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Massive attack - Teardrop
Massive attack - Teardrop
Varco la soglia di
casa e chiamo il tuo nomignolo. Non rispondi. Lo ripeto un paio di
volte ed il silenzio mi dice che non ci sei. Entro nella stanza da
letto e vedo il borsone per l'ospedale disfatto. Un senso di panico e
paura mi prende, non capisco il perchè, ma sento qualcosa di nostro
ed importante in pericolo.
Prendo il telefono e
chiamo la tua amica del cuore. Una voce apparentemente sicura ma che
dentro è erosa dal vuoto scavato dal padre mi risponde
<< Pronto? >>
<< Dov'è
andata? >>
<< Pronto? Ma
chi è? >>
<< Carla non
fare la stupida! Hai il mio numero memorizzato! Dov'è andata? >>
<< Non lo so.
>>
<< Carla non
mi prendere per il culo! Sono meridionale come Te e ti chiedo di
aiutarmi. >>
Un lungo silenzio
scandisce i secondi, forse minuti, mentre l'altoparlante del
terminale riversa un rimuginare non solo della linea. Un filo di voce
uscito dal profondo di un antro risponde
<< Purtroppo
non sempre va tutto come vorremmo o come sembra. >>
Inebetito, non
capisco, non afferro il senso della frase sibillina. Mi domando se è
impazzita o se sto impazzendo Io con questo senso di pericolo
imminente dentro al petto per un qualcosa di mio e preziosissimo.
Un'immagine si
focalizza nella coscienza. Un medico ed una sala illuminata di luce
bianca, ma non da parto. Lancio un urlo al telefono. La linea è
staccata e l'urlo resta a me.
Il portone sbatte
alle spalle. Mi scaravento per le scale verso l'auto. Sgommando mi
precipito verso gli ospedali riuniti bruciando i semafori.
Le idee si coagulano
e prendono senso intorno a l'immagine della sala. Il controllo, che
doveva passare, le troppe pillole assunte in questi ultimi tempi ed
il senso di freddo e distacco degli ultimi giorni. Culminato iersera
come se l'avervi cullati tra le braccia avesse causato un senso di
disagio e quel senso di stizza verso la pancia concretizzato dopo da
un tonfo. Ora capisco che il colpo era rivolto all'addome, l'hai
fatto mentre ero voltato.
Parcheggio il mezzo
nel primo stallo nei pressi di Ostetricia e Ginecologia . Mordo le
scale come una furia, dopo che un sonoro “Vatinni a 'fanculu!” mi
esce dalla bocca in perfetto siciliano nei riguardi di un
portadocumenti sbucato da una porta.
Mi sento Enzo
Maiorca nel respirare, l'aria entrata nei polmoni ma non compensa lo
sforzo, corro lo stesso per le scale come un forsennato.
Arrivo al piano,
apro la porta e cerco la prima sala di ostetricia. E' chiusa, passo
avanti e ne cerco un'altra. Un'infermiera mi domanda chi sono e cosa
desidero. Dichiaro i miei estremi e quelli di chi cerco. Uno sguardo
impaurito di chi sa che tra non molto succederà qualcosa di
veramente brutto ne accompagna il silenzio.
Le chiedo dov'è,
con espressione ferina sul volto. Di cane a cui hanno appena
strappato pezzi di viscere e ringhia con la bava alla bocca dal
dolore. Impaurita si allontana chiamando il medico di turno.
Con passo lento e
deciso un collega viene in contro domandandomi “cosa è successo?”
E' un collega di corso, gli dico in quattro e quattro-otto
<< Dov'è mia
moglie? >>
<< Collega,
calmati. >>
<< Dove
stracazzo è mia moglie! Me lo vuoi dire tu o devo smontarti il
reparto per scoprire dov'è?>>
Una voce fredda e
professionale esce dalla bocca
<< Stanza 328.
>> Non dico neanche grazie. Proseguo per il corridoio.
Corro verso la
porta, la maniglia è inceppata, gli mollo un calcio. L'anta si
spalanca, entro. Vedo il tuo volto madido di sudore, tra il contento,
lo sdegnato e l'infastidito. Di chi ha appena vomitato fuori tutta la
merda trattenuta in corpo. Guardo il collega che tiene tra i guanti
insanguinati un fagottino.
Mi si spezza il
cuore. Barcollando volgo verso lui, le mani protese in avanti. Con la
coda dell'occhio capisco che non è stato un parto, gli strumenti del
raschiamento guardati solo sopra i libri sono appoggiati su di un
carrello.
Allungo la mano
verso il fagottino. Lo prendo. Lo guardo. Capisco che era una
femminuccia, piccolissima, neanche i piccoli polmoni si aprono a
mantice. Guardo prima Lei e poi Te. Come una regina della morte, ti
siedi sul trono a gambe divaricate da cui hai espulso questa nostra
creatura dal ventre.
Mi accascio per
terra mentre un lamento tetro e gutturale si fa strada tra le labbra
da cui cadono ife di bava. Cado in ginocchio. Le lacrime mi escono
dagli occhi e dal cuore. Intono un lamento di morte mentre intorno
sento la presenza dei miei Lari familiari accorsi dalle tenebre per
piangere il ramo dell'albero di ciliegio della nostra famiglia
spezzato per sempre prima ancora di fiorire. Per un momento ho come
l'impressione di vedere i miei nonni avvolgerla tra le loro braccia,
la nonna sembra cantarle la ninna nanna “Coscine di pollo” e
portarla via. Lontano da quel luogo di morte, accompagnarla tra tutti
i cari trapassati che la accolgono tra loro finalmente in un luogo
sicuro. Lì tra loro non sarà mai sola. Il nonno mi fa un cenno con
la mano alzata.
E' un'impressione
fugace, quasi impalpabile, mentre i miei occhi incrociano i tuoi ora
vuoti e languidi, mentre dondoli la testa come un giocattolo rotto.
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