lunedì 28 novembre 2016

Carte sbagliate .


Si aspetterà un nuovo giro di karma .
Il social network presenta i risultati della ricerca. Con noia scorro la lista, è tardi e sto adotta, non adotta un piffero. Sono finito un paio di volte nel carrello, ma a parte le buone intenzioni, non è che abbia ricevuto altro, anzi, mi sono esposto a psicopatiche in cerca di vita da rosicare/succhiare.
Scorro sulle persone con l'hashtag specifico per la ricerca e l'attenzione cade su Una. Tra la ragazza che vuol sembrare donna, ma senza prendersi troppo sul serio, tra la strafottente e l'incuriosita, qualcosa mi ricorda Rò. Mando l' “incantesimo”.

Attendo.

Passano dei giorni e quasi ci spero, vorrei proprio giocarmela con questa ragazza, mi piace e molto. Ricevo la possibilità di risponderle il 30 Ottobre. Iniziamo a parlarci a morsi e spizzichi.
Procedo con cautela nell'esprimermi, memore delle esperienze fatte in precedenza, qualcosa con questa persona mi piace. Mi ricorda Rò, ma non è Rò. Va di pancia, ma non travolge la pancia. Ho voglia di sentirla, di parlarle e farla mia. Non so come mai, le emozioni di pancia colpiscono e si fanno avanti. Una ventata mi prende. Me la gioco calcolata perché c'è una parte di me in partita, un pezzo di sentimento pulsante.
Scrivo, non molto, domando ma senza essere invadente, attendo i lunghi periodi di risposta, ma non mi agito più del dovuto. Tanto è già un traguardo l'avere una risposta e poter parlare di pancia (mitigata), con una persona che piace.
La discussione si fa per le lunghe, troppo elaborata, troppo costruita. Butto di pancia una notte che sento di perderla nelle sue risposte. Faccio in modo di poter esprimere quello che sento, senza essere invadente alla prima occasione possibile sui lineamenti. E' fatta, un pezzo di me sussulta, sono riuscito a dare forma con le parole a ciò che sento dentro.
La discussione si protrae per quasi 1 mese, faccio un invito a scambiarci i numeri di telefono, ma qualcosa mi dice dentro di me che questa persona, ha bisogno del suo tempo per poter decidere, è lenta nel farlo, o forse attenta calcolatrice?
Ricade la discussione in un monotono cosa fai, cosa dici, etc. Una sera la pancia mi prende e butto fuori quello che ho dentro, osando un pizzico di più. La chiacchierata prosegue liscia con una maggiore passione da parte sua. Mi chiede se avessi Whatsapp.
Gioisco.
Le do il numero ed attendo la risposta sull'altro social network, potrò inviare foto a sostegno delle mie idee e magari riceverle. Senza scordarsi la voce.
Arrivano i primi scambi di messaggi, Io fremo e sono felice come uno scolaretto. Mi sento leggero e felice, direi quasi in “up”. Sono idee che scorrono, pensieri che prendono forma, emozioni che vengono espresse. Iniziamo a sentirci periodicamente e poi una sera arriva la nostra prima telefonata, da quasi subito. Sono le 4 di mattina quando ce ne andiamo a letto e ci salutiamo molto più intimi di prima.
Io volo con la mente, ho voglia di vederla, di sentirla di avere quel pezzo di me dentro di Lei. Perchè la cosa sembrerebbe di entrambi. Anche lei è molto presa dalla cosa e vorrebbe vedermi. Parliamo, parliamo molto, telefonate serali, mattutine, pomeridiane.
Un pomeriggio, di una domenica, al termine del lavoro mi dedica una canzone, la ascolto in riva al mare a fine turno, con un cielo al tramonto fantastico, mi sento in pace con il mondo e con me stesso, sento qualcosa di profondo per questa persona, sento di essere legato a Lei.
In una telefonata iniziamo a parlare di quello che proviamo l'uno per l'altro, però ho l'errore di essere troppo esplicito, troppo invadente negli spazi comuni, dico troppo. Lei mi domanda cosa sono per Lei, io sintetizzo con un'immagine del pomeriggio in spiaggia: Sono un'ombra colorata che ti parla, ne più e ne meno e se non facessimo il passo successivo di vederci, Io resterò tale e come tale scomparirò appena la luce verrà proiettata su di Me.

La luce viene proiettata, ci diciamo che siamo impegnati da entrambe le parti, ma qualcosa dentro mi dice che chi è da Lei dall'altra parte è sempre più presente, come un'ombra a poco a poco consumata dai raggi solari, a poco a poco mi restringe lo spazio concessomi.
Inizio a stringere il cerchio, voglio vederla. Inizia un lento e subdolo interrogatorio vago da parte sua, come di chi saggia la mercanzia: età, stato di salute, peso, posizione sociale, posizione economica, prospettive di vita. Mi sembra di risentire il discorso di Rossana e quello di Federica sulla realtà dei fatti. Qualcosa mi dice che la sto perdendo pezzo dopo pezzo.
Le telefonate serali non ci sono più, restano le chiamate mattutine formali, a colmare un vuoto di compagnia prima di arrivare a lavoro.
Si rinfaccia la stanchezza pomeridiana nel dar retta all'altro, si mandano foto a mezzanotte quando Lei è con Lui. Su questa mi incazzo e glielo dico, mi hai mandato scatti di Te con Lui. Poi arriva la foto del cambio di capelli, mi son detto “è fatta”, ci sono cambiamenti in vista e di certo non sono buoni per Me.
Comincio a dire al mio ragazzo che la cosa finirà, che non ci sarà un “ci vedremo”, non ci sarà un “staremo assieme” ne tanto meno un “farti mia”. Non ci saranno molte altre cose, ma almeno un traguardo l'ho raggiunto.

Arriva la telefonata Fatidica. Alessia è sull'incazzato/voglio sistemare le cose/ho preso una decisione. Io sono quello da sacrificare tra i due, perché sono troppo distante. Tanto per lasciare il dolce in bocca dopo l'amaro, se fossi stato qui Fabio, le cose sarebbero andate molto diversamente.
Ripenso alla teoria delle vite spezzate in passato ed al suo riferirsi al film “Al di là dei sogni” di Robbin Williams. Forse in questo giro di carte del Carma, io avevo una carta sbagliata nel mio mazzo e non me ne sono reso conto.
Aspetterò un altro giro di giocata, forse in un'altra vita, se mai ne esisterà una.
Cade il silenzio dopo la telefonata Fatidica.

30 Dicembre del 2015, la radio suona una canzone. Il tono è tra l'innamorato ed il dannato, prendo il cellulare e faccio partire l'applicazione per l'identificazione del brano. Nell'attesa della connessioene con il database sospetto che sia un rapper francese, forse di colore e forse non da solo.
La rispota è la seguente:


Maître Gims - Est-ce que tu m'aimes ?

Quattro persone all'interno di due storie diverse/sbagliate. Il pensiero và ad Alessia, vorrei dedicargliela come Lei mi dedicò:


Ed Sheeran – Photograph in quel di dell'Immacolata ed Io me la gustai fronte costa a fine di un servizio massacrante a lavoro.

Qualcosa si ferma.

Domanda: Io mi sto piangendo il mio lutto, in maniera composta ma pesante. La flertata con Noemi se n'è andata a farsi friggere per Lei, la storia con Fede ha avuto un colpo pesante, mi sono esposto come non fato in altre occasioni, ma stavolta qualcosa mi trattiene, forse un pizzico di egoismo.
Perchè espormi ancora con questa dedica? Perchè tirar fuori le emozioni e poi ricevere una porta sbattuta in faccia, o magari neanche aperta? Bergamo ed il suo dolore incancrenito mi richiamano, per quale motivo farsi fare ancora male? La sua ultima foto inviatami, scatto di una sua fotografia da ragazzina con proiettata sulla superficie riflettente la sua sagoma contemporanea consumata da strega, mi trattiene. Perchè spendere passione, emozioni, amore per una persona che non gliene fotte più un cazzo di me? Mi faccio una risata ed esco dall'asse viario, abbandonando la strada della memoria.

Quid prodest? Il resto è un post..

Il materiale audio e video appartiene al rispettivo proprietario.

giovedì 24 novembre 2016

Cantiere

36 .




Volente o dolente c’è da ricominciare e come solito, metto tra i punti di questo nuovo inizio il blog. Ha funzioni importanti: dire la mia in maniera riservata ed aiuta a ricordare. Cosa? I passaggi e momenti della vita, le fasi buie e non, la strada fatta e quella da percorrere, senza scordare di lasciar traccia dei sentieri e viottoli attraversati.
Questo nuovo capitolo l’ho voluto intitolare Cantiere 36, vari i motivi.
“36” è la mia età momentanea, ho 36 anni e non nego di avere le palle abbastanza girate. Non voglio prendermela troppo, ho voglia di andare avanti, ma non sulle medesime mulattiere, ho voglia di provare cose nuove, nuovi modi di ragionare, pensare, senza scordarmi che sono Io.
“Cantiere” perché c’è del lavoro da fare, scelte da prendere, ipotesi da formulare e conclusioni da trarre. Ci sarà un bel po da fare.
C’è una cosa importante che reputo sia doveroso fare in prima battuta in questo spazio e che possa essere il leitmotiv conduttore: Alleggerire. Una formula di restayling dove l’obiettivo è alleggerire la vita e la persona, in modo da muovermi con maggiore disinvoltura nel quotidiano.
Mettere da parte i problemi o meglio ancora risolverli o perché no, non entrarci, evitarli, schivarli, risolverli e magari lasciarli perdere. Un cercare di prevedere le cose, ma non con la psicofisica di Asimov nel Ciclo della fondazione, ma cercando di capire le conseguenze delle azioni e vagliarne ove possibile i pro ed i contro, senza appesantirsi.
Leggerezza, volatilità e serenità.
Ho bisogno di “alleggerire” la mente e la persona. Non a caso il peso ponderale a tre cifre comincia a farmi preoccupare. Come mi disse il dermatologo, “spero abbia raggiunto il suo peso corporeo maturo”. Ho il sospetto che sia un peso a tre cifre, ma una parte di Me si trova male, nei movimenti, nelle proporzioni ed agilità, nonché come sensualità.

Cantiere 36, a lavoro và!

lunedì 22 agosto 2016

Ed il primo compleanno del "nonno" è arrivato.

martedì 26 luglio 2016

Riprendo le fila sul blog, ma è difficile, sopratutto con Me stesso.

sabato 16 luglio 2016

Venire a conoscenza proprio oggi che non riesci a dare fiducia a chi tradisce per Te, lascia l'amaro in bocca.  Per ciò che ho fatto contro di Me, verso chi ho lasciato e per come sono rimasto.

venerdì 20 maggio 2016

Partita .

Di calcio .
Non è una novità, il calcio non mi piace. Da bambino provai a tifare Torino, perché il Toro ne era il simbolo, come il segno zodiacale, rosso come la passione. Per una serie di motivi su cui sorvolo passai a tifar Fiorentina, più per chiudere sul nascere e non sentire le discussioni dei tifosi che si accaniscono uno sull'altro .
Un altro è il motivo per cui il calcio non mi piace, riconducibile al punto precedente, ci sono partite, a mio avviso molte, in cui le squadre che si affrontano sul rettangolo di gioco, fanno poco sport o niente. E' un rinchiudersi in tatticismi, aspettare l'altrui errore per poterne approfittare, la palla viene lanciata non si sa dove e si aspetta che qualcosa accada.
Si aspetta che il pallone superi la metà campo avversaria, si aspetta che gli attaccanti siano ben piazzati e che i mediani tirino la palla, si aspetta che il difensore  intervenga e salvi l'azione di attacco, si aspetta che il portiere salvi dal goal. Si aspetta, si aspetta, si aspetta. Si aspetta che accada qualcosa, si attende che si faccia dello sport, che lo sport venga fuori, che corrano, saltino, passino la palla, la fermino, la stoppino, la rilancino, la parino. A volte il risultato è un pareggio,  una perdita condivisa, non c'è un vincitore ed un vinto, perdono entrambi. 
Giunge il dopo-partita, commenti su commenti, discussioni su discussioni, fiumi di parole con opinionisti veri o presunti, quarti di gazzelle esposte, ex sportivi che non hanno concluso molto nella loro carriera ma esprimono un'autorevole opinione, programmi quali “Il processo del Lunedì”, del Martedì e del Giovedì, 90° minuto, 88° secondo e 3/4, Mai dire goal, Mai parare, Vai con il liscio e Vai con il dritto, contenitori/pollai.
Un vociare a più riprese, con urla che schizzano da una parte e l'altra, accuse, rimproveri, discussioni ed elegie, difese ed invettive, ipotesi di perdita, ipotesi di vincita, vincitori morali e perdenti affettivi.
Un analizzare con potenti strumenti tecnologici il nulla e rilevare con mezzi precisi, accurati ed efficienti quegli avanzi di sport usciti fuori sul green, improvvisando voli pindarici su reminiscenze sportive del secolo scorso; risalendo all'alto Evo del calcio moderno per trovare una giustificazione a ciò che è stato fatto. Senza scordare il nostalgico di turno che rimpiange il tempo passato in cui il “calcio” era una cosa seria ed ora è una “mxxxa”. Non dimentichiamo il martire di turno per la par condicio, a cui intitolare campi sportivi dove non hanno fatto grandi numeri.
Questo discutere, fare, parlare od intendere non interessava e non interessa.
Ho fatto rugby, perché lì sport se ne faceva tanto e chiacchiere poche. Esserci e giocare sull'erba era già una vittoria ed ho provato a portarlo nella vita.
Mi sono ritrovato a giocare nel green della vita partite dove l'avversario giocava a calcio ed Io ero il nemico da abbattere, mentre per Me l'avversario era colui che mi avrebbe permesso di onorare lo sport con una bella partita, lasciando indelebile in entrambe le parti il ricordo di un'esperienza vissuta da entrambe le parti.
Ho imparato a fingere.    

lunedì 9 maggio 2016

Chiamate .

All'ultimo minuto.
E' da un po di tempo che ho notato una cosa darmi fastidio: Quando la gente ti chiama all'ultimo minuto, per un passaggio, per darti una comunicazione, o altro.
La cosa l'ho notata durante le sessioni di allenamento di apnea, i primi tempi mi arrivavano le chiamate 20 minuti prima dell'orario di allenamento e mi ritrovavo a dover passare a prendere 2 persone e per di più in ritardo, facendomi saltare programmi e cose da fare. Non ultima la preparazione per la vasca.
Ma mi è capitato pure di ritrovarmi ad esser chiamato per una cioccolata all'ultimo momento di sera. “Dai Fabio, vieni, vieni”, chiudo i contatti, metto in sicurezza gli impegni presi e saluto ordinatamente le persone. Prendo la macchina, mi sparo un'ora di autostrada per arrivare a destinazione, trovo del traffico ed accumulo ritardo. Arrivo trafilato tra i messaggi di chi mi aveva invitato a casa di un amico comune. Salgo le scale, pregusto un clima caldo da cioccolata e voglia di stare assieme. Varco la soglia e ci ritroviamo in 3, dove Io sono il terzo incomodo, di due che vogliono flertare da dove lei fa la preziosa e non ci pensa due volte a metter di mezzo gli altri, o meglio l'altro cioè Io.
Nel primo caso ho detto l'ultima volta che ho dato un passaggio che per questioni personali non gli avrei dato più un passaggio se prima non si fossero organizzati per tempo, con largo anticipo, sia all'andata che al ritorno.
Nel secondo caso ad una cena tra “amici” gli ho detto papale – papale che chiamare all'ultimo momento per poi passare per il terzo incomodo da un'amica non me lo aspettavo.
Sto meglio e me ne fotto di più .

mercoledì 20 aprile 2016

Sentirsi dire che non si vuole niente, fa male.

giovedì 14 aprile 2016

Odio fare la fila, soprattutto in segreteria di Facoltà..

mercoledì 13 aprile 2016

Di giorno, da sola, fai a pezzi quello che di notte costruiamo assieme.

mercoledì 10 febbraio 2016

Fango.


Residui in fondo all'anima, ora neri, ora melmosi.

Ho un grumo in fondo all'animo. Un grumo residuo di tutta la merda spalatami di sopra e non so da dove cominciare. Sembra un nonsenso, dato che per anni ho vomitato post su post in un blog on – line, versato fiumi di parole in Terapia, scritto pagine su pagine da tanti parti, come un buon Romano Antico alfabetizzato scrivevo su ogni cosa.
Ora ho difficoltà a sciogliere, a trovar voce, senso, significato a quel fondo nero che mi porto dentro all'animo.
A volte un po di musica aiuta a tirar su qualcosa da questa massa vischiosa di melma, di fango, una lacrima, a volte una pagina di libro toglie una freccia infissa, o magari riporta un frammento della propria persona perso nei meandri di questo buco nero, o magari diventa un punto tolto.
E' un anno che raccolgo pezzi, li prendo da terra, da un oggetto, da un luogo, sono pezzi di me, della mia persona, li ricompongo e li rimetto in sesto, per me, per placare il dolore, la sofferenza, la violenza feroce subita, senza speranza, senza futuro, senza motivo, diceva di dirmi “Ti amo” ma con l'altra mano impugnava in coltello per trafiggermi le carni.
Come ho fatto a sbagliarmi? Accecato dall'amore, o forse una variante di esso, accecato dalla voglia di vivere, accecato dal disturbo bipolare nel momento in cui la mania ha trovato spazio per sgattaiolare. Forse..
Forse mi devo fare una scopata e dimenticarmi che giorno è.. .

giovedì 4 febbraio 2016

Sessualmente .


Asfaltato .

Sull'argomento sesso per ora mi sento così: asfaltato. Spalmato per terra, piatto, con poco brio. Sarà stata la serie di inconvenienti sull'argomento che mi hanno azzoppato.
In primis con l'Algida, ad un certo punto la cosa non andava più e se andava, andava male, o peggio non c'era più nulla.
Poi ci fu la Ventosa, a cui appellarmi per quello che mancava in casa. Anche lì la situazione andò a deteriorarsi nel momento in cui il sesso non venne ricambiato dai sentimenti richiesti.
Poi fu il tempo della Fusa, tanto, intenso e vorace, come di chi non mangia da anni ( vero ), ma poi alla fin fine si ridusse una trappola dorata.
Poi un paio di pomiciate, ma più che altro fatte con donne rivelatesi problemi esse stesse, piuttosto che un momento di piacevole staccar la spina.
Ora basta, se va và, se non andrà, non andrà. Voglia di far trasfusioni di volontà non ne ho .

martedì 2 febbraio 2016

Fase preferita .

Tra due poli.
Le fasi Up & Down che si alternano nell'altalena. La fase preferita è la fase 0, quando toccato il fondo inizia la risalita. In quel momento parte il cammino per arrivare alla vetta; varie le fasi, l'Eutimia, la Nonsochesia e giungere alla fase del "sacro vento caldo", invidiata da molti.
La parte bella di tutto questo è il cammino intrapreso per risalire dal punto 0, è come se arrivassi sulla cima di una montagna. Il "bello" è nel percorso intrapreso (le persone incontrate sul cammino per tornare a vivere) e non nella vetta raggiunta che sappiamo esser la "mania".

Tempo

Scorre, come acqua . 

Il passato è archiviato.
  
Il presente si vive.

il futuro mi appartiene.

Vivo con i piedi saldi nel mio passato, le mani armeggianti nel presente e lo sguardo rivolto al futuro. 

giovedì 21 gennaio 2016

Kintsugi .

Le cose rotte si possono riparare è la loro riparazione ad impreziosirle, rendendole uniche .
Da un paio di anni giro intorno all'argomento sul riparare. Riparare oggetti, strumenti, parti di se stessi, anche da soli.
Il punto di partenza è l'esser cresciuto con un padre in grado di riparare la qualsiasi e renderla migliore dell'originale. Più bella, funzionale, resistente e quella disomogeneità della riparazione un elemento di abbellimento. Pure Io ho iniziato a riparare; cose, oggetti, strumenti, persone, me stesso.
Il punto di partenza è avere “tutti” (o quasi) i pezzi, per poi incollarli, assemblarli e sistemarli, trovandone il verso. A volte i pezzi non ci sono e per riparare devi riempire. A volte non c'è bisogno di avere tutti i pezzi, si inizia e mano a mano che si trovano, si aggiungono all'opera.
Quando vedevo i vasi di epoca greco – romana, dove mancavano i pezzi e venivano riempiti con malta o altro materiale di riempimento, la cosa non mi piaceva. La detestavo, la odiavo, a rigor del vero mancavano pezzi e la cosa non era giusta!
Poi mi trovai Io, dopo l'ennesimo attacco psicotico ed andato giù in pezzi, a  recuperare i mille frammenti, ri-assemblarli, ricomporli, da solo, senza aiuto esterno, sia  esso genitoriale, terapeutico, amicale o di conoscenti.
Dura, davvero. Con l'aggravante di una “scassacazzo” che frequentava il blog per farsi prima i fatti miei, poi rosicare, grattare pezzi del nostro passato comune e poter così capire come muoversi di conseguenza e tornare all'attacco. Ma questa è un'altra storia.
A volte si va in pezzi quando meno te lo aspetti e ce ne vuole per recuperarli.
Bergamo, poggio del parco Redona. Vado in pezzi un Venerdì 18, di un solare  Ottobre del 2013. Passano 395 giorni e riesco a tornarci di lunedì 17, in un piovosissimo Novembre del 14. Alle spalle ho tanti giorni di calvario, di recupero pezzi, Taormina, Casa, Milazzo, Capo, Marinello e chi più ne ha, più ne metta.
Per motivi di distanza ed economici Bergamo è rimasta l'ultima “campagna scavi”. Restano altri pezzi da recuperare, però quelli non sono più da Solo, sono in due.
Faccio una lista di luoghi da visitare, tocco diversi punti su dove andare a recuperare frammenti, ma non riuscirò a raggiungerli “tutti”. Mi rendo conto che fisicamente non posso andare ovunque; devo scegliere, escogitare un piano per non passare due volte dallo stesso posto, adattare alla giornata trovata ed al tempo a disposizione, non far saltare la mia copertura perché voglia di esser notato e vedere non ne ho, tante cose da far quadrare e scegliere sul da fare.
Alcuni pezzi sono stati abbandonati lì per scelta e forze di causa maggiore, l'idea di ritornare in alcuni posti non mi aggrada molto, ma dove posso passare e recuperare, lo faccio, recupero pezzi e metto da parte.
Arrivato ad una massa critica, tra luoghi rivisitati, gesti, pensieri, memorie, modi di fare e pensare, inizio la lenta opera di ricomposizione, che ancora oggi procede.
Con cosa ri-assemblo e riparo? Mi viene in mente del ”oro”, oro interiore. Ma cos'è? Inizio con quel poco di oro che mi era rimasto da parte e non avevo usato con Rossana, lì si apre un baratro. Perchè proprio “oro”? Perchè questo materiale si associa a regalarlo ad una persona preziosa a Te vicina.
Ricordo il primo ciondolo d'oro regalato: Antonella. Un ciondolo d'oro con delfino, con Lei che neanche mi voleva vedere per l'anniversario. Quando uscii il regalo per l'evento e fu aperto, vidi disegnato sul volto la cupidigia. La cosa mi rimase infissa nella mente e da quel momento iniziai ad odiare i gioielli. Feci dei bei sacrifici per poterle regalare quel pensiero.
Mi fermo. Vado a cercare Lorenzo Cherubini, anche Lui ha cantato di “oro”, ne “Tutto l'amore che ho”: 

 Considerando che l'amore non ha prezzo, sono disposto a tutto per averne un po.
Considerando che l'amore non ha prezzo, lo pagherò offrendo tutto tutto l'amore che ho
.

Sembra un controsenso, ma l'amore impiegato per riparare me stesso, con quell' ”oro”, lo misi in campo per riparare Rossana. Rossana fu disposta a far di tutto per averne un po, anche le peggiori porcate e meschinerie, Io dall'altra parte nell'illusione del ricevere il suo “amore/oro”, lo pagai con tutto l'amore che avevo.
Amore bello, caldo, vivo, fatto di casa, di mia madre, di mio padre, di mio nonno, di mia nonna, siano essi siculi o toscani. Di nonno che viene a prendermi all'asilo,  notti di Natale, di Capodanno speranzoso, di amore fatto per la prima volta. Di fiori, di pensieri, di speranze, di opportunità, di voglia di vivere, di spazio per l'altra persona, di voglia di stare assieme, di tempo donato, di ascolto, di assorbire e far mia tutta la merda che l'altra persona stava mandando, di far mie le sue sofferenze ed andare avanti assieme, di piangersi assieme gli altrui lutti: storie non seppellite, bambini abortiti, balli mai finiti. La voglia di condividere un pensiero, una speranza, uno scorcio dell'altro inaspettato da chi ascolta e detto con garbo, un fiore, uno scritto, una lettera, un messaggio, una telefonata, uno sperare che ci rivedremo, un far l'amore lasciandosi andare fino ad essere inerme nelle altrui mani come un gattino. Un fare sesso senza limiti e se c'è da aprire la porta ad una nuova vita che ben venga. Un sussurrare “Ti amo” nel cuore della notte, una mano che ti cerca, un sorriso donato, una mano stretta, un abbraccio all'improvviso, una girata in bici sotto il sole, un faccio Io/non ti preoccupare, un fiore regalato senza aspettarlo, una pensiero dolce per mitigare i pensieri cattivi, un scusa, un non arrabbiarti, un lottare contro la mia rabbia per non uccider la nostra storia, un farmi vedere con le lacrime, indifeso ed atterrato, l'amore che mi donò Ramona e che custodivo gelosamente con quel “Giò”, mai più usato e mai più tirato fuori, un guardarti con gli occhi di Ramona un.. un .. Un .. Un tutto questo ed altro. E questo “amoreoro”  glielo donai, lo usai per ripararla, per mitigare dove aveva dolore. Cinicamente Lo prese, si ri – assemblò, impreziosita, pulita, sistemata, disintossicata, se ne andò via, senza scordarsi di rubare fino all'ultimo e senza ritegno. Finito, mi buttò in un angolo, come si buttano i ferrivecchi, i ferri esauriti. Disposta a far di tutto per averne un po.
Bella e pulita, come un vaso riparato dal Kintsugi, andasti ad addobbar la vita altrui, prendendo tutto quello che c'era da prendere da Me ed entrando nella vita di un altro.
Mi ritrovai “derubato/svuotato” e dovetti mettermi a ricomporre la mia di vita con quel poco di amoreoro rimastomi. Fortunatamente abbastanza.
Capii tutto questo quando provai a recuperare una parte di Me da Alessia, quella parte dolorante che ho messo in gioco con Francesca, Antonella, Rosy, Anna, Rossana. Rossana per disperazione se ne cibo famelicamente, da povera morta di fame. Alessia vuoi per la distanza e la sua impossibilità a viversi una storia in lontananza non potè cibarsene, da zombie, da carne ormai putrida, fradicia che si avventa su carne viva per riprender forze. In quella storia capì qualcosa che ora stà emergendo e a poco a poco e stò ragionandoci su.
Ma questa è un'altra storia.   

martedì 5 gennaio 2016

Escursione in compagnia.

L'Etna vista da monte Kalfa.

Domenica sera. Pasquale posta sul gruppo Facebook di una sua escursione a monte Kalfa. Qualcosa mi dice che Io lì ci voglio andare. Ci ragiono un po e mi ricordo che è il monte veduto in lontananza passando da Taormina, promessomi a più riprese di visitarlo.
Non tentenno, decido di andarci dopo aver fatto il punto delle cose da risolvere ed in quale ordine, non poche.
Prendo il pane di lunedì mattina dopo una serie di necessarie e rocambolesche scelte. Porto avanti il lavoro per il locale e mi faccio dare una mano da mio padre. Mi libero e parto per la piscina, strada facendo chiamo Pasqualino e gli propongo l'escursione al monte. Lui mi dice di Si ed è un piacere re-incontrarci.
Scappo a nuoto, finisco la lezione, e contatto Pasqualino. Finita la lezione un paio di telefonate in questa mia solitudine multimediale e torno a casa. Cena al volo, termino di preparare il borsone già iniziato in mattinata. Sembra esserci tutto.
Preparo i panini per l'indomani, apparecchio la tavola per la colazione e via a nanna. Resto in chat a parlare un po del più e del meno, ma nulla di che, non prendo sonno e la tensione accumulata in giornata è molta. Punto la sveglia e scopro di avere meno di 4 ore di sonno davanti. Male, stò tirando la corda ripeto tra me e me.
 Suona la sveglia durante uno dei miei sogni confusionari, colazione, assemblo i pezzi finali dell'attrezzatura, scopro di essermi dimenticato gli occhiali da qualche parte ma riesco a rimpiazzarli con gli altri neri di riserva. Tutto a posto e macino strada con l'auto. Chiamo Pasqualino e lo informo del mio sopraggiungere presso il luogo dell'appuntamento.
Sono abbracci e sorrisi ed il nostro piacere di parlare e stare assieme che non si perde. Abbiamo strada da fare e punti da ricongiungere, è un piacere confrontarci e discutere, un grande.
Luogo dell'appuntamento a Messina, dopo vari giri e rigiri capisco che è vicino l'orto botanico. Pasquale arriva ed attendiamo il formarsi della comitiva. Ci riduciamo in un'unica auto e via, destinazione A18 uscita Taormina, con Pasquale che borbotta “è tardi”. Continuerà a borbottare per il resto del tragitto, interrompendosi solo durante l'escursione.
L'auto si arrampica per stradine sconosciute ma dalle caratteristiche a me note. Strette, curve a gomito, dissestate, alti dislivelli e sgangherate. Ho imparato a transitarvi bene quando stavo con Alù. Poi la scritta Mongiuffi Melia, la memoria non può che andare a Mona, una linea di tristezza mi prende, ma non vado a fondo, magari vedrò di affrontarla in un altro momento.
Il mezzo si arrampica al santuario della Madonna della Catena. Scendiamo e ci prepariamo.
Torneremo nel primo pomeriggio sul posto, dopo una bella escursione, ma non scevra di problematiche, una tra le tante i fuori pista di Pasquale, nati per accorciare, ma che macinano persone ed ossa.
Però bella :-)

lunedì 4 gennaio 2016

Sapori di ..

Pasta .
Erano i primi di settembre del corrente anno, quando mi presento al locale vicino casa mia per candidarmi come cameriere.
Al “Piccolo casale” tira aria di affondamento, Ale una sera mi dice “Voglio chiudere, cercati un'altra esperienza”. Due più due fa quattro. Mi cerco un altro lavoro. Ri-accarezzo l'ipotesi di lavorare vicino casa. Scorgo un cartello con su scritto “Cercasi cameriere da sala”. Mi ci butto, voglio lavorare.
Mi candido con oculatezza, senza espormi troppo e senza scrivere Tutto quello che so fare. Essenziale, diretto e pulito, “nà cutiddata” o una “manata di poker”. Se mi volessero hanno solo da prendermi. Iniziano le serate di lavoro. Si marcia, si lavora quasi ininterrottamente. Prendo una boccata d'aria come tempi verso Novembre, perché il flusso di lavoro si riduce parzialmente. E' interessante e c'è da imparare molto, ma altrettanto molto c'è da mettersi in maniera attiva verso l'impiego.
Proporsi, capire, sentire, tengo un quaderno del lavoro, come nelle altre occasioni. Mappare giorno dopo giorno l'evento e capire cosa succede e cosa non succede. Ragionarci su, essere lì, vivere..

AVE ATQUE VALE