Tra i tanti “pregi” della sensibilità, vi è quello di riuscire a trovare spazio nel proprio mondo interiore anche per gli altri. Forse più che sensibilità si parla di timidezza, ma comunque si ha l'animo disposto in modo tale da poter accogliere al proprio interno tantissime cose di chi ti sta accanto.
Finché si parla di pregi altrui ( rari come i personali ), abbiamo una voce in positivo del bilancio, ma quando si parla dei difetti di chi ti sta accanto ( tanti come i propri ), la questione si complica e diventa difficile.
Quando sei solo con te stesso ed inizi a muoverti per i fatti tuoi, ti senti come appesantito, stordito, infastidito, alterato. I passi segnati sono faticosi, pesanti, perché senti sotto – sotto dentro di te della zavorra, ma chi ce l'ha messa? La sensibilità, quella finestra sempre aperta verso il mondo contemporaneo nel contesto del muro della riservatezza. E ti ritrovi carico di tante idee, pensieri, parole, emozioni, azioni, coazioni, fisime, turbe, idee ridondanti altrui, oltre le ovvie proprie.
Che fare a questo punto? Bella domanda.
La cosa logica ma non conseguente, è iniziare a spremersi, buttar fuori, rilasciare, allontanare quello che si ha dentro. Come ? Semplice, pensando (non troppo), parlando (in compagnia), scrivendo (in un diario), disegnando (provandoci), fotografando (basta un semplice cellulare), telefonando (W la 0 Limits), “messaggiando” (W per la seconda volta la 0 Limits ), “bloggando” (ecco il post), digitando ( e-mail for-ever ), scendendo in piazza (sia essa analogica che digitale), uscendo di casa a fare quattro passi, viaggiando (c'è un'isola da scoprire), progettando (magari una stanza dove andare a starci), riparando (mobili vecchi), riciclando (dando nuova vita a quello che per altri è morto) e tantissime altre cose.
Finché si parla di pregi altrui ( rari come i personali ), abbiamo una voce in positivo del bilancio, ma quando si parla dei difetti di chi ti sta accanto ( tanti come i propri ), la questione si complica e diventa difficile.
Quando sei solo con te stesso ed inizi a muoverti per i fatti tuoi, ti senti come appesantito, stordito, infastidito, alterato. I passi segnati sono faticosi, pesanti, perché senti sotto – sotto dentro di te della zavorra, ma chi ce l'ha messa? La sensibilità, quella finestra sempre aperta verso il mondo contemporaneo nel contesto del muro della riservatezza. E ti ritrovi carico di tante idee, pensieri, parole, emozioni, azioni, coazioni, fisime, turbe, idee ridondanti altrui, oltre le ovvie proprie.
Che fare a questo punto? Bella domanda.
La cosa logica ma non conseguente, è iniziare a spremersi, buttar fuori, rilasciare, allontanare quello che si ha dentro. Come ? Semplice, pensando (non troppo), parlando (in compagnia), scrivendo (in un diario), disegnando (provandoci), fotografando (basta un semplice cellulare), telefonando (W la 0 Limits), “messaggiando” (W per la seconda volta la 0 Limits ), “bloggando” (ecco il post), digitando ( e-mail for-ever ), scendendo in piazza (sia essa analogica che digitale), uscendo di casa a fare quattro passi, viaggiando (c'è un'isola da scoprire), progettando (magari una stanza dove andare a starci), riparando (mobili vecchi), riciclando (dando nuova vita a quello che per altri è morto) e tantissime altre cose.
AVE ATQUE VALE
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