L’esperienza
delle 48 ore a Stromboli ha mosso qualcosa dentro, precisamente
l’escursione nell’isola di Vulcano del 27 Dicembre 2016. Ho
voglia di uscire, di girare, di guardare, di perdermi nella strada
davanti, di progettare, di sperare, di vedere, di vivere, di
conoscere e perché no stare con ME stesso e per Me stesso.
La
settimana scorsa vedendo le ultime foto condivise da Valentina,
un‘idea sopita nel dimenticatoio riemerge “Monte Saraceno a
Vulcano”. Sono stato alle Eolie poche settimane fa e mi sono
trovato bene, perché non bissare, magari con un’altra escursione?
E perchè non provare stavolta la scalata in solitaria di una
montagna, anche se parliamo di 400 Metri? “Ok”, dico tra Me e Me,
si farà.
Non
devo caricarmi di troppe cose, chiedo un piacere a mia madre, se
potesse farmi un panino per Giovedì, l’assenso ed è stata
un’iniezione di fiducia, anche se resto traballante. In dubbio
nelle giornate seguenti, ma a poco a poco, con costanza e
determinazione assemblo i pezzi che mi servono, dallo zaino da
trekking all’attrezzatura per la giornata, finendo per gli orari di
aliscafi.
E’
fatta, i pezzi ci sono e questa sarà la mia micro-vacanza.
Le
5.40 di mattina, suona la sveglia. La melodia mi strappa da un sogno
profondo che finalmente torno a fare con maggiore costanza. Faccio
colazione un po sincopato, ma procedo. Mi manca il bagno ma riesco a
mettermi in strada per le 6.40 e non so come, volando, arrivo
all’imbarco degli aliscafi. Faccio il biglietto e guadagno il posto
per l’aliscafo delle 7.00. Sono in anticipo di 30 minuti sulla
tabella di marcia.
Approdo
all’isola e sono felice, inizio a scattar foto, ma mi ricordo che
ho tanta strada da fare e già punto al mio obiettivo nascosto dal
cratere. Procedo con costanza e mi si mostra in tutta la sua
bellezza.
Incrocio
i dati della guida, una mappa trovata per strada e fotografata, i
dati del GPS e riesco a farmi strada per il giusto viottolo sterrato.
Sono tornati che si susseguono ed un mare dal lato di ponente che mi
ruba il cuore. Sento la risacca sugli scogli, un grosso faraglione
davanti a Me ed una sensazione di pace e rilassatezza che mi
pervadono.
Le
incertezze precedenti vengono evacuate come ho evacuato a bordo
strada prima. Mordo la strada davanti e procedo. Scelto il bivio
giusto, cammino per una strada asfaltata nel bel mezzo del nulla, ma
ripida come quella di Rocchenere per andare al cimitero. Non mi
preoccupo e non demordo, continuo, anche prechè il sentiero è
segnato in una o più carte.
Arrivato
allo spiazzo davanti una casa, finisce la strada percorsa, sia essa
asfaltata o altra tipologia. Con delusione ma non sconfitto trovo un
sentiero di capre e punto alla vetta davanti.
Cerco
di restare sulla cresta ma sdevio sul fianco EST della montagna,
perdendomi su sentieri battuti da pecore. Guadagno nuovamente il
crinale, decidendo di puntare si alla vetta, ma non perdendo il
sentiero da dove vengo, cerco di non lasciare il crinale, vado
spedito.
I
metri si susseguono, la punta si avvicina. Sono quasi arrivato e mi
volgo dietro, il sentiero si vede ed ora è pure chiaro, il mare e
qualche capra mi fanno compagnia.
Arrivare
in vetta è gioia. Ho raggiunto la mia quota, ho scalato la mia
montagna, ho ritrovato la mia strada per l’obiettivo ed ora
festeggio con un buon sorso d’acqua la riuscita.
L’occhio
volge verso le case del Piano e cerco di capire dove si trova Capo
Grillo, i sentimenti mi portano da Federica, chissà cosa farà?
Avevamo in progetto di viverci Vulcano assieme e gustarcelo.
Tristezza, delusione. Riemergo da questa palude guardando il mare e
già penso ad una prossima escursione a grotta dell’Abbate, un
grosso pino a mare suggerisce dove poter trascorrere le ore calde
della giornata.
Scendo
dalla quota senza prima aver scoperto l’acquedotto di Vulcano ( o
credo ), seguendo una trazzera arrivo al vecchio inceneritore e poi a
poco a poco alla strada di cemento, asfalto ed infine nei pressi
delle case.
Mi
ruba il cuore una casa in ristrutturazione, con il pergolato, il
pozzo, un sedile in muratura fronte strada e le porte come quelle di
casa della nonna. Vorrei averne una così, poterci stare nei momenti
di bisogno.
Fatte
le foto e lasciato un pezzo di cuore, cerco la strada per Punta
Grillo. Pausa per bere al cimitero, dove trovo una Crisafulli
Domenica, chissà se parente della Nonna?
Continuo
la strada ed incrociando i dati prendo il via per Capo Grillo.
Arriverò a Mezzogiorno passato, conscio che la prossima volta
servirà uno scooter per muoversi a Vulcano, troppe le distanze tra i
posti e troppa la strada da fare.
E’
un camminare tra isole di querce secolari, lecci e pascoli. La
scarpata di Capo grillo è una mezza delusione, un bosco umano dalle
essenze assurde, custodisce un bel panorama, ma non mi piace come
bosco, sa di sintetico. Guadagno la più bella panchina e faccio
campo – base sotto ad un albero per il pranzo. Mi concederò una
pausa lunga fino alle 3.
Suonata
la sveglia si apre la strada del rientro, a malincuore, ma rientro.
Alla tredicesima richiesta di autostop mi danno uno strappo delle
Belga al porto. E’ un salto alla bottega messa sott’occhio
all’andata ed una granita al Faraglione. Un souvenir per mia nipote
ed un imbarco all’aliscafo.
Ci
voleva e ce ne vogliono di altre mini vacanze. La sensazione che mi
sono portato appresso è come quando andai i primi di gennaio ai
laghetti di Marinello, un gioia-triste, una libertà-solitudine, come
se le cose avessero un velo di polvere che le rattristerebbe, ma non
guastate.
Resta
una perla di esperienza che aggiungerò nella mia vita.