giovedì 23 gennaio 2014

Purtroppo non sempre va tutto come vorremmo o come sembra .

.

Massive attack - Teardrop

Varco la soglia di casa e chiamo il tuo nomignolo. Non rispondi. Lo ripeto un paio di volte ed il silenzio mi dice che non ci sei. Entro nella stanza da letto e vedo il borsone per l'ospedale disfatto. Un senso di panico e paura mi prende, non capisco il perchè, ma sento qualcosa di nostro ed importante in pericolo.
Prendo il telefono e chiamo la tua amica del cuore. Una voce apparentemente sicura ma che dentro è erosa dal vuoto scavato dal padre mi risponde
<< Pronto? >>
<< Dov'è andata? >>
<< Pronto? Ma chi è? >>
<< Carla non fare la stupida! Hai il mio numero memorizzato! Dov'è andata? >>
<< Non lo so. >>
<< Carla non mi prendere per il culo! Sono meridionale come Te e ti chiedo di aiutarmi. >>
Un lungo silenzio scandisce i secondi, forse minuti, mentre l'altoparlante del terminale riversa un rimuginare non solo della linea. Un filo di voce uscito dal profondo di un antro risponde
<< Purtroppo non sempre va tutto come vorremmo o come sembra. >>
Inebetito, non capisco, non afferro il senso della frase sibillina. Mi domando se è impazzita o se sto impazzendo Io con questo senso di pericolo imminente dentro al petto per un qualcosa di mio e preziosissimo.
Un'immagine si focalizza nella coscienza. Un medico ed una sala illuminata di luce bianca, ma non da parto. Lancio un urlo al telefono. La linea è staccata e l'urlo resta a me.
Il portone sbatte alle spalle. Mi scaravento per le scale verso l'auto. Sgommando mi precipito verso gli ospedali riuniti bruciando i semafori.
Le idee si coagulano e prendono senso intorno a l'immagine della sala. Il controllo, che doveva passare, le troppe pillole assunte in questi ultimi tempi ed il senso di freddo e distacco degli ultimi giorni. Culminato iersera come se l'avervi cullati tra le braccia avesse causato un senso di disagio e quel senso di stizza verso la pancia concretizzato dopo da un tonfo. Ora capisco che il colpo era rivolto all'addome, l'hai fatto mentre ero voltato.
Parcheggio il mezzo nel primo stallo nei pressi di Ostetricia e Ginecologia . Mordo le scale come una furia, dopo che un sonoro “Vatinni a 'fanculu!” mi esce dalla bocca in perfetto siciliano nei riguardi di un portadocumenti sbucato da una porta.
Mi sento Enzo Maiorca nel respirare, l'aria entrata nei polmoni ma non compensa lo sforzo, corro lo stesso per le scale come un forsennato.
Arrivo al piano, apro la porta e cerco la prima sala di ostetricia. E' chiusa, passo avanti e ne cerco un'altra. Un'infermiera mi domanda chi sono e cosa desidero. Dichiaro i miei estremi e quelli di chi cerco. Uno sguardo impaurito di chi sa che tra non molto succederà qualcosa di veramente brutto ne accompagna il silenzio.
Le chiedo dov'è, con espressione ferina sul volto. Di cane a cui hanno appena strappato pezzi di viscere e ringhia con la bava alla bocca dal dolore. Impaurita si allontana chiamando il medico di turno.
Con passo lento e deciso un collega viene in contro domandandomi “cosa è successo?” E' un collega di corso, gli dico in quattro e quattro-otto
<< Dov'è mia moglie? >>
<< Collega, calmati. >>
<< Dove stracazzo è mia moglie! Me lo vuoi dire tu o devo smontarti il reparto per scoprire dov'è?>>
Una voce fredda e professionale esce dalla bocca
<< Stanza 328. >> Non dico neanche grazie. Proseguo per il corridoio.
Corro verso la porta, la maniglia è inceppata, gli mollo un calcio. L'anta si spalanca, entro. Vedo il tuo volto madido di sudore, tra il contento, lo sdegnato e l'infastidito. Di chi ha appena vomitato fuori tutta la merda trattenuta in corpo. Guardo il collega che tiene tra i guanti insanguinati un fagottino.
Mi si spezza il cuore. Barcollando volgo verso lui, le mani protese in avanti. Con la coda dell'occhio capisco che non è stato un parto, gli strumenti del raschiamento guardati solo sopra i libri sono appoggiati su di un carrello.
Allungo la mano verso il fagottino. Lo prendo. Lo guardo. Capisco che era una femminuccia, piccolissima, neanche i piccoli polmoni si aprono a mantice. Guardo prima Lei e poi Te. Come una regina della morte, ti siedi sul trono a gambe divaricate da cui hai espulso questa nostra creatura dal ventre.
Mi accascio per terra mentre un lamento tetro e gutturale si fa strada tra le labbra da cui cadono ife di bava. Cado in ginocchio. Le lacrime mi escono dagli occhi e dal cuore. Intono un lamento di morte mentre intorno sento la presenza dei miei Lari familiari accorsi dalle tenebre per piangere il ramo dell'albero di ciliegio della nostra famiglia spezzato per sempre prima ancora di fiorire. Per un momento ho come l'impressione di vedere i miei nonni avvolgerla tra le loro braccia, la nonna sembra cantarle la ninna nanna “Coscine di pollo” e portarla via. Lontano da quel luogo di morte, accompagnarla tra tutti i cari trapassati che la accolgono tra loro finalmente in un luogo sicuro. Lì tra loro non sarà mai sola. Il nonno mi fa un cenno con la mano alzata.
E' un'impressione fugace, quasi impalpabile, mentre i miei occhi incrociano i tuoi ora vuoti e languidi, mentre dondoli la testa come un giocattolo rotto.

Nessun commento: