domenica 9 febbraio 2014

L'inferno.. .

Di piazza Dante Alighieri .
Giornata bella, quasi irreale. Clima primaverile ci avvolge intorno e dentro. Sembra quasi di volare sulle bici. Io contento di pedalare, sopratutto con Te, ma grato a tuo padre di avermi prestato il suo velocipede. Capisco da subito che è un prezioso prestito, la tratto con riverenza quasi sacrale. Prima di salirci sopra, conscio dei miei 100 e passa, testo le ruote. Capisco che sono sgonfie e ti chiedo di andar dal benzinaio.
A passo celere ci dirigiamo verso la pompa di benzina ed Io attingo alla mia cultura povera ma presente di meccanica di bici. Gonfio le ruote con una cura neanche se fosse l'ultima volta in vita mia. Testo i freni con precisione e cura. Noto il tuo sguardo su di me che mi elettrizza, faccio tutto con il mio tempo e meravigliosamente bene dentro me. Ti accorgi che mi impegno in ciò che faccio e rimanendo stupita da come curo la bici, lo condividi con me. Una gioia immensa mi pervade il cuore, sapere che apprezzi ciò che faccio per noi mi riempie di felicità.
Chiedo al benzinaio quanto è il disturbo, una risata è il preludio degli arrivederci. Saliamo in sella ed iniziamo a pedalare. Tremante dallo spettacolo di vederti in bici, allungo il passo ed accostando dico << Ringrazia tuo padre per avermi prestato la bici. >> Con un sorriso abbagliante mi rispondi << Fabio. Lo devi ringraziare perchè ti ha dato la figlia!>>.
Rimango scioccato, quasi intontito. Questo al mio paese vuol dire che il padre si fida di me e mette nelle mie mani la sua figliola. Un senso di pesantezza mi sale sulle spalle, come di troppa responsabilità. 
 Pedaliamo per le vie, il traffico è scorrevole e gli autisti non ci mettono sotto. Arriviamo ad un primo parco comunale, giriamo intorno ad un ruscello ed Io vorrei fermarmi lì. I miei occhi ti vedono ninfa, mi innamoro per l'ennesima volta e quasi piango nel vederti.
Proseguiamo a pedalare, dritti verso un altro parco. Varcatone il cancello, mi fermo a fotografare una foto sul rispetto degli spazi comuni e sulla necessità di raccoglier i bisogni dei cani. Il cartello mi ha colpito perchè dimostra con mano che basta poco per iniziare ad avere uno spazio comune pulito.
Riprendiamo il percorso con il vento in poppa, forse chiudono il parco o forse l'ufficio dove lavori, ma sento che voglio seguirti e non farti andar via.
Guadagniamo l'uscita dello spazio verde, ma incrociamo un volto familiare. Io ho come paura a veder quella persona, qualcosa mi dice di aver già visto quei lineamenti da qualche parte. E' tuo zio.
Ti fermi a parlare ed Io mi metto un po in disparte. Mi sento in imbarazzo e quasi fuori luogo, dato che dentro di me gira e rigira un disco rotto “Lei è precaria, Tu pure. Ma che cazzo ve state a dì? Qui ci stai per poco tempo e rifatta la valigia di cartone, te ne tornerai a casa tua. Non tessere legami.”
Ti fermi a parlare, la discussione diventa lunga ed Io ho terminato le scuse per indugiare. Appoggiare la bici, scendere con calma, bere alla fontanella, guardare il cartello. Ho finito le scuse, non posso più starmene in disparte, anche perchè mi ha puntato con lo sguardo ed ha il viso di chi vorrebbe conoscermi, oltre a te che vorresti presentarmi. Non ne posso fare a meno. Mi avvicino e mi presento con “Fabio” ed un sorriso impaurito mi si dipinge sul volto. Dall'altra parte è riservato un sorriso dolce ed affabile, disponibile e da zio verso un nipote acquisito, simile a quello dello Zio Ettore. Mi sento ancora più in imbarazzo, non so che dire o fare, sento e capisco che Io qui sono di passaggio e l'anima è straziata tra far il coglione affabile ed il menefreghista “tanto sono qui solo per fottere”. Mi avvicino e timidamente ascolto, scambio qualche parola e mostro curiosità ed interesse.
Una stretta di mano pone fine alla mia passione, mentre ci avviamo definitivamente all'uscita mi arriva la voce dello “zio” << Trattala bene, è una ragazza d'oro>>.
Un sorriso tirato accompagna un impaurito << Certamente >> dalla bocca. Vorrei urlargli che Io qui sono di passaggio, ma il tempo è poco ed il posto è fuori luogo, lui non mi conosce e sento che Tu mi stai tirando dentro ad un copione fatto e ri-fatto decine di volte, con chissà quante altre persone prima di me.
Un ulteriore peso giunge sulle mie spalle, sento i piedi vacillare, come un colosso dai piedi d'argilla comincio ad oscillare.
Mi sento fuori luogo ed impacciato, ma giungiamo al tuo posto di lavoro. Mi presenti le colleghe ed Io ho portato un pensierino dalla Sicilia per loro: penna e righello AVIS Milazzo per tutti, presenti ed assenti. Sicuramente saranno utili. Baci, saluti ed abbracci.
Complimenti dalle tue colleghe che non mi staccano gli occhi di sopra, tessono lodi per la cortesia e la gentilezza, mentre tu mi sfanculizzi lanciando sul tavolo la tazzina di caffè. La cosa non mi fa molto pensare su momento, ma dopo, a mente fredda tornando sul caffè come bevanda della pace e dei rapporti sociali, penso che mal celavi il tuo disturbo verso un Marucchin che nel bene e nel male, partendo da una condizione svantaggiata riesce a intrattenere rapporti anche con le tue colleghe.
Incontro tutti, dalla collega pronta ad andarsene via per fine contratto, alla dirigente di settore. Mi sento cortesemente accolto e credo che la cortesia serva a non farmi mettere radici o tessere rapporti umani.
Guadagniamo l'uscita dello stabile, ripetendo il percorso che quotidianamente impegni ed oggi mi confessi di volerlo condividere con me. Mi sento un cuore di cane, da una parte felice perchè lo vuoi fare con me, per noi; ma dall'altra so che è una facciata ipocrita. Saliti sulle bici ci dirigiamo verso il Sentierone, ti guardo pedalare e ti trovo sempre più bella ad ogni falcata.
Mi fermo a prendere del pane ed una mozzarella ad un gazebo di prodotti che espongono davanti a gli archi, mentre tu mi racconti l'ennesimo aneddoto di casa tua e della tua famiglia. Mi sento fuori luogo ed impacciato, cosa ho fatto per meritare questa doppia tortura? Da una parte mi rendi partecipe della tua vita, ma dall'altra mi sbologni.
Arriviamo in piazza Dante, posiamo le bici vicino ad una panchina ed i nostri occhi iniziano ad intrecciarsi. Mi cerchi con lo sguardo mentre mi spari insistentemente delle domande, delle necessità, delle speranze.
- Fabio, ho 35 anni.
Con un pizzico di ansia nella voce.
Sdrammatizzo con un: - Fino a prova contraria 34, forse quasi 35, ma Io il mio tempo non lo cedo a nessuno, neanche un frammento se non alla donna che amo. Un buco nell'acqua, continui la filippica. Chissà quante volte l'hai detta e ri-detta.
Voglio farmi una famiglia. Voglio sposarmi. Voglio avere dei figli. Farmi una casa e crescervi la mia famiglia.Un fiume in piena ghiacciato mi giunge addosso, quasi non capisco dove sono finito. Mi sento come i Romani nella selva di Teutoburgo caduti in un'imboscata. Mi muovo con affanno ed impacciato.
Le tue domande e richieste di certezza sopravanzano come un cingolato, non c'è modo di scansarle, almeno per via del forte legame che provo verso te. Mi tieni il volto con la mano destra sulla guancia sinistra. Ancora è come se sentissi il calore del tuo palmo sulla pelle. Scruti i miei occhi come uno “spiaggiatore” scruta la sabbia, scorrono le pupille per percepire ogni singola increspatura degli occhi che tradisca le emozioni interiori.
Decido di affrontarle. Guardo la fontana, l'acqua che scorre, le fronde degli alberi. Il mio staccare lo sguardo dal tuo per trarre respiro non è bene accetto.
Sono impacciato, goffo, maldestramente mi muovo, spanno. Hai preso la mia Chicca, scatti foto a più riprese rivolte a me. Tra me e me mi dico “Vorrai veder con calma il mio volto più tardi e capire se ciò che ho detto è differente a quello che esprimo”. Maledette fotografie, ma allo stesso tempo benedette perchè ti fanno vedere come gli occhi dell'altro fotografo vedono le cose.



Sulle note di “Lisa Gerrard - Now We Are Free” mentre lo stormire degli alberi mi rincuora, ricordandomi proprio il pezzo de il Gladiatore, trovo la forza per afferrare una semplice domanda “Bimbo mio, vuoi tu questa donna per la vita?” Come un pirla di dimensioni assurde dico tra me e me “Si”.
Capitolo, ormai non ho scuse, sono Tuo. Non connetto più, sono cotto, innamorato, perso in Te, ho accettato di rispondere a questa domanda ed esprimo la mia volontà a farmi un futuro con Te.
Più stretti di prima, almeno per me, volgiamo a “casa”. Per la prima volta cucinerai per me e ciò che vedrò tra i fornelli non sarà bello, ma ormai sono capitolato e ti ho accettata accanto a me.

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