Un Io, non tanti . |
Avere un Io è una bella cosa; bella perchè le azioni fatte o da compiere, hanno un inizio, un centro da cui partire e da cui proseguire.
Permette l'inizio di un discorso, di un ragionamento, di un'azione, in pratica un punto di partenza: la tua persona.
Non più un inizio a casaccio, random, a 360 gradi come sabbia sparsa per terra che non riesce a trovare un punto di aggregazione.
L'Io ti permette di fare scelte, perchè è la postazione da cui osservare la situazione, con la visuale ed i suoi limiti, legati a te.
Non una miriade di posti di osservazione sparsi per terra da cui non è possibile avere una visione univoca, le cose frammentate in miriadi di punti di osservazione, incoerenti e sparsi, persi e a pezzetti, dove tali e tante sono le visuali da non riuscir ad omogeneizzare e vedere alla fin fine un bel nulla.
Avere un Io ha anche il suo prezzo, a volte dolce, altre salato o addirittura amaro.
Dolce perchè hai il tuo punto di inizio delle tue azioni.
Salato perchè se fai delle scelte affrettate, sbagliate, dirompenti o errate, quello che è al centro dell'azione e a cui ricadono gli effetti dell'azione sei tu.
Amaro perchè non ci sono gli "altri" a cui addossare la colpa, cosa voglio dire: se una persona compie una “minchiata”, ed avendo un Io da dove valutare col proprio punto di vista e decidere di andargli dietro, non posso e non voglio addossare la colpa delle conseguenze delle azioni iniziali. Un Io che dice SI ed anche NO alla “minchiata”, queste scelte sono mie e non di altri, alias se il primo che ha fatto un'azione ed IO la giudico una minchiata e di conseguenza non la voglio condividere il gioco si ferma; ma se Io scelgo di condividerla sono IO ad averla condivisa e non che la “minchiata” è di altrui proprietà.
"Mi è arrivato un sms, o è roba da pagare, o è Dona o Marco.” Era Marco.
Mentre scrivevo pensavo a mio padre, a quanto duri e puri, sferzanti e moralisti, pesanti e opprimenti, psicotizzanti e schiaccianti erano i suoi discorsi quando iniziava a far capolino il mio Io.
Ricordo la durezza di risposta quando quello che usciva fuori non gli andava a genio ed i duri colpi verbali a botte di questioni sociali e morali venivano sferzati come un bombardiere su di una città.
Ricordo la sensazione di panico, di sgomento, di ansia, di terrore, di demolizione interiore che vivevo, la paura di morire da un momento all'altro, la claustrofobia che mi prendeva ed il senso di strangolamento che mi attanagliava la gola.
Ricordo che era come se mi mollava una delle sue pizze in faccia, dopo le quali mi ritrovavo steso per terra, peccato che era il mio Io sbrindellato/sdirinato/spappolato in 1000 pezzi.
Permette l'inizio di un discorso, di un ragionamento, di un'azione, in pratica un punto di partenza: la tua persona.
Non più un inizio a casaccio, random, a 360 gradi come sabbia sparsa per terra che non riesce a trovare un punto di aggregazione.
L'Io ti permette di fare scelte, perchè è la postazione da cui osservare la situazione, con la visuale ed i suoi limiti, legati a te.
Non una miriade di posti di osservazione sparsi per terra da cui non è possibile avere una visione univoca, le cose frammentate in miriadi di punti di osservazione, incoerenti e sparsi, persi e a pezzetti, dove tali e tante sono le visuali da non riuscir ad omogeneizzare e vedere alla fin fine un bel nulla.
Avere un Io ha anche il suo prezzo, a volte dolce, altre salato o addirittura amaro.
Dolce perchè hai il tuo punto di inizio delle tue azioni.
Salato perchè se fai delle scelte affrettate, sbagliate, dirompenti o errate, quello che è al centro dell'azione e a cui ricadono gli effetti dell'azione sei tu.
Amaro perchè non ci sono gli "altri" a cui addossare la colpa, cosa voglio dire: se una persona compie una “minchiata”, ed avendo un Io da dove valutare col proprio punto di vista e decidere di andargli dietro, non posso e non voglio addossare la colpa delle conseguenze delle azioni iniziali. Un Io che dice SI ed anche NO alla “minchiata”, queste scelte sono mie e non di altri, alias se il primo che ha fatto un'azione ed IO la giudico una minchiata e di conseguenza non la voglio condividere il gioco si ferma; ma se Io scelgo di condividerla sono IO ad averla condivisa e non che la “minchiata” è di altrui proprietà.
"Mi è arrivato un sms, o è roba da pagare, o è Dona o Marco.” Era Marco.
Mentre scrivevo pensavo a mio padre, a quanto duri e puri, sferzanti e moralisti, pesanti e opprimenti, psicotizzanti e schiaccianti erano i suoi discorsi quando iniziava a far capolino il mio Io.
Ricordo la durezza di risposta quando quello che usciva fuori non gli andava a genio ed i duri colpi verbali a botte di questioni sociali e morali venivano sferzati come un bombardiere su di una città.
Ricordo la sensazione di panico, di sgomento, di ansia, di terrore, di demolizione interiore che vivevo, la paura di morire da un momento all'altro, la claustrofobia che mi prendeva ed il senso di strangolamento che mi attanagliava la gola.
Ricordo che era come se mi mollava una delle sue pizze in faccia, dopo le quali mi ritrovavo steso per terra, peccato che era il mio Io sbrindellato/sdirinato/spappolato in 1000 pezzi.
Come se un rabbino una volta deciso di costruire un golem di sabbia, decida di prenderlo a pugni fino a sgretolarlo a pezzi per terra.
Nessun commento:
Posta un commento