E solo questo resta, mentre un sonchus oleraceus L. “Cardella” guarda il terrazzo . |
Ho dovuto aspettare
il 10 gennaio del nuovo anno prima di tornare in quel luogo che fu
nostro. Una fitta al cuore mi prende all'idea di scavalcare il
cancello come quella sera.
Ho bisogno di
rigiocare le carte, arriverò sul posto da un'altra entrata, un po
più lunga, impervia ma puntellata da scorci paesaggistici che mi
aiutano nel percorso della via crucis. E poi ufficialmente devo
raccogliere del finocchietto selvatico per cucinare.
“Cardella” e
“cavuliceddu” quanto ne voglio, anche punte di ortica e della
“cosca vecchia”. La prima borsa delle verdure è piena, ma di
finocchietto neanche l'ombra. Sarò costretto a dovermi dirigere
verso il faro.
Trovata una
soluzione di continuità nella rete sul bordo della strada, posso
guadagnare il viottolo che porta alle scale. Una lacrima di “sangue”
fuoriesce da una delle ferite dell'animo camminando sul selciato come
quella sera.
Tu bellissima
indossavi il tuo sorriso ed un vestiario da ragazzina, tra le mie
braccia mentre con le borse cariche di ciò che dopo avrebbe
deliziato due persone adulte, passavamo tra ragazzine e ragazzini
travestiti da donne e uomini che facevano la fila per entrare in
discoteca. Ricordo i loro sguardi magnetizzati da un uomo ed una
donna che con il sorriso stampato sul volto si dirigono verso una
serata tutta loro, che nessuno mai potrà mai condividere e di cui
non esiste lista di accesso al privè. Guardo le tue converse gialle
e la tua camicia bianca, confrontandoli con i tacchi vertiginosi di
una vestita di nero. Ti trovo perdutamente sensuale ed ho voglia di
farti mia.
Come un manto di
tenebra i ricordi avvolgono il cuore mentre salgo da solo i gradini,
ma mi faccio permeare dal sole della giornata e le nebbie si
diradano.
Hanno pulito dove
quella sera erano sterpaglie che lambivano il sentiero, ora un prato
ampio con tenere piantine si apre. Indugio un po. Ho la scusa di
cercare del finocchietto selvatico. La doppia busta al braccio
sinistro dichiara di voler raccogliere i germogli per cucinarli, ma
in cuor mio faccio fatica a voltarmi verso il faro. Raccolti quelli a
disposizione e finita la scusa, mi volto verso la struttura, il
giallo delle pareti riflette la luce del sole ed un caldo invito ad
andare verso la terrazza si presenta.
Faccio la prima
rampa di scale, cerco di ricordare i discorsi fatti quella sera, ma
la memoria è muta, è tornata sabbia liscia su cui poter scrivere,
levigata dalle onde della rimozione.
Un'emozione forte e
chiara riemerge, quella della mattina quando ti condussi per la prima
volta sulla terrazza. Volevo farti assaporare le bellezze del posto
prima di scendere verso la scogliera. Decisi di puntare prima al faro
e complice la chiara mattinata, ti ci portai.
La scarica elettrica
che mi/ci attraversò quando volontariamente o involontariamente
mettesti la mano vicino alla mia, quasi pronta ad esser toccata. Un
senso di pudore mi prese, ritrassi la mia e mi chiusi a guscio.
Toccarti la mano era un gesto troppo intimo e personale. Non mi
sentivo pronto, non eravamo ancora nulla e vissi quel gesto come
un'eccessiva invasione. Lo percepisti come un rifiuto.
Ti chiudesti a
riccio. Quando scendemmo dalla ripida scaletta di metallo, sulle
prime rifiutasti la mano che ti porsi per aiutarti di facciata, ma in
cuor mio giocavo al gatto con il topo per capire la tua reazione
conseguenza del porgerti la mano in una situazione di cortesia.
Rispondesti da dura, ma Io da prepotente ti diedi lo stesso la mano e
ti aiutai a scendere.
Le fila dei ricordi
si riallacciano e quella sera diventa questa sera, le cose fluiscono
in un caldo dolore. Sei con me, sei mia e voglio darti la mano non da
cortesia, ma da un uomo che vuole aiutare e vuole la sua donna. Ti
tiro su come un uccellino dalla scala. Finisci tra le mie braccia e
forse un bacio scocca tra di noi, uno dei tanti, sempre più belli.
Un retrogusto di fumo lambisce la bocca, non ci voglio dar tanta
retta.
Guadagniamo il
centro della terrazza e dispongo i teli da mare e sotto il tappetino
di gommapiuma in modo da guadagnare un quadrato su cui poterci
distendere sotto la volte di questa notte stellata e baciata dalla
luna.
Apro la borsa frigo
ed estraggo una bottiglia di Glicine ghiacciato. Prendo della frutta
che prima avevo pulito e tagliato per noi e su i passi a base di vino
e frutta con le mani e le labbra inizia la danza.
La mente apre un
altro capitolo, un'altra botola al cui interno scendo/precipito e la
mente va ad una sera d'estate di tanti anni prima, quando Donatella
mi invitò a trascorrere una giornata con lei all'Hilton Hotel a
Giardini Naxos. La serata della festa in bianco trascorse con la
bellissima ragazza dai lunghi capelli ondulati che mi danzava
intorno. Ci corteggiammo mordendo e mangiando dalle altrui mani
grappoli e chicchi di uva. Questa sera la voglio fare nostra e
mangiare nuovamente ma con Te uva, frutta e bere vino con e dalle
nostre mani, in un concerto di passione fatto di notte d'estate,
stelle, buio schiarito dalla torcia del faro e voglia di viversi a
fondo questi momenti.
La frutta è
mangiata da labbra che offrono all'altrui bocca bocconi di pesca noce
o chicchi di uva. Le dita che porgono all'altro scampoli dolci
finiscono nell'altrui bocca o labbra, un gioco di seduzione forte ci
prende. Gli occhi con cui ci guardiamo ci fanno assaporare l'un con
l'altro.
Ti alzi dal quadrato
“nostro”, come ubriaca di emozioni e barcollando ti dirigi verso
l'inferriata. Gusti il panorama delle isole Eolie illuminate a
presepe in lontananza, quasi volessi toccarle con le tue stesse mani.
Ti appoggi all'inferriata e ti lasci permeare dalla bellezza della
notte che ci avvolge come maschera.
Ti raggiungo. Sei di
spalle tra le mie braccia in un caldo abbraccio. La memoria ha voluto
lasciar andar via molti particolari, per cui ci ritroviamo nudi
incastrati perfettamente nell'altro. La passione è tanta e forte, ti
voglio tutta mia, senza lasciar nulla al caso. Ti ci aggrappi
all'inferriata come un capitano sul castello di poppa durante una
tempesta. Un caldo vento di scirocco spira alle nostre spalle,
portando le note della sottostante discoteca alle nostre orecchie, ma
le mie sono catturate dalle tue urla di piacere, mentre volano su gli
aliti di vento verso le isole. “Chissà se le sentirà la
Liparota?”, penso compiaciuto tra me e me.
Ti sollevo con le
mie braccia, come una bimba ti sento sul mio petto e ti adagio sul
telo. Vino, frutta, carezze e piena libertà di esprimersi ci prende.
Come fiumi in piena ci prendiamo e ci mischiamo. Un amore forte,
caldo e tenero come il calore che sale dal terrazzo, il vento di
scirocco solletica le nostre pelli madide dell'altrui sapore.
Gli sprazzi dei
ricordi mi attraversano come fiume in piena non appena salgo sul
terrazzo. Un Sonchus oleraceus L., alias una “Cardella”
dall'intenso colore giallo, le stesse che raccoglievo e portavo a mia
nonna strada facendo di ritorno da scuola, guarda timidamente il
terrazzo del faro. Immagini ed emozioni danzano in un sabba
bellissimo ma mortale. Tra me e me a poco a poco mi riprendo. Prendo
i pezzi del nostro trascorso, ora mio passato e puntellati da qualche
scatto guadagno la discesa dalla terrazza.
Ancora tanta strada
ho da fare, così come tante cose ho da compiere oggi. Nuovi sentieri
si dipartono ed Io ancora non ho trovato il finocchietto che mi
serve.
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