Di piazza Dante Alighieri . |
Giornata bella,
quasi irreale. Clima primaverile ci avvolge intorno e dentro. Sembra
quasi di volare sulle bici. Io contento di pedalare, sopratutto con
Te, ma grato a tuo padre di avermi prestato il suo velocipede.
Capisco da subito che è un prezioso prestito, la tratto con
riverenza quasi sacrale. Prima di salirci sopra, conscio dei miei
100 e passa, testo le ruote. Capisco che sono sgonfie e ti chiedo di
andar dal benzinaio.
A passo celere ci
dirigiamo verso la pompa di benzina ed Io attingo alla mia cultura
povera ma presente di meccanica di bici. Gonfio le ruote con una cura
neanche se fosse l'ultima volta in vita mia. Testo i freni con
precisione e cura. Noto il tuo sguardo su di me che mi elettrizza,
faccio tutto con il mio tempo e meravigliosamente bene dentro me. Ti
accorgi che mi impegno in ciò che faccio e rimanendo stupita da come
curo la bici, lo condividi con me. Una gioia immensa mi pervade il
cuore, sapere che apprezzi ciò che faccio per noi mi riempie di
felicità.
Chiedo al benzinaio
quanto è il disturbo, una risata è il preludio degli arrivederci.
Saliamo in sella ed iniziamo a pedalare. Tremante dallo spettacolo di
vederti in bici, allungo il passo ed accostando dico <<
Ringrazia tuo padre per avermi prestato la bici. >> Con un
sorriso abbagliante mi rispondi << Fabio. Lo devi ringraziare
perchè ti ha dato la figlia!>>.
Rimango scioccato,
quasi intontito. Questo al mio paese vuol dire che il padre si fida
di me e mette nelle mie mani la sua figliola. Un senso di pesantezza
mi sale sulle spalle, come di troppa responsabilità.
Pedaliamo per le
vie, il traffico è scorrevole e gli autisti non ci mettono sotto.
Arriviamo ad un primo parco comunale, giriamo intorno ad un ruscello
ed Io vorrei fermarmi lì. I miei occhi ti vedono ninfa, mi innamoro
per l'ennesima volta e quasi piango nel vederti.
Proseguiamo a
pedalare, dritti verso un altro parco. Varcatone il cancello, mi
fermo a fotografare una foto sul rispetto degli spazi comuni e sulla
necessità di raccoglier i bisogni dei cani. Il cartello mi ha
colpito perchè dimostra con mano che basta poco per iniziare ad
avere uno spazio comune pulito.
Riprendiamo il
percorso con il vento in poppa, forse chiudono il parco o forse
l'ufficio dove lavori, ma sento che voglio seguirti e non farti andar
via.
Guadagniamo l'uscita
dello spazio verde, ma incrociamo un volto familiare. Io ho come
paura a veder quella persona, qualcosa mi dice di aver già visto
quei lineamenti da qualche parte. E' tuo zio.
Ti fermi a parlare
ed Io mi metto un po in disparte. Mi sento in imbarazzo e quasi fuori
luogo, dato che dentro di me gira e rigira un disco rotto “Lei è
precaria, Tu pure. Ma che cazzo ve state a dì? Qui ci stai per poco
tempo e rifatta la valigia di cartone, te ne tornerai a casa tua. Non
tessere legami.”
Ti fermi a parlare,
la discussione diventa lunga ed Io ho terminato le scuse per
indugiare. Appoggiare la bici, scendere con calma, bere alla
fontanella, guardare il cartello. Ho finito le scuse, non posso più
starmene in disparte, anche perchè mi ha puntato con lo sguardo ed
ha il viso di chi vorrebbe conoscermi, oltre a te che vorresti
presentarmi. Non ne posso fare a meno. Mi avvicino e mi presento con
“Fabio” ed un sorriso impaurito mi si dipinge sul volto.
Dall'altra parte è riservato un sorriso dolce ed affabile,
disponibile e da zio verso un nipote acquisito, simile a quello dello
Zio Ettore. Mi sento ancora più in imbarazzo, non so che dire o
fare, sento e capisco che Io qui sono di passaggio e l'anima è
straziata tra far il coglione affabile ed il menefreghista “tanto
sono qui solo per fottere”. Mi avvicino e timidamente ascolto,
scambio qualche parola e mostro curiosità ed interesse.
Una stretta di mano
pone fine alla mia passione, mentre ci avviamo definitivamente
all'uscita mi arriva la voce dello “zio” << Trattala bene,
è una ragazza d'oro>>.
Un sorriso tirato
accompagna un impaurito << Certamente >> dalla bocca.
Vorrei urlargli che Io qui sono di passaggio, ma il tempo è poco ed
il posto è fuori luogo, lui non mi conosce e sento che Tu mi stai
tirando dentro ad un copione fatto e ri-fatto decine di volte, con
chissà quante altre persone prima di me.
Un ulteriore peso
giunge sulle mie spalle, sento i piedi vacillare, come un colosso dai
piedi d'argilla comincio ad oscillare.
Mi sento fuori luogo
ed impacciato, ma giungiamo al tuo posto di lavoro. Mi presenti le
colleghe ed Io ho portato un pensierino dalla Sicilia per loro: penna
e righello AVIS Milazzo per tutti, presenti ed assenti. Sicuramente
saranno utili. Baci, saluti ed abbracci.
Complimenti dalle
tue colleghe che non mi staccano gli occhi di sopra, tessono lodi per
la cortesia e la gentilezza, mentre tu mi sfanculizzi lanciando sul
tavolo la tazzina di caffè. La cosa non mi fa molto pensare su
momento, ma dopo, a mente fredda tornando sul caffè come bevanda
della pace e dei rapporti sociali, penso che mal celavi il tuo
disturbo verso un Marucchin che nel bene e nel male, partendo da una
condizione svantaggiata riesce a intrattenere rapporti anche con le
tue colleghe.
Incontro tutti,
dalla collega pronta ad andarsene via per fine contratto, alla
dirigente di settore. Mi sento cortesemente accolto e credo che la
cortesia serva a non farmi mettere radici o tessere rapporti umani.
Guadagniamo l'uscita
dello stabile, ripetendo il percorso che quotidianamente impegni ed
oggi mi confessi di volerlo condividere con me. Mi sento un cuore di
cane, da una parte felice perchè lo vuoi fare con me, per noi; ma
dall'altra so che è una facciata ipocrita. Saliti sulle bici ci
dirigiamo verso il Sentierone, ti guardo pedalare e ti trovo sempre
più bella ad ogni falcata.
Mi fermo a prendere
del pane ed una mozzarella ad un gazebo di prodotti che espongono
davanti a gli archi, mentre tu mi racconti l'ennesimo aneddoto di
casa tua e della tua famiglia. Mi sento fuori luogo ed impacciato,
cosa ho fatto per meritare questa doppia tortura? Da una parte mi
rendi partecipe della tua vita, ma dall'altra mi sbologni.
Arriviamo in piazza
Dante, posiamo le bici vicino ad una panchina ed i nostri occhi
iniziano ad intrecciarsi. Mi cerchi con lo sguardo mentre mi spari
insistentemente delle domande, delle necessità, delle speranze.
Sdrammatizzo con un: - Fino a prova contraria 34, forse quasi 35, ma Io il mio
tempo non lo cedo a nessuno, neanche un frammento se non alla donna
che amo. Un buco nell'acqua, continui la filippica. Chissà
quante volte l'hai detta e ri-detta.
Voglio farmi una famiglia. Voglio sposarmi. Voglio avere dei figli. Farmi una casa e crescervi la mia famiglia.Un fiume in piena ghiacciato mi giunge addosso, quasi non capisco dove sono finito. Mi sento come i Romani nella selva di Teutoburgo caduti in un'imboscata. Mi muovo con affanno ed impacciato.
Voglio farmi una famiglia. Voglio sposarmi. Voglio avere dei figli. Farmi una casa e crescervi la mia famiglia.Un fiume in piena ghiacciato mi giunge addosso, quasi non capisco dove sono finito. Mi sento come i Romani nella selva di Teutoburgo caduti in un'imboscata. Mi muovo con affanno ed impacciato.
Le tue domande e
richieste di certezza sopravanzano come un cingolato, non c'è modo
di scansarle, almeno per via del forte legame che provo verso te. Mi
tieni il volto con la mano destra sulla guancia sinistra. Ancora è
come se sentissi il calore del tuo palmo sulla pelle. Scruti i miei
occhi come uno “spiaggiatore” scruta la sabbia, scorrono le
pupille per percepire ogni singola increspatura degli occhi che
tradisca le emozioni interiori.
Decido di
affrontarle. Guardo la fontana, l'acqua che scorre, le fronde degli
alberi. Il mio staccare lo sguardo dal tuo per trarre respiro non è
bene accetto.
Sono impacciato,
goffo, maldestramente mi muovo, spanno. Hai preso la mia Chicca,
scatti foto a più riprese rivolte a me. Tra me e me mi dico “Vorrai
veder con calma il mio volto più tardi e capire se ciò che ho detto
è differente a quello che esprimo”. Maledette fotografie, ma allo
stesso tempo benedette perchè ti fanno vedere come gli occhi
dell'altro fotografo vedono le cose.
Sulle note di “Lisa
Gerrard - Now We Are Free” mentre lo stormire degli alberi mi
rincuora, ricordandomi proprio il pezzo de il Gladiatore, trovo la
forza per afferrare una semplice domanda “Bimbo mio, vuoi tu questa
donna per la vita?” Come un pirla di dimensioni assurde dico tra me
e me “Si”.
Capitolo, ormai non
ho scuse, sono Tuo. Non connetto più, sono cotto, innamorato, perso
in Te, ho accettato di rispondere a questa domanda ed esprimo la mia
volontà a farmi un futuro con Te.
Più stretti di
prima, almeno per me, volgiamo a “casa”. Per la prima volta
cucinerai per me e ciò che vedrò tra i fornelli non sarà bello, ma
ormai sono capitolato e ti ho accettata accanto a me.
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