sabato 2 febbraio 2008

Il mio cucciolo.

Ecco a voi Ulisse !

Era un po’ di tempo che mi frullava per la testa di prendere un cucciolo virtuale, l’isola aveva bisogno di un po’ di novità. In cantiere ci sono altre idee per il blog, ma si realizzeranno passo dopo passo.

L’idea del cucciolo mi è venuta visitando altri Blog, poi l’altra sera mi sono registrato al sito che fornisce il servizio ed ho adottato la mia paperella. Non trovate che è dolce?

In questo periodo mi passa per la testa di voler adottare un cane vero, un piccolo compagnetto di vita, forse perché in certi momenti mi sento solo..

Spazio per gli altri.

Un bel prato verde, spazio dove poter far quel che si vuole .

Apre nella mia isola una bacheca dove i cyber – nauti possono dire la loro. Sbizzarrite le vostre lingue e date sfogo alle vostre idee, il porto dell’Isola di Melee è aperto! Si dia il via ai commenti !

venerdì 1 febbraio 2008

Il mio primo stipendio .

Il mio primo stipendio .

La fila non era lunga, un po’ di persone prima di me, ma agli sportelli andavano veloci e quindi ci ho messo solo un decina di minuti . Ero un po’ eccitato, contento e pauroso, tanto che l’operatore allo sportello mi ha chiesto: il suo primo stipendio? Ed io tutto felice ho accennato di si!
L’ho contato e ri – contato, un paio di volte, sono contento e felice. Il mio primo stipendio!
Fatte le dovute trattenute e messe da parte, mi sono organizzato le somme per il mese, e forse riesco a comprarmi qualcosa per me.

giovedì 31 gennaio 2008

Liquore Galliano .

Si chiama proprio Galliano .

Era la mattina del 1 Gennaio, quando con Tizy ci siamo recati al bar Alabatros sulla cortina del porto. Un buon latte macchiato ed un superbo cornetto, ci hanno fatto salutare l’anno nuovo.

Alzatomi per prendere un bicchiere d’acqua al bancone, l’occhio finisce su una bottiglia, slanciata, lunga e dal colorito giallo intenso. Incuriosito chiedo al barman se gentilmente me la faceva vedere ed il nome era: Galliano. Come il paese di mio padre !

Da una accurata ricerca su internet, però il nome del liquore ( una variante dello strega ), non prende il nominativo dal paese, bensì da Giuseppe Galliano, Capitano del 3° Battaglione Indigeni Eritrei, nato a Vicoforte Mondovì (Cuneo) nel 1846 e morto ad Adua nel 1896.

Intorno al liquore poi c’è una storia che lo lega alla penna di Emilio Salgari, ma per correttezza e onestà intellettuale, vi rimando al link dove in maniera accurata e approfondita affrontano tutto l’argomento , buona lettura:

http://www.emiliosalgari.it/appunti_di_viaggio/schiavo_somalia.htm

mercoledì 30 gennaio 2008

La bruma .

La parola “bruma” è un sinonimo aulico di “nebbia”, ma oltre al significato della parola nebbia, se ne aggiunge un altro, e cioè “Il cuor dell'inverno”, il periodo invernale.
Quindi una situazione quale può essere la Bruma, si potrebbe descrivere come coperto di una nube grigia, ora così fitta da non farti veder nulla più lontano ad una spanna dal tuo naso, ora diradata per svelarti tutti gli orrori che essa cela.
Il paesaggio non si vede, le cose a distanza se non sono celate, assumono contorni vaghi, confusi, poco chiari. Ciò che vedi è mascherato, come se madre natura volesse stendere un velo pietoso per nascondere tutte le sue male cose, come se mettesse in guardia chi vi si avventura scoraggiandolo, per non fargli vedere cosa cela con la Bruma.
Alberi morti che ti cadono di sopra a pezzi, quasi a voler succhiarti un po’ di vita per loro, dato che tu che ti sei avventurato nella bruma ne hai così tanta, ne potresti dare un pochino anche a loro. Cosa ti costa? Cosa ti costa spartire un po’ della tua linfa vitale con loro? Loro che non ne hanno più, neanche per morire tutto di un fiato, loro che neanche i vermi vogliono mangiarne le carni perché putride e marce, loro che sono scossi dal vento. Non un mite venticello che accarezza le fronde, ma un vento gelido che ghiaccia i baccelli, che trascina e scuote i rami spogli come migliaia di dita di bimbi affamati di vita. Perché non gliene potresti dare un po’ di vita anche a loro? Cosa ti costa?
Non ci sono cespugli di rovi, con succose more da mangiare, ma prunai con irte spine. Cespugli simili a cumuli di resti di ossa. Ossa lucide, bianche, spolpate e svuotate, dei muscoli e della pelle, anche del midollo, da tanti piccoli denti affilati che le hanno rosicchiate.
La poca luce con cui vedi, difficilmente traspare tra i banchi di nebbia. Se dovesse esserci qualcuno, difficilmente lo vedresti, o se magari lo intravederesti, assumerebbe i contorni così sfumati ed alterati, da riconoscerlo non più come essere umano, ma come bestia. Animale famelico, pronto a farti male, ad aggredirti, a violentare le tue carni e l’animo, per cui appena lo intravedi, spinto da questa paura di violazione scappi a gambe levate e continui ad essere sempre più solo.
Nel crepuscolo ti senti solo, sei solo, attanagliato tra gli oggetti confusi e la nebbia che assedia anche il tuo corpo. Non vedi bene neanche più le tue mani, un velo si stende sopra esse, le senti perché ne hai la percezione, ma non riesci a distinguerne neanche i contorni delle dita, sembra che ti sia trasformato in un mostro dalle pinne deformi al posto delle mani. Il cuore si fa piccino, quasi la nebbia lo soffocasse e vorrebbe soffocare te.
Non c’è più il sole ad orientarti, o stelle ad indicarti, nella Bruma non puoi guardare il cielo per rincuorarti con gli astri qual che essi siano: le stelle, la luna, o peggio ancora sole o altri pianeti qualunque esso sia, nella volta celeste sono scomparsi. Non vedi più il soffitto dell’universo, non lo scorgi perché c’è la bruma che copre tutto il resto.
La bruma è una valle desolata, dove non c’è altra anima viva se non tu, dove le parole altrui rimbombano per la pianura vuota, più che parole sono urla di dolore, di strazio interiore che si portano appresso nella bruma, e queste urla rimbombano sui sassi spogli che spuntano dall’erba.
Nella Bruma non ci sono fiori a rallegrarti, c’è un verde scuro, quasi grigio che fonde le foglie alla nebbia, in una trama che opprime la vista che non riesce più a discriminare le cose. Non ci sono piante commestibili, ma alberi spogli, senza foglie, scarni di vita e con solo i loro tronchi gnudi quasi a voler spuntare, squarciare la trama della nebbia e spuntarti davanti come le ossa sembrano sbucare dal ventre vuoto di una anoressica.
Un luogo dove c’è freddo, non capisci più che tipo di freddo ci sia, perché il freddo di fuori ed il freddo interiore, si sommano, si uniscono, si fondono in un gelo che ti attanaglia il cuore in una morsa di ghiaccio.
Senti freddo, freddo interno e freddo esterno, la nebbia ti cela il sole, e se il non sentirlo con la pelle ti toglie quel minimo di tepore, il non vederlo ti toglie quel minimo di speranza che almeno può donarti, rimanendo così in uno stato di torpore dove non sai cosa fare, pensare ed andare, ti resta solo che vagare, blaterare tra te e te per cercare di rincuorarti, ma le tue urla vagano per la distesa e ti vengono restituite dalla bruma come altre urla strazianti, ma il peggio è che questa voce ti è familiare.
Cosa puoi fare se non vagare? Vagare senza meta, fintantoché per la troppa stanchezza alle gambe, i piedi doloranti, ed il mal di testa ti siedi su di un nudo sasso. Ma ben presto ti coglie il freddo ed allora vorresti rialzarti per rimetterti a camminare ed uscire, ma non ce la fai, sei stanco, hai mal di testa. Allora cosa fai? Ti rannicchi in un angolino sopra il sasso, ti chiudi come un bimbo nel grembo della mamma, per raccogliere un minimo di calore. Ma qui calore non ce ne è! Qui non è un grembo, è un masso! E tra il freddo che ti scompone ed i pensieri che ti abbandonano, da che sopra il masso, ti trasformi tu in un sasso. Trattieni la testa tra le mani, sperando che venga un miglior domani, ma il giorno nuovo non fa capolino nella Bruma e tu muori facendoti piccolino.

Parallelismo tra i dolori .

Vedo un parallelismo e forse una convergenza tra gli effetti del dolore fisico tipo continuo, sordo nato dal dolore alla cervicale ed il dolore conseguente ad alcuni dei miei mal di testa.
Tra le mie tante cefalee annovero quelle scaturite da un camminare senza meta tra quattro mura, da un giramento di testa per la troppa concentrazione, dal non ricordarmi i nomi, da quella nata dal trovarmi in tensione nervosa. Il mio mal di testa a due cocomeri, quando bollo dalla rabbia, il mio mal di testa a bruma, tutti quanti alla fine mi conducono in uno stato di stanchezza, di torpore e inattività negativa mentale.
Mi spiego meglio, arrivo in una condizione di pensieri continui, negativi, in cui non riesco ad alzarmi o destarmi, che mi consumano e da cui difficilmente riesco ad uscirne fuori, se non con una battuta di mio padre, un caloroso abbraccio di mia madre, un po’ di sole preso in faccia, il mangiare qualcosa di dolce come cioccolata, un pensiero positivo regalatomi dalle persone, oppure un po’ di musica, o meglio ancora della radio, una passeggiata all’aria aperta, un po’ di corsa, delle belle foto, una girata in bici, un po’ di spesa, andarmene in sede a fare qualcosa di buono.
Che vi sia pure il dolore mentale? E che in quanto dolore dia anche esso stesso i suoi effetti? Come precedentemente elencati?

lunedì 28 gennaio 2008

La mia facies scoglionata / incazzata .

Sorrido? Noooo, sono incazzato nero.

Era la notte del primo dell’anno, una collega mi aveva invitato a passare la serata in guardia medica con lei. Un capodanno diverso, alternativo, che mai avevo pensato di realizzare, d’altronde l’idea di andare a ballare o di ripescare qualche stronzo di conoscente passato non mi allettava molto, mentre invece l’opportunità di fare un po’ di esperienza mi intrigava di più.
Tutto contento ed allegro preparo l’attrezzatura per la serata, cove ci metto: letture, film, musica, cibarie e vivande.
Alla mezzanotte brindiamo al nuovo anno, facciamo un casino della malora per tutto il presidio sanitario, urliamo, corriamo, spariamo i petardi, le fiaccole, i vulcanelli, addirittura scriviamo su di un foglio una cosa che vogliamo non si realizzi più nel nuovo anno e la bruciamo. Io nel mio pizzino ci scrivo: La depressione.
Tutto felice brucio il pezzo di carta, tengo in tasca un po’ di sale grosso appositamente portato per il buono augurio ed attendo fiducioso e positivo il nuovo anno e cosa esso porti con se. Gli ingredienti ci sono tutti … Verso le 1 AM, suonano alla porta, era l’Ex .
Fa la sua entrata, con la scusa della visita alla collega, si parcheggia sul posto per quasi 2 ore. Prima cerca di parlare con me, io non gli do retta più del dovuto e mi metto in disparte a giocare al cellulare, visto che con me non attacca, prova con la collega. Ad un certo punto si voltano entrambe verso di me e mi domandano: Cosa hai Fabio? Hai una faccia? Prendo il mio fido Nokia e mi autoscatto una foto.
Oggi riguardo lo scatto e capisco che sul mio volto ci sono i lineamenti della rabbia, della faccia incazzata, del volto di chi è stanco per una cosa che si ripete, di chi prima era speranzoso poi è diventato deluso da tutti, anche da chi prima ti fidavi. E’ la faccia di chi non ne vuole più sapere, di chi vorrebbe dare un calcio nel culo a tutto e tutti e dire: BASTA! È la faccia di chi si sente tradito da colei che ritenevi una buona conoscente. E’ la faccia della delusione, per un nuovo anno che non porta nulla di nuovo. È la faccia di chi ha la rabbia che scorre nelle vene e fa pulsare la tempia.Poi l’Ex se ne è andata e siamo andati a nanna.
Ancora mi deve andare giù il colpo tiratomi dalla collega, tutta disponibile ad aiutarti, a darti consigli, a dire fai questo, dovresti far quell’altro, ma se magari faresti quell’altro ancora, a te serve, dovresti.. MA vattene a ‘fanculo tu e tutti quanti coloro che credono di sapere ciò di cui ho bisogno, me lo avete mai chiesto di cosa ho bisogno? E se ve l’ho chiesto? Me lo avete dato? O mi avete dato altro? E’ proprio schifoso chiedere ad una persona che ritieni amica: passiamoci una notte di capodanno immersi nella medicina e non pensiamo ai problemi quotidiani, quando poi è la stessa amica che ti sbatte in faccia quello a cui non vuoi pensare e lasciarti alle spalle con il nuovo anno. Che gente di merda.

Cosa accade fuori dall'isola di Melee?

Anche se a miglia e miglia di distanza, tutti stiamo sotto lo stesso cielo e quindi chiamati in causa per ciò che vi accade .

Scaffale dedicato a quello che accade al di fuori dell’isola: eventi, posti, luoghi idee etc. Cose che sembrerebbe essere relegate in mari lontani, ma che alla fin fine anche se distanti o lontane coinvolgono tutti e me, dato che stiamo tutti sotto questo stesso cielo .

domenica 27 gennaio 2008

Per non dimenticare .

Forni crematori di Majdanek.

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per un pezzo di pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.

PRIMO LEVI