fingere.
Un altro è il motivo per cui il calcio non mi piace, riconducibile al punto precedente, ci sono partite, a mio avviso molte, in cui le squadre che si affrontano sul rettangolo di gioco, fanno poco sport o niente. E' un rinchiudersi in tatticismi, aspettare l'altrui errore per poterne approfittare, la palla viene lanciata non si sa dove e si aspetta che qualcosa accada.
Si aspetta che il pallone superi la metà campo avversaria, si aspetta che gli attaccanti siano ben piazzati e che i mediani tirino la palla, si aspetta che il difensore intervenga e salvi l'azione di attacco, si aspetta che il portiere salvi dal goal. Si aspetta, si aspetta, si aspetta. Si aspetta che accada qualcosa, si attende che si faccia dello sport, che lo sport venga fuori, che corrano, saltino, passino la palla, la fermino, la stoppino, la rilancino, la parino. A volte il risultato è un pareggio, una perdita condivisa, non c'è un vincitore ed un vinto, perdono entrambi.
Giunge il dopo-partita, commenti su commenti, discussioni su discussioni, fiumi di parole con opinionisti veri o presunti, quarti di gazzelle esposte, ex sportivi che non hanno concluso molto nella loro carriera ma esprimono un'autorevole opinione, programmi quali “Il processo del Lunedì”, del Martedì e del Giovedì, 90° minuto, 88° secondo e 3/4, Mai dire goal, Mai parare, Vai con il liscio e Vai con il dritto, contenitori/pollai.
Un vociare a più riprese, con urla che schizzano da una parte e l'altra, accuse, rimproveri, discussioni ed elegie, difese ed invettive, ipotesi di perdita, ipotesi di vincita, vincitori morali e perdenti affettivi.
Un analizzare con potenti strumenti tecnologici il nulla e rilevare con mezzi precisi, accurati ed efficienti quegli avanzi di sport usciti fuori sul green, improvvisando voli pindarici su reminiscenze sportive del secolo scorso; risalendo all'alto Evo del calcio moderno per trovare una giustificazione a ciò che è stato fatto. Senza scordare il nostalgico di turno che rimpiange il tempo passato in cui il “calcio” era una cosa seria ed ora è una “mxxxa”. Non dimentichiamo il martire di turno per la par condicio, a cui intitolare campi sportivi dove non hanno fatto grandi numeri.
Questo discutere, fare, parlare od intendere non interessava e non interessa.
Ho fatto rugby, perché lì sport se ne faceva tanto e chiacchiere poche. Esserci e giocare sull'erba era già una vittoria ed ho provato a portarlo nella vita.
Mi sono ritrovato a giocare nel green della vita partite dove l'avversario giocava a calcio ed Io ero il nemico da abbattere, mentre per Me l'avversario era colui che mi avrebbe permesso di onorare lo sport con una bella partita, lasciando indelebile in entrambe le parti il ricordo di un'esperienza vissuta da entrambe le parti.
Ho imparato a fingere.