Traghetto. |
Calda
sera di primavera inoltrata, seduto sulla banchina del porto guardo
il mare. Buio, nero, difficile scrutarlo, figuriamoci solcarlo.
Davanti due imbarcazioni.
La
prima è entrata in rada da poco, ha finito la sua corsa, il suo
servizio. E’ finita ormeggiata in banchina dopo una fonda lunga e
deleteria nel golfo. Il rapporto con lei è finito in un naufragio
non dichiarato. L’equipaggio non ha il coraggio di lanciare
l’abbandono nave e ne tanto meno voglio esser Io a dare il colpo di
grazia. Non ne ho proprio voglia. Lascio che il tempo faccia il suo
corso.
La
seconda nave è di stazza più modesta, forse più scattante, avrebbe
tenuto il mare con maggiore difficoltà, ma avrebbe permesso di
navigare lo stesso in quel nero magno mare davanti ai miei occhi.
Riflettei
a lungo e salì sulla seconda, forte della sensazione interiore
ovattata che mi diceva "Si, va bene".
Salito
a bordo, cercai di navigarvi; praticamente impossibile. Nave piena di
falle, in continuo alla fonda per riparazioni, in secca per lungo al
carenaggio, pr la messa a punto, per riparazioni su riparazioni e
riparazioni che non tengono mai e scivolano dalla carena. Si salpa e
nel men che non si dica, nel giro di un paio di giorni prende e
ri-affonda, è un fuggire verso il bacino di carenaggio da cui non è
detto esca e se esce è nuovamente punto e a capo.
Ho
provato a partire con il secondo vascello per oltre un anno, capendo
poi che oltre ad essere irrimediabilmente danneggiato, era anche un
"vascello stregato".
Urla,
pianti, il cuore della notte trasformato in campi di battaglia
animati da spettri. Passati andati, torvi e cupi tornavano ad
aggirarsi per le sale del mezzo, urlando, imprecando, insultando,
offendendo e gettando urla strazianti di dolore, pianto e follia.
Fu
allora che stremato dalla fatica feci terra e salii sulle alture.
L’obiettivo era mettere strada tra Me ed il vascello carico di
spettri, per veder meglio l'imbarcazione infestata e non farvi più
ritorno.
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