Tanto tempo fa, in una vallata ai piedi di alte montagne, viveva un popolo di semplici pastori in un villaggio.
Gente senza tanti grilli per la testa, qualcuno coltivava la terra, altri avevano il gregge di pecore, qualcun altro una bottega di artigiano per confezionare le cose semplici che potessero servire: qualche scarpa, dei piatti in coccio e del pane. Era gente semplice che non avevano una chiesa nella vallata.
Continuavano ad adorare gli dei insegnatigli dai loro genitori e dai genitori dei loro genitori: l'acqua, il vento, il sole ed il culto per i cari passati nell'oltretomba. All'aria aperta, su dei prati sotto il sole, la loro misticità non richiedeva profonda conoscenze filosofiche, ma semplici risposte a immediate domande: dove finivano i loro cari dopo la morte? E come poter chiedere un raccolto migliore?
Un giorno vi giunse un prete missionario, dai vestiti laceri, logori e lerci, in fuga da una giuria di cardinali troppo inferociti dai pochi risultati portati. Infido, dal lungo naso di topo, con gli occhi stretti ed allungati con cui scrutava ogni cosa, mentre un corpo provato dalla fame di molti giorni di fuga accompagnava uno sguardo bramoso di conquiste in nome di nostro signore.
Giunto per caso nella vallata, incalzato dagli inseguitori, con grande meraviglia scoprì la comunità. Spinto dalla fame e dalla bramosia, scese giù nel villaggio.
I villani lo accolsero come ogni straniero che si avventurava per la loro valle, e vedendolo in quello stato pietoso, gli offrirono del pane e del formaggio, insieme alla possibilità di poter dormire per una notte nella casa del capo villaggio.
Rifocillatosi e dormito finalmente non più sotto le stelle, il frate cercò il prete del villaggio per avere dei favori, ma con grande sorpresa scoprì che il posto non era stato evangelizzato.
Cercò in lungo ed in largo segni di una antica cristianizzazione, magari a furor di popolo rigettata, ma non trovò che qualche altare pagano dove in base alle mensilità si compivano i sacrifici rituali di animali, frutta e verdura.
La sua mente iniziò a ragionare, mentre camminava tra le case e scorgeva la discreta agiatezza che quelle persone avevano a disposizione con il loro lavoro. Contava i capi di bestiame e pensava come volgere a suo vantaggio l'aver trovato questi pagani non ancora cristianizzati ed i crociati che lo inseguivano.
I templari erano alle sue calcagna da mesi, con una bolla cardinalizia di scomunica per eresia, dato che si era macchiato del peccato di cupidigia, aver svuotato le casse del convento e aver sperperato tutti i soldi del cardinale.
Pensando e ripensando, l'uomo dal naso di topo giunse ad una conclusione: Sono inseguito dai crociati e qui risiedono dei pagani, non mi resta che far giungere qui i cavalieri convincendoli che sono stato condotto da nostro signore, per portare il verbo cristiano tra questi adoratori del demonio. In modo che i crociati abbiano da convertire i pagani e poter riacquistare credito presso i superiori.
Detto fatto, senza salutare nessuno per non dare nell'occhio, ri - prese la sua strada in senso opposto, per andare in contro a gli inseguitori.
Nel giro di neanche mezza giornata, incontrò i cavalieri andandogli incontro e gridando:
Figli di dio! Figli di dio! Cosa hanno visto i miei occhi cristiani!
Domandò il capitano:
Traditore di un frate, dimmi cosa hanno visto i tuoi occhi!
Un alcova di adoratori del demonio! A poche ore da qui, oltre quella vallata!
Il cavaliere, ancora fresco di giuramento e dalle poche missioni andategli bene, scese da cavallo e si fece spiegare per filo e per segno di cosa si trattasse.
Il missionario, comprese di aver stuzzicato la bramosia di quell'imberbe rampollo di dinastia rifiutato, diede così corda al suo racconto affinché potesse rimuovere questo abominio di pagani dalla faccia della terra e per i cavalieri vi potessero essere encomi e lodi.
Il giovane ufficiale non ci pensò due volte, dato che l'idea di passare una vita intera ad inseguire rinnegati per vallate non era la sua aspirazione, ma desiderava poter partire per la terra santa e coprirsi di lode ed ori per vantare un titolo per un ducato in Medio Oriente, ordinò a gli uomini di prepararsi all'attacco.
Nel giro di un paio di ore giunsero al villaggio.
Sulla vetta del passo della vallata, i crociati erano schierati in ordine da battaglia, gli elmi sul volto, i grandi scudi su un fianco, le pesanti armature addosso e la lunga spada sguainata. A ranghi serrati, scattarono al segnale del giovane capitano, caricando verso il villaggio.
I villani non erano tanto convinti di quello che stava accadendo, per cui sulle prime non ci fecero tanto caso a quello che stava accadendo in lontananza. Ma appena sentirono il rimbombo degli zoccoli dei cavalli, le urla di guerra dei cavalieri, nessuno più ebbe dubbi che una nube di vessilli bianchi dalle croci rosso sangue si stesse abbattendo su di loro.
Le donne ed i bambini iniziarono ad urlare, gli uomini corsero ad armarsi, ma tranne alcuni casi, quasi nessuno possedeva spade e lance, solo zappe, accette e qualche altro strumento rudimentale.
Stretti e compatti i valligiani attesero l'impatto dei cavalieri, finendo molti schiacciati dagli zoccoli dei cavalli. Mentre i ferri di cavallo calpestavano carne maciullata ancora calda, i crociati scagliavano fendenti che squarciavano vesti ed ossa.
Urla di dolore si alzavano da più parti e molti fanti dovettero cadere a terra prima di riuscire a disarcionare un cavaliere. Era stato il capo villaggio che con la sua spada di famiglia, era riuscito a mozzare le gambe ad un cavaliere e a buttarlo a terra.
Nel giro di mezz'ora i cavalieri ebbero la meglio sulla disorganizzata difesa del villaggio. Inebriati ed esaltati dall'odore di sangue, si diedero a bruciare le case. Torce lanciate al volo sui teti di paglia, incendiavano le stoppe, mentre urla di donne, vecchi e bambini squarciavano l'aria. Uscendo dalle casse in fiamme i vecchi venivano subito accoppati con fendenti che li trapassavano da parte a parte, mentre i bambini venivano afferrati. Tra le mani dei cavalieri o venivano soffocati, oppure ancora vivi gettati nelle fiamme, davanti a gli occhi inermi delle madri violate nelle loro intimità.
Gli uomini che erano sopravvissuti alla carica, erano feriti sul campo, impotenti sul poter fare ed incapaci di muoversi, mentre i loro padri erano scannati, le loro case incendiate, i loro figli sradicati dalla terra e le loro compagne violentate.
Gli scempi andarono avanti fino a sera tardi, quando la luce dei lugubri falò accesi sui resti delle case, lanciavano lunghe ombre sui cadaveri spappolati per terra. A quel punto, quando ormai anima libera non si vuoveva più per il villaggio, il gran capitano iniziò ad urlare “ Vittoria!”, mentre in eco i suoi uomini gli rispondevano “ Vittoria è stata fatta !”.
A quel punto il prete missionario, raccolto il suo crocifisso e benedetti quei crociati, diede ordine di raccogliere tutto il bottino possibile su dei carri: animali, derrate alimentari, le donne sopravvissute e gli uomini, insieme a tutto ciò avrebbe avuto un qualche valore, da poter successivamente scambiare con oro o argento ed ergere una croce.
Fu così che una lunga colonna di carri, bestie miste a valligiani ridotti come animali, prese la strada dell'addio alla valle, mentre una gigante croce di tronchi di quercia si ergeva nel centro della piazzetta con intorno tutte le macerie delle case ancora fumanti.
Gente senza tanti grilli per la testa, qualcuno coltivava la terra, altri avevano il gregge di pecore, qualcun altro una bottega di artigiano per confezionare le cose semplici che potessero servire: qualche scarpa, dei piatti in coccio e del pane. Era gente semplice che non avevano una chiesa nella vallata.
Continuavano ad adorare gli dei insegnatigli dai loro genitori e dai genitori dei loro genitori: l'acqua, il vento, il sole ed il culto per i cari passati nell'oltretomba. All'aria aperta, su dei prati sotto il sole, la loro misticità non richiedeva profonda conoscenze filosofiche, ma semplici risposte a immediate domande: dove finivano i loro cari dopo la morte? E come poter chiedere un raccolto migliore?
Un giorno vi giunse un prete missionario, dai vestiti laceri, logori e lerci, in fuga da una giuria di cardinali troppo inferociti dai pochi risultati portati. Infido, dal lungo naso di topo, con gli occhi stretti ed allungati con cui scrutava ogni cosa, mentre un corpo provato dalla fame di molti giorni di fuga accompagnava uno sguardo bramoso di conquiste in nome di nostro signore.
Giunto per caso nella vallata, incalzato dagli inseguitori, con grande meraviglia scoprì la comunità. Spinto dalla fame e dalla bramosia, scese giù nel villaggio.
I villani lo accolsero come ogni straniero che si avventurava per la loro valle, e vedendolo in quello stato pietoso, gli offrirono del pane e del formaggio, insieme alla possibilità di poter dormire per una notte nella casa del capo villaggio.
Rifocillatosi e dormito finalmente non più sotto le stelle, il frate cercò il prete del villaggio per avere dei favori, ma con grande sorpresa scoprì che il posto non era stato evangelizzato.
Cercò in lungo ed in largo segni di una antica cristianizzazione, magari a furor di popolo rigettata, ma non trovò che qualche altare pagano dove in base alle mensilità si compivano i sacrifici rituali di animali, frutta e verdura.
La sua mente iniziò a ragionare, mentre camminava tra le case e scorgeva la discreta agiatezza che quelle persone avevano a disposizione con il loro lavoro. Contava i capi di bestiame e pensava come volgere a suo vantaggio l'aver trovato questi pagani non ancora cristianizzati ed i crociati che lo inseguivano.
I templari erano alle sue calcagna da mesi, con una bolla cardinalizia di scomunica per eresia, dato che si era macchiato del peccato di cupidigia, aver svuotato le casse del convento e aver sperperato tutti i soldi del cardinale.
Pensando e ripensando, l'uomo dal naso di topo giunse ad una conclusione: Sono inseguito dai crociati e qui risiedono dei pagani, non mi resta che far giungere qui i cavalieri convincendoli che sono stato condotto da nostro signore, per portare il verbo cristiano tra questi adoratori del demonio. In modo che i crociati abbiano da convertire i pagani e poter riacquistare credito presso i superiori.
Detto fatto, senza salutare nessuno per non dare nell'occhio, ri - prese la sua strada in senso opposto, per andare in contro a gli inseguitori.
Nel giro di neanche mezza giornata, incontrò i cavalieri andandogli incontro e gridando:
Figli di dio! Figli di dio! Cosa hanno visto i miei occhi cristiani!
Domandò il capitano:
Traditore di un frate, dimmi cosa hanno visto i tuoi occhi!
Un alcova di adoratori del demonio! A poche ore da qui, oltre quella vallata!
Il cavaliere, ancora fresco di giuramento e dalle poche missioni andategli bene, scese da cavallo e si fece spiegare per filo e per segno di cosa si trattasse.
Il missionario, comprese di aver stuzzicato la bramosia di quell'imberbe rampollo di dinastia rifiutato, diede così corda al suo racconto affinché potesse rimuovere questo abominio di pagani dalla faccia della terra e per i cavalieri vi potessero essere encomi e lodi.
Il giovane ufficiale non ci pensò due volte, dato che l'idea di passare una vita intera ad inseguire rinnegati per vallate non era la sua aspirazione, ma desiderava poter partire per la terra santa e coprirsi di lode ed ori per vantare un titolo per un ducato in Medio Oriente, ordinò a gli uomini di prepararsi all'attacco.
Nel giro di un paio di ore giunsero al villaggio.
Sulla vetta del passo della vallata, i crociati erano schierati in ordine da battaglia, gli elmi sul volto, i grandi scudi su un fianco, le pesanti armature addosso e la lunga spada sguainata. A ranghi serrati, scattarono al segnale del giovane capitano, caricando verso il villaggio.
I villani non erano tanto convinti di quello che stava accadendo, per cui sulle prime non ci fecero tanto caso a quello che stava accadendo in lontananza. Ma appena sentirono il rimbombo degli zoccoli dei cavalli, le urla di guerra dei cavalieri, nessuno più ebbe dubbi che una nube di vessilli bianchi dalle croci rosso sangue si stesse abbattendo su di loro.
Le donne ed i bambini iniziarono ad urlare, gli uomini corsero ad armarsi, ma tranne alcuni casi, quasi nessuno possedeva spade e lance, solo zappe, accette e qualche altro strumento rudimentale.
Stretti e compatti i valligiani attesero l'impatto dei cavalieri, finendo molti schiacciati dagli zoccoli dei cavalli. Mentre i ferri di cavallo calpestavano carne maciullata ancora calda, i crociati scagliavano fendenti che squarciavano vesti ed ossa.
Urla di dolore si alzavano da più parti e molti fanti dovettero cadere a terra prima di riuscire a disarcionare un cavaliere. Era stato il capo villaggio che con la sua spada di famiglia, era riuscito a mozzare le gambe ad un cavaliere e a buttarlo a terra.
Nel giro di mezz'ora i cavalieri ebbero la meglio sulla disorganizzata difesa del villaggio. Inebriati ed esaltati dall'odore di sangue, si diedero a bruciare le case. Torce lanciate al volo sui teti di paglia, incendiavano le stoppe, mentre urla di donne, vecchi e bambini squarciavano l'aria. Uscendo dalle casse in fiamme i vecchi venivano subito accoppati con fendenti che li trapassavano da parte a parte, mentre i bambini venivano afferrati. Tra le mani dei cavalieri o venivano soffocati, oppure ancora vivi gettati nelle fiamme, davanti a gli occhi inermi delle madri violate nelle loro intimità.
Gli uomini che erano sopravvissuti alla carica, erano feriti sul campo, impotenti sul poter fare ed incapaci di muoversi, mentre i loro padri erano scannati, le loro case incendiate, i loro figli sradicati dalla terra e le loro compagne violentate.
Gli scempi andarono avanti fino a sera tardi, quando la luce dei lugubri falò accesi sui resti delle case, lanciavano lunghe ombre sui cadaveri spappolati per terra. A quel punto, quando ormai anima libera non si vuoveva più per il villaggio, il gran capitano iniziò ad urlare “ Vittoria!”, mentre in eco i suoi uomini gli rispondevano “ Vittoria è stata fatta !”.
A quel punto il prete missionario, raccolto il suo crocifisso e benedetti quei crociati, diede ordine di raccogliere tutto il bottino possibile su dei carri: animali, derrate alimentari, le donne sopravvissute e gli uomini, insieme a tutto ciò avrebbe avuto un qualche valore, da poter successivamente scambiare con oro o argento ed ergere una croce.
Fu così che una lunga colonna di carri, bestie miste a valligiani ridotti come animali, prese la strada dell'addio alla valle, mentre una gigante croce di tronchi di quercia si ergeva nel centro della piazzetta con intorno tutte le macerie delle case ancora fumanti.
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