domenica 14 maggio 2017

Una madre nera .

Ed una bimba innocente.
Si chiude la telefonata, ennesima lite. Non ricordo più il motivo o i motivi, ormai sono ore, settimane, mesi se non quasi un anno durante il quale i litigi si susseguono ininterrottamente.
Le dinamiche si ripetono con semi - automatismo disarmante.
Si chiude ogni forma di contatto. Passano ore, giorni, a volte settimane. Nessuno dei due cerca l’altro, i rapporti sono bloccati: telefono, occasioni per vedersi nella realtà, social - network sia Facebook, Whatsapp od Instagram.
Cala il silenzio, duro e ferreo, da coprifuoco. Come se una cortina di ferro fosse calata tra noi; ognuno chiuso dalla sua parte, ignorando l’altro si è chiusi a guardare il proprio .
E’ come se nello spazio condiviso fosse passata la peste, non rimanendo niente e nessuno vivo in questa storia, come se le parti fossero morte e sepolte.
Passa del tempo. Giungono i primi segnali di disgelo, o forse Lei non ha mai chiuso del tutto. Scruta da account civetta, nella penombra, come un animale ferito nel sottobosco. Magari una visita sul profilo in un social – network.
Mi sblocca.
Trascorre altro tempo. Può arrivare una richiesta di amicizia, un messaggio o addirittura una telefonata. Si ri - aprono i contatti.
Ora Io, ora Lei, ma più che altro Io, dimentico. Scordo gli insulti alla persona, al corpo, al passato, al presente ed al futuro. Dimentico gli insulti a famiglia, madre, padre, fratello ed in ultima battuta alla nipotina da poco nata.
Il raziocinio ha buttato nella discarica del dimenticatoio la parte ferita, dolorante ed offesa di poco tempo prima, aprendo la porta ad una Lei ora dalle sembianze di bimba, piccola, dolce, innocente, fragile, affettuosa, che vorrebbe amare ed essere amata, che vorrebbe ridere, divertirsi, stare assieme, “finalmente” vivere .
La parte bianca, da bimba, solare e viva di Lei, è la base su cui poter credere che sia così, che il peggio sia passato, che non tornerà più. Come una primavera inaspettata ed improvvisa, spero il peggio sia passato e le apro la porta della vita, facendola entrare ed accomodare, come se nulla fosse.
La sblocco sul telefono, su Whatsapp, Facebook ed Instagram. Lei chiede di vedersi, uscire, magari passeggiare, magari mangiare assieme. Il tempo libero a mia disposizione lo dedica a Lei, senza remore o ripensamenti. Come un bimbo chiamato ad andare a giocare dall’amichetta fidata, lascia tutto e va a cercare Lei per giocare assieme.
La cerca e non la trova, la aspetta. Fa la proposta di vedersi e magari riuscire ad incontrarsi. Lei stavolta acconsente, ma non è sempre così. I due si vedono.
Lei giunge bellissima, in tiro, truccata e con quella semplicità / sensualità tipica di lei. La bambina sta lasciando lo spazio alla donna.
L’incontro prosegue. C’è un bacio, la donna in Lei fa capolino ma subito scompare per fare spazio ad un abbraccio stretto, forte, infantile. La bimba si acciambella su di Lui e vuole le coccole. Mentre sono abbracciati il suo orecchio si posa sul petto di Lei. Un ricordo atavico e sepolto riemerge dalla memoria, il rumore dei battiti del cuore gli ricordano i toni materni. Crede o forse vuole credere di sentirsi al sicuro.
Arriva il momento dei baci, delle carezze caste e dei grattini, magari un massaggio alla schiena o sul collo. La bimba è a disagio con se stessa, inarca la schiena, si irrigidisce, impaurita ed innervosita le trema la gamba.
Le coccole continuano, le dita scorrono sui fianchi e ne lambiscono il collo, fino alla nuca. E’ come se si rompesse la corda. La bambina scompare dalla scena ed esce fuori la donna in Lei.
Calda, sensuale, provocatrice, morbida e vogliosa come un frutto maturo. La parte maschile di Lui è attratta irresistibilmente e si proietta su Lei. Sono mani avide che la vogliono, la reclamano. E’ corpo che rilascia e si ingrossa, inturgidisce, mentre nella mente si aprono le migliaia di finestre di “cosa potrebbe accadere od essere”.
La temperatura aumenta, la bambina è scomparsa. Riapparirà quando i corpi saranno nudi ed i muscoli torneranno a tendersi come corde di violino, un po come con Rouge.
La donna in lei raccoglierà ogni singola carezza sul suo corpo, assorbirà ogni piccola sfumatura del tatto sul suo addome piatto, gusterà ogni ruvidità delle dita che scivolano sui sui fianchi e si tenderà ancora di più quando i polpastrelli assaporeranno i capezzoli e le labbra saranno avvinghiate da un bacio di uomo che chiede vita, chiede aria, vuole gustare la sua donna.
La corda della donna si tenderà fino a rompersi, uscirà nuovamente la bambina, insicura, gracile, malnutrita, denigrata, imbruttita, farà capolino per pochissimi istanti, perché il suo posto sarà presto soppiantato dalla Donna che comincerà ad attaccare chi ha accanto.
Prima dimenticherà dov’è e con chi è. Poi inizierà a guardare i passato per risvegliarlo, tirar fuori dall’armadio del tempo capi logori ed andati per buttarli sui corpi nudi. Insulterà, urlerà, distruggerà tutto ciò che l’altro ha detto o fatto, attuando una tecnica semplicemente mostruosa di dimenticare ogni cosa e  ignorare ciò che dice o fa l’altro.
Urlerà, strillerà, minaccerà di spingersi alla morte, morderà il suo dito a sangue e fino a quando non avrà ciò che vuole, continuerà a fare a pezzi tutto e tutti. E’ abituata ad avere e non a combattere per ciò che vuole. Non ha mai combattuto e non sa come farlo. Sa solo fare a pezzi e distruggere, non si creerà il cruccio nel farlo con chi ha davanti.
La serata è finita, Lui si riveste tra urla, pianti, accuse ed ossessioni altrui. Raccoglie i quattro stracci che ha portato con se. La stanchezza di una giornata/vita andata a male lo avvolge e finché ce la fa cerca di battere in ritirata, ma quando gli insulti proseguono fino al punto di non ritorno, anche se ha chiesto, implorato ed avvisato di smetterla, di non arrivarci, di lasciarlo stare, lì, a quel punto la sua cattiveria si risveglia e stretta la mano alla rabbia inizierà a macinare come se avesse i molari di un dogo argentino chi ha davanti ad insulti.
Ma questa è un’altra storia.

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