martedì 11 febbraio 2014

Sogno di una notte di mezza estate.

E solo questo resta, mentre un sonchus oleraceus L. “Cardella” guarda il terrazzo .
Ho dovuto aspettare il 10 gennaio del nuovo anno prima di tornare in quel luogo che fu nostro. Una fitta al cuore mi prende all'idea di scavalcare il cancello come quella sera.
Ho bisogno di rigiocare le carte, arriverò sul posto da un'altra entrata, un po più lunga, impervia ma puntellata da scorci paesaggistici che mi aiutano nel percorso della via crucis. E poi ufficialmente devo raccogliere del finocchietto selvatico per cucinare.
Cardella” e “cavuliceddu” quanto ne voglio, anche punte di ortica e della “cosca vecchia”. La prima borsa delle verdure è piena, ma di finocchietto neanche l'ombra. Sarò costretto a dovermi dirigere verso il faro.
Trovata una soluzione di continuità nella rete sul bordo della strada, posso guadagnare il viottolo che porta alle scale. Una lacrima di “sangue” fuoriesce da una delle ferite dell'animo camminando sul selciato come quella sera.
Tu bellissima indossavi il tuo sorriso ed un vestiario da ragazzina, tra le mie braccia mentre con le borse cariche di ciò che dopo avrebbe deliziato due persone adulte, passavamo tra ragazzine e ragazzini travestiti da donne e uomini che facevano la fila per entrare in discoteca. Ricordo i loro sguardi magnetizzati da un uomo ed una donna che con il sorriso stampato sul volto si dirigono verso una serata tutta loro, che nessuno mai potrà mai condividere e di cui non esiste lista di accesso al privè. Guardo le tue converse gialle e la tua camicia bianca, confrontandoli con i tacchi vertiginosi di una vestita di nero. Ti trovo perdutamente sensuale ed ho voglia di farti mia.
Come un manto di tenebra i ricordi avvolgono il cuore mentre salgo da solo i gradini, ma mi faccio permeare dal sole della giornata e le nebbie si diradano.
Hanno pulito dove quella sera erano sterpaglie che lambivano il sentiero, ora un prato ampio con tenere piantine si apre. Indugio un po. Ho la scusa di cercare del finocchietto selvatico. La doppia busta al braccio sinistro dichiara di voler raccogliere i germogli per cucinarli, ma in cuor mio faccio fatica a voltarmi verso il faro. Raccolti quelli a disposizione e finita la scusa, mi volto verso la struttura, il giallo delle pareti riflette la luce del sole ed un caldo invito ad andare verso la terrazza si presenta.
Faccio la prima rampa di scale, cerco di ricordare i discorsi fatti quella sera, ma la memoria è muta, è tornata sabbia liscia su cui poter scrivere, levigata dalle onde della rimozione.
Un'emozione forte e chiara riemerge, quella della mattina quando ti condussi per la prima volta sulla terrazza. Volevo farti assaporare le bellezze del posto prima di scendere verso la scogliera. Decisi di puntare prima al faro e complice la chiara mattinata, ti ci portai.
La scarica elettrica che mi/ci attraversò quando volontariamente o involontariamente mettesti la mano vicino alla mia, quasi pronta ad esser toccata. Un senso di pudore mi prese, ritrassi la mia e mi chiusi a guscio. Toccarti la mano era un gesto troppo intimo e personale. Non mi sentivo pronto, non eravamo ancora nulla e vissi quel gesto come un'eccessiva invasione. Lo percepisti come un rifiuto.
Ti chiudesti a riccio. Quando scendemmo dalla ripida scaletta di metallo, sulle prime rifiutasti la mano che ti porsi per aiutarti di facciata, ma in cuor mio giocavo al gatto con il topo per capire la tua reazione conseguenza del porgerti la mano in una situazione di cortesia. Rispondesti da dura, ma Io da prepotente ti diedi lo stesso la mano e ti aiutai a scendere.
Le fila dei ricordi si riallacciano e quella sera diventa questa sera, le cose fluiscono in un caldo dolore. Sei con me, sei mia e voglio darti la mano non da cortesia, ma da un uomo che vuole aiutare e vuole la sua donna. Ti tiro su come un uccellino dalla scala. Finisci tra le mie braccia e forse un bacio scocca tra di noi, uno dei tanti, sempre più belli. Un retrogusto di fumo lambisce la bocca, non ci voglio dar tanta retta.
Guadagniamo il centro della terrazza e dispongo i teli da mare e sotto il tappetino di gommapiuma in modo da guadagnare un quadrato su cui poterci distendere sotto la volte di questa notte stellata e baciata dalla luna.
Apro la borsa frigo ed estraggo una bottiglia di Glicine ghiacciato. Prendo della frutta che prima avevo pulito e tagliato per noi e su i passi a base di vino e frutta con le mani e le labbra inizia la danza.
La mente apre un altro capitolo, un'altra botola al cui interno scendo/precipito e la mente va ad una sera d'estate di tanti anni prima, quando Donatella mi invitò a trascorrere una giornata con lei all'Hilton Hotel a Giardini Naxos. La serata della festa in bianco trascorse con la bellissima ragazza dai lunghi capelli ondulati che mi danzava intorno. Ci corteggiammo mordendo e mangiando dalle altrui mani grappoli e chicchi di uva. Questa sera la voglio fare nostra e mangiare nuovamente ma con Te uva, frutta e bere vino con e dalle nostre mani, in un concerto di passione fatto di notte d'estate, stelle, buio schiarito dalla torcia del faro e voglia di viversi a fondo questi momenti.
La frutta è mangiata da labbra che offrono all'altrui bocca bocconi di pesca noce o chicchi di uva. Le dita che porgono all'altro scampoli dolci finiscono nell'altrui bocca o labbra, un gioco di seduzione forte ci prende. Gli occhi con cui ci guardiamo ci fanno assaporare l'un con l'altro. 
 
 
Ti alzi dal quadrato “nostro”, come ubriaca di emozioni e barcollando ti dirigi verso l'inferriata. Gusti il panorama delle isole Eolie illuminate a presepe in lontananza, quasi volessi toccarle con le tue stesse mani. Ti appoggi all'inferriata e ti lasci permeare dalla bellezza della notte che ci avvolge come maschera.
Ti raggiungo. Sei di spalle tra le mie braccia in un caldo abbraccio. La memoria ha voluto lasciar andar via molti particolari, per cui ci ritroviamo nudi incastrati perfettamente nell'altro. La passione è tanta e forte, ti voglio tutta mia, senza lasciar nulla al caso. Ti ci aggrappi all'inferriata come un capitano sul castello di poppa durante una tempesta. Un caldo vento di scirocco spira alle nostre spalle, portando le note della sottostante discoteca alle nostre orecchie, ma le mie sono catturate dalle tue urla di piacere, mentre volano su gli aliti di vento verso le isole. “Chissà se le sentirà la Liparota?”, penso compiaciuto tra me e me.
Ti sollevo con le mie braccia, come una bimba ti sento sul mio petto e ti adagio sul telo. Vino, frutta, carezze e piena libertà di esprimersi ci prende. Come fiumi in piena ci prendiamo e ci mischiamo. Un amore forte, caldo e tenero come il calore che sale dal terrazzo, il vento di scirocco solletica le nostre pelli madide dell'altrui sapore. 
 
Gli sprazzi dei ricordi mi attraversano come fiume in piena non appena salgo sul terrazzo. Un Sonchus oleraceus L., alias una “Cardella” dall'intenso colore giallo, le stesse che raccoglievo e portavo a mia nonna strada facendo di ritorno da scuola, guarda timidamente il terrazzo del faro. Immagini ed emozioni danzano in un sabba bellissimo ma mortale. Tra me e me a poco a poco mi riprendo. Prendo i pezzi del nostro trascorso, ora mio passato e puntellati da qualche scatto guadagno la discesa dalla terrazza.
Ancora tanta strada ho da fare, così come tante cose ho da compiere oggi. Nuovi sentieri si dipartono ed Io ancora non ho trovato il finocchietto che mi serve.

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