venerdì 14 novembre 2014

Tra non molte ore parto. Destinazione? Alla fin fine Bergamo. Obiettivo? Recuperare i miei pezzi lasciati lì, così come ho fatto a Milazzo, al Castello, al Capo, a Taormina. Ho raccolto pezzo dopo pezzo i frammenti in cui sono andato in frantumi, li ho ripuliti, sistemati e dato loro un posto, un senso, il loro senso; anche se tutta quella violenza di senso non ne ha.
Per Me stesso, per la mia vita, per l' amore ed il rispetto verso Me. Almeno ho la dignità di recuperare pezzi miei e seppellirli, non lasciandoli a marcire per strada.
Resterà Messina, ma forse lì non voglio andare a recuperarli, dormiranno per sempre o fino a quando non vi passerò e sarà come sentire nuovamente il vento in faccia come quella mattina.

Buona fortuna Fabio ed AVE ATQUE VALE.

sabato 8 novembre 2014

Tramezzini .



Fatta pace .
Sono un bambino e mi ritrovo a fare la spesa con i miei in un supermarket di una grossa città. Forse Catania, o meglio Firenze. Gli scaffali trasbordano di merce simil-Americana, pronta ad essere comprata e consumata.
L'attenzione è attirata dai tramezzini nelle scatole di plastica. Chiedo ai miei di comprarmene uno ma mia madre si oppone dicendo che è meglio un panino. Ieri la maledicevo tra me e me, ma oggi so che mi ha protetto all'inverosimile da questa roba, dandomi nel bene e nel male una cultura culinaria.
La scatola finisce nel carrello ed Io diligentemente attendo l'uscita per consumarlo. Sorpassata la linea dei carrelli mi avvento sul prodotto, lo scarto e mi gusto con la vista il prodotto.
Vuoi odori, nuove forme, poi il modo di presentare: scarta e mangia, incuriosiscono tanto. Tiro fuori il tramezzino e lo addento. Un gusto orribile invade la bocca, niente a che vedere con la mia cultura di “panini da bottega” dove sapori dalla mortadella appena affettata, al prosciutto magari accompagnato da olive verdi nei giorni di festa si presentano alla soglia del palato. Un pane orribile, asciutto e dal retrogusto di alcool invade il palato molle. Un condimento affogato in una maionese lenta e senza sapore mi imbratta la lingua. Butto il tramezzino sotto le urla materne “ TE L'AVEVO DETTO!”.
Mi ritrovo in una stazione di servizio dell'autostrada. Stavolta i miei non hanno portato i panini e dovremmo mangiarci quello che c'è dalla panineria. Guardo il banco-frigo verticale e trovo un altro tramezzino, la cosa mi incuriosisce nuovamente.
Il ricordo orribile della prima volta torna a galla, ma stavolta non credo si ripeta nuovamente. Lo inforco e vado alla cassa. Scarto, annuso gli odori e qualcosa mi mette in guardia. Gli odori sono i medesimi. Addento il vertice del triangolo ed un pancarré troppo asciutto si presenta alla bocca. Mi incazzo ripetendomi “Fottuto nuovamente!”. Vado avanti con il panino ed il condimento che trovo all'interno non è dei migliori, uovo che puzza di marcio e farinoso sovrasta l'immancabile maionese lenta e senza gusto. Me lo finisco, non ho altro da mangiare e non ho voglia di sentirmi una ramanzina materna. Maledico i tramezzini e mi riprometto di non comprarne “mai più”.
Passano lustri su lustri, diciamo decenni. Le occasioni di incontrare tramezzini si ripresentano a riprese ed Io sistematicamente li evito, “Quella merda nella bocca non ci entrerà mai!”.
Alù me ne parla bene, come un possibile pasto di rifugio al volo quando attorno non c'è nulla se non un distributore. Accetto l'idea un po di più, ma se devo farmi 1km per un panino, preferisco farmelo e prendermelo piuttosto che ingurgitare uno di quei cosi.
Sono al telefono sul balcone, la temperatura inizia ad abbassarsi e la chiacchierata finisce sull'odierno pranzo. Un tramezzino preso alla macchinetta. Io sdegnato e “schifiato” domando come abbia fatto a mangiare una cosa del genere per pasto. Una risposta sibillina mi fa notare che quello che Massimo gli aveva dato l'altra sera era finito e non aveva modo di andar a comprare del sushi. “Ci vuol coraggio a mangiar sta roba”, mi dico tra me e me.
Treno di ritorno, un saluto drammatico ai binari della stazione centrale di Milano, baci, carezze, abbracci, quanto ne vuoi e basta, ma giunte le 20 e passa all'altezza di Roma la sensazione di fame fa capolino. Il cameriere porta i menù, non ci sono prezzi. Mi domando quanto verranno a costare un piatto di pasta su un freccia Rossa. Mi alzo e vado in direzione del vagone BAR. Chiedo se hanno da mangiare e l'unica cosa che mi propongono sono dei Tramezzini. Scarto l'idea di mangiare sul treno, forse alla stazione successiva troverò qualcosa di aperto e potrò mangiare.
Lasciato andare con tanti baci, carezze ed abbracci, ma senza un panino. I baci non costano, i panini si; figuriamoci una bottiglia d'acqua. Alù è lontana anni luce ed il paragone scatta.

Distributore di Napoli :-D
Arrivo a Napoli di notte, nell'attesa del treno intravisto partire da Milano, mi guardo attorno per cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Mc donald chiuso, bar, tavole calde, tutto serrato alla stazione centrale. Vorrei addentrarmi nella città, ma camminare con un borsone alla mano non mi sembra un'idea buona.
Mi indirizzo verso le macchinette automatiche delle pensiline. Salamini & crechers? Ma anche no. Succo di frutta e biscotti? Dopo un paio di ore muoio di fame. L'occhio cade sui tramezzini. Una voce dentro me dice “No!”, un'altra mi suggerisce “Cosa mangerai?”. Ok vada per il tramezzino, ma l'acqua mi prendo della effervescente naturale. Almeno avrò di che bere un gradino sopra la normalità e se fa proprio schifo, mi laverà il palato.
Resto a studiare i tramezzini per una decina di minuti. Neanche dovessi espugnare Fort – Noks. Opto per quello uovo, tonno e maionese. Sembra il più commestibile rispetto ad accoppiate incredibili. Inserisco le monete, scelgo i prodotti e li recupero dal cassetto blindato. Una percezione di piacevole frescura avvolge la mano mentre stringe la cena.
Siedo a terra, come un punkabbestia, non me ne frega molto del giudizio altrui. Scarto la confezione di plastica ed un piacevole profumo di uovo ben cotto, frantumato a dovere, miscelato con del tonno, tenuti da una maionese densa che li idrata mi avvolge le narici. Addento il vertice della piramide di pane. Il pancarrè è morbido ed elastico, non puzza di alcool ed è mangiabile.
Un sorriso mi attraversa il volto, si può mangiare, la cena è salva. Mangio lentamente, sperando la sensazione di sazietà insorga prima, se no qui oltre ad andarsene un putiferio di soldi resto intossicato.
Arriva il treno e guadagno la cabina. L'accoglienza non è delle migliori dai coinquilini, gente vecchia e rompicoglioni che sta male con se stessa. Non faccio tanto rumore e cerco di prender sonno tra un sms, una lettura del libro, un treno che scivola sulle rotaie e la pace fatta con questa pietanza.. A Napoli!

Compleanno 2014 .


Il caso ha voluto che la camminata a monte Scuderi venisse spostata la domenica del mio compleanno. Quale migliore occasione di continuare la bella abitudine inaugurata l'anno scorso, di trascorrere la giornata come meglio mi aggrada? Cioè compagnia, camminare, parlare e condividere. L'occasione mi permette pure di spuntare uno dei buoni propositi fatti per il 2014 e cioè salire su Monte Scuderi, mentre altri propositi mi attendono.
Organizzo la partenza a mio solito, punto l'orario di arrivo e come un salmone risalgo a ritroso le varie tappe. C'è una piacevole sorpresa, il papà di Paola, Pasquale, da subito si mostra esser una persona squisita.
La giornata promette bene, ma il tempo non è dei migliori. Nuvole e vento si ammassano nella vallata della Santissima, ma fortunatamente ho l'attrezzatura per fronteggiare la situazione, fino ad un certo punto però, in quanto poi inizierà a tirar mal tempo forte e dovrò riorganizzarmi al meglio per resistere e proseguire con la camminata, cioè niente più macchina fotografica reflex e vestiario rimodulato per affrontare un tempo da lupi, con raffiche di vento e pioggia. Ma il richiamo della montagna è forte e la voglia di proseguire in questa avventura tanta.
Continuo a camminare, cerco un compagno di viaggio con cui poter confrontarmi e parlare, provo prima a chiacchierare con Melania .

Resistenza .


Del Sub-conscio
I preparativi fremono da settimane. Pacchi, costi vettori, sessioni on – line lunghissime per capire come funzioni la Ryanair, panico, spese su spese, conti che non tornano ed un dubbio atroce in sottofondo.
Un tarlo che rode dentro, di notte, quando meno te l'aspetti, quando l'inconscio viene a galla ed urla, quando la piazza è libera e le urla possono essere gettate, tanto nessuno le ascolta. “Ma non è meglio che non parta?”, il mio Marte interiore ha già gridato la sentenza “Non partire!”, seguito da un ululato di dolore quando all'ultima telefonata sento un non proprio disinteressato <> Il Marte interiore impugna la sarissa e grida “Morteeeeeee! Stai andando verso la morte! Testa di cazzo!”. Un dubbio ingenuo risponde al quesito postosi <>, una furba risposta evasiva di cambiar argomento è la conferma indiretta.
I pezzi sono molti, troppi, non riesco a ri-assemblarli tutti. E' un'impresa, preferisco chiudere gli occhi ed affidarmi al sentimento, ma il sentimento è un lumicino di stoppa dove l'olio sta finendo in una notte sempre più buia e via – via piena di bestie fameliche.
Programmo il più ragionevolmente possibile i passi da fare. Mi do delle scadenze programmate, in base alle quali mi prefiggo dei risultati da raggiungere e predisporre delle copie di backup di dati, appunti, biglietti, non si sa mai con gli imprevisti.
Il primo segnale di restar dove sono arriva, o genericamente resistenza dal subconscio. Una sera di ritorno a Milazzo, mi fermo a far benzina e dimentico il portafogli sopra il tettuccio dell'auto. Un gesto di testa tra le nuvole, si, ma perché? Ieri non sapevo, troppo confuso e preso dalla partenza a gli sgoccioli. Oggi posso dire perché, il Marte interiore urlava scagliato nel Tartaro di “non partire. Senza soldi, documenti e quant'altro, vediamo come farai a metterti in strada?” Riesco ad organizzarmi lo stesso. Il sistema a tappe graduali e con copie di sicurezza procede, senza freni. Come una vite proseguo il percorso e vado avanti, troppo, mi stritolo con le stesse mani.
La torta era stata ordinata e pagata con largo anticipo, prima della perdita del portafogli. Il biglietto era stato comprato con largo anticipo e restava solo il chek-in on-line. Il sistema di riserva permette di andare avanti, impegnerò il passaporto per l'identificazione, dato che la carta di identità se ne è andata a farsi strabenedire con il portafogli.
Nuovo panico, o meglio resistenza del subconscio, non trovo la carta d'imbarco stampata, neanche i file pdf. Me ne accorgo alle 9 di mattina del giorno prima di partire, ci metterò una mattinata intera per rintracciare una scansione in pdf salvata sul cellulare a scanso di equivoci come ultima spiaggia. Il Marte interiore scagliato nel Tartaro cerca di dare un altro colpo, ma il mio meccanismo di proseguimento senza sosta non si placa. Costi quel che costi si deve andare avanti, “marciare per non marcire! Verso l'obiettivo”. Stampo il file salvato sul cellulare verso le 2 di pomeriggio e tiro un sospiro di sollievo. Posso fare in chek-in on-line.
Ti telefono, non mi sembri tanto contenta della notizia che abbia perso il portafogli, sarà per cosa mi domando “soldi o altro?”. Cerco di sdrammatizzare, ma mi ritrovo da solo a combattere con una parte di me stesso che “non capisco” come mai non mi voglia far partire, senza un minimo di empatia da chi è dall'altra parte della cornetta. Un attonito “Mha..” riecheggia nel vuoto del Tartaro, mentre il mio Marte lancia urli di guerra e di allarme.
Superate le varie problematiche presentatesi lungo il percorso, riesco ad arrivare a destinazione. Lì si apre l'ultimo atto, già raccontato in altra occasione.
Tornato dalla città delle 2 città, gli eventi prendono il loro verso ed una profonda coltre di nebbia grigia scende. Sofferenza, depressione e chi più ne ha e più ne metta diventano pane quotidiano, aggravato dalla perdita del posto di lavoro.
La sera del 2 marzo, rovisto nelle cartelle alla ricerca di indizi o pezzi del puzzle che mi permettano di ricomporre la situazione, dargli un senso. Sono giorni che scrivo, scatto foto, vedo film, taglio video, faccio riprese, ascolto musica, radio, bevo tisane, mi do delle ferree regole di sonno, modulo il caffè e cerco di tirar dritto, prendendomi cura di me principalmente. Quella sera in una cartella di non mi ricordo quale supporto di memoria, trovo la carta d'imbarco. Un senso di pace e tranquillità mi pervade, come se avessi stretto la mano in segno di pace senza obblighi esterni, voglio festeggiare. E' come se avessi fatto pace con me stesso.
Forse tutte queste mattonelle saltate sul mio percorso era la resistenza del mio subconscio/marte interiore che mi tratteneva, mi fermava dal compiere il passo. Forse avrei potuto restar a casa, forse avrei potuto non partire, ma non è da me e questo mi avrebbe creato problemi ancor più pesanti di quelli in cui mi sono andato a ficcare.
Il punto è che più le complicazioni si ampliano tra raziocinio e subconscio, più le reazioni di quest'ultimo sono pesanti e forti. Il primo può instaurare tutto il meccanismo logico – deduttivo che vuole per affrontare al meglio gli eventi, ma se non fa pace con l'inquilino del piano di sotto la vedo proprio dura.
Da quella sera capii che dovevo prendere in mano nuovamente il badile ed il piccone e tirar fuori il mio ragazzo dalla valanga di cemento/ragionamento sotto cui ero andato nuovamente a seppellirlo.
Capita, vedrò di non farlo capitare più.

giovedì 6 novembre 2014

Zuru


Ho visto “La scelta di Catia - 80 miglia a sud di Lampedusa” ed il ritratto delle persone è forte, vivo. Dal comandante, nella persona di Catia Pellegrino aka Zuru che con la sua passione ed il sentimento messi in campo guida il vascello, al Comandante in seconda Santonocito che parla di "bimbi addormentati in mare". Un tuffo nel mare delle emozioni umane.

martedì 28 ottobre 2014

E mi ritrovo qui a scrivere, sulla balconata sopra il santuario di S. Antonio. Supersiste di una storia banale, comune, squallida: una scopata estiva. Forse ho dato troppo, investito troppo, sperato troppo, il fatto è che mi sento complesso, affossato, ingolfato. Mi sono fatto fare troppo male da Rossana, ultimo il suo messaggio sulla bacheca di Facebook. Ipocrita.

mercoledì 8 ottobre 2014

Frequentarsi .


Giù la maschera .
Il pomeriggio è scivolato nella sera, ci siamo uniti che era primissimo pomeriggio e fuori è tramonto inoltrato, si potrebbe parlare di cena. Non c'è nulla in casa, dovremmo andare a mangiar fuori. Come gatta distesa su me, quasi dormi, quasi sento il respiro sulla pelle, la testa appoggiata sul petto. Respiriamo ad unisono mentre in un dormiveglia parliamo di noi, del nostro passato e del nostro presente.
Una mano scorre sui fianchi scolpiti, fino a poco tempo prima tesi come corda di violino assieme ad ogni fibra di muscolo per catturare ogni attimo di piacere. Con una carezza languida accarezzo i glutei giocando e scherzando. E' il momento perfetto, le mie labbra si aprono per proferir parola “Giò. Ci mettiamo assieme?” Silenzio. Ancora silenzio. Maledetto interminabile silenzio, mi perseguita. La mano scivola e preme dove prima è stato mio. Silenzio, ancora silenzio.
Una voce tenue mista ad imbarazzo, come se fosse stata richiamata dall'aldilà, parla, dicendo che “da queste parti” è solito prima frequentarsi e poi mettersi assieme.
Resto sbigottito nel sentir la stessa persona che fino ad una ventina di giorni prima in villa mimava con le labbra la parola “Io ti amo” ora tirar fuori garbugli legali di cuore a cui appellarsi. Resto sbigottito.
La cena è una pizza in città alta da Luigino o non ricordo più chi. Le luci della candela sembrano riportarci alla nostra notte, riprendo l'argomento dello star assieme, ma devi il discorso. La cosa mi lascia nuovamente sbigottito, dato che il giorno prima mi hai chiuso in un angolo per avere una risposta sul futuro: casa, famiglia, figli, lavoro, trasferirsi. Io ho ceduto, ti ho accettata, ma tu sembri aver raggiunto l'obiettivo di esserti vendicata di non so cosa.
Passano i giorni, si fanno settimane e le settimane diventano mesi, il nuovo anno prende il posto del vecchio e la vita scorre.
Mi imbatto in un Tweet di una “gallinaccia” che lamenta l'eccessivo interesse ed invasività di uno con cui si frequenta. Lamenta il suo richiedere attenzioni, interessi, fine settimana, appuntamenti, tempo, tutte cose che si dedicano ad un fidanzato. Noto un velo di soffocamento nelle parole, come se si avessero altri interessi e non si vorrebbero perderli. Scatta la mia domanda: Frequentarsi vuol dire più libertà anche per altri? Un'aggiunta tra i preferiti è la risposta, un silenzioso assenso ipocrita.
Dei pezzi sparsi sul tavolo si ricompongono, un nesso logico li lega ed un senso compiuto emerge: Davvero era una frequentazione, a 1000 ma era per te una frequentazione, in modo da avere libertà anche per altri.
L' ”altro” ho scoperto molto dopo esser il buon Massimo, così buono e disponibile da ospitarmi a casa sua in Toscana, assieme al resto della ciurma pur di vederci congiunti.
Riecheggiano le parole di Lei in una telefonata “Lo vedi com'è buono?”, come riecheggiano le cene finite alle 3 di mattina a casa sua e la processione funebre del Sergio dove il ruolo della prefica o “chiangimotto” la usavi come paravento dietro cui celarvi i forti sentimenti per Massimo, ma questa è un'altra storia.

L'immagine appartiene al rispettivo proprietario.

Elena .

Sorriso, o quasi, di clown .

In un social network mi giunge un suggerimento di amicizia. Qualcosa lo fa emergere dai soliti suggerimenti, in quanto il volto ritratto è familiare, anche se in bianco e nero. La cosa mi incuriosisce e voglio approfondire.
E' Ele. Prima di saltare a conclusioni affrettate, vado a controllare tra i miei amici. E' scomparso il vecchio account. Ne controllo gli amici e vedo che ha fatto il pieno di quelli “buoni”, lasciando fuori i “cattivi”, tra cui Me e Salvo. Resto di “merda”.
Le ore passate a confrontarsi, a parlare, a trovar soluzioni, punti di vista diversi, la fiducia mostrata, la comprensione, l'aiuto, buttati nel cesso.
Ultima persona di merda lasciata indietro di un periodo di merda che spero sia finito, dato che con la morte del nonno si è aperto un capitolo nero della mia vita, di cui con l'uscita di Elena spero vivamente vi sia stata messa la parola fine.
Quello che mi ha dato fastidio è l'esser stato escluso, per via delle mie idee, del mio modo di fare, del mio modo di pensare, della mia persona. Mi sento usato e buttato, un po come con Rossana.
Ma se la sensazione di esser usato e buttato è dietro l'angolo nei rapporti inter – umani, perché in questi mi espongo in modo da dover poi mostrare il fianco dell'usato e buttato e poi pentirmene? Forse è l'eccessiva disponibilità verso il prossimo, per cui mi porta a fare quel passo in più verso l'altro di cattiva voglia, che poi si ripercuote su me.
Non faccio questo passo in più per cattiveria, lo faccio contro voglia, quando sento che la gente ti si attacca troppo e risulta scortese interrompere e troppo difficile tagliare. Rischiando di sembrare scortese, intavolare una diatriba, una lite, una discussione che la stessa persona ha dietro l'angolo perché in conflitto con se stessa o con qualcun altro. Lì per poltroneria faccio il finto cortese e cerco di lasciar scorrere le cose.
Col cazzo! Costi quel che costi, anche di sembrar scortese, ma Io quel passo in più non lo faccio. Se mi va lo faccio, dopo una considerazione pacata con Me stesso e sul mio livello di sopportazione, se non mi va, chiudo e me ne vado con un gran sorriso da clown stampato sul volto e buona notte. E diamine.

L'immagine appartiene al rispettivo proprietario.

mercoledì 24 settembre 2014

Vento d'estate .



.

Falò di Ferragosto .

L'invito di Peppe ad un falò per la vigilia di Ferragosto, da senso a dei giorni vuoti, svuotati da lavoro, da progetti, da futuro, da vita.
La spiaggia è piena di persone che mangiano, ballano, bevono, ridono, sono allegre e felici. Un generatore a gasolio parte ed il suo borbottio fa da fondo alla musica pompata da una cassa.
E' vita, voglia di divertirsi, è gioia. Mi trovo a disagio, qualcosa non va, mi sento come mummificato. Mangio a più riprese ( sai che novità ) da panini a cornetti appena sfornati, sembra che il tempo scorra meglio mangiando.
Non so quando, ma mi stacco dal gruppo . Cammino verso il fuoco appena acceso, forse dopo il tuffo a mare di mezzanotte, contemplo le fiamme. Un piacevole tepore mi tocca la pelle, mentre intorno impazza la festa. Per un attimo mi sento come trascinato dal mio bozzolo ed alzo la testa. Vedo gli altri ballare sulla sabbia, divertirsi in una gran caciara.


Max Gazzè – Vento d' Estate.

Un soffio di vento caldo si incanala nello stretto. E' caldo, è vivo, è vita che mi viene soffiata in volto, sento come se mi avesse schiaffeggiato e tirate le vele della nave interiore per prendere il largo. Sento che qualcosa è cambiato, si è mosso, forse qualcuno è arrivato in Sicilia e la mia terra ha reagito. La cosa sa di assurdo, di folle, la ricaccio nel dimenticatoio.
Dopo la folata di vento mi sento Io cambiato, torno a gli asciugamani dove sono seduti gli altri e scorgo chi mi sta accanto distesa, dorme. La guardo con calma, con occhi diversi, la vedo diversa, con occhio staccato, distante, come se l'avessi persa, lasciata su un'isola ed Io abbia preso il largo. La vedo come se in quel momento fosse morta ed Io me ne piango il lutto.
Mesi dopo scoprii che quella notte qualcuno sbarcò a Catania. Forse il suo porre piede in terra sicula fu salutato con quella scarica di vento, forse è un puro caso, ma sempre quella persona portò la pioggia a Taormina quando ci andammo.
Forse.. Forse il vento ci porterà..

Noir Désir - Le Vent Nous Portera

Il materiale audio e video appartiene ai rispettivi proprietari.

La Riabilitazione .

Dell'aranciata.

Era il 13 di Gennaio del ca, quando mi ritrovai a far spesa. Aggirandomi tra gli scaffali trovai dell'aranciata, una botola si aprì nella stanza della coscienza e precipitai nei ricordi.
Esselunga, facciamo la spesa. Siamo a gli scaffali delle bevande, un'offerta capeggia nella mensola centrale, attirando la tua attenzione. Con un gesto semiautomatico allunghi la mano per prenderla, ignorando il private label della catena di distribuzione. Credo in Noi e le cose se si vogliono fare bisogna mettere in campo qualcosa, metto in gioco la mia conoscenza ed esperienza nata dal Blog SpesaOculata per far la spesa.
Prendo il cartone ed inizio a leggerlo, con la calma e voglia di costruire usata per la bici. Scopro che il produttore di aranciata presa in offerta, è lo stesso del private label che costa pure meno dell'offerta. Ti faccio notare il medesimo sito di produzione e brevemente ti spiego la possibilità nata dal rivendere prodotti sotto altri marchi quali i private label nei propri punti vendita. Chiudo con l'esempio dei prodotti a marchio Coop, mi becco un “Comunista del cazzo”, mentre metti nel carrello il prodotto scevro dei costi di pubblicità e distribuzione a carico del compratore. Ci farà compagnia la mattina seguente, mentre spalmi miele caldo su pane tostato e bevi l'aranciata, Io controvoglia bevo l'aranciata, ma farlo assieme ha un sapore in più.
Finisce il ricordo, la botola si richiude e torno al presente. Capisco che se voglio andare avanti ho da prendermi la mia aranciata, comprarla Io, portarla Io a casa, berla con calma la mattina mentre faccio la Mia colazione. Come tutti i gesti che facemmo assieme ed ora ho fatto, faccio e farò da solo e per conto mio per riappropriarmene, farli nuovamente miei e tornare alla mia vita. Togliergli la polvere del “noi” (almeno per me) e farlo “Io”, “mIo”.
Da quel giorno ho dovuto far tante cose Io, per traghettarle da “Noi” a “Io”, una lunga riabilitazione.

Teoria del Cassetto .

Da aprire e svuotare .

Da bambino mi piaceva aprire il cassetto della scrivania e vedere cosa custodiva. Il più delle volte un'accozzaglia che aspettava di avere un senso. In basso i quadernoni, i quaderni più piccoli sopra e via via a salire una piramide di cose più piccole impilate ed addossate sul margine lungo. Tutto perfetto, spazi recuperati la massimo, ma tirar fuori una cosa era un'impresa, tanto che mi incazzavo ( e mi incazzo), davo ( e do) uno sbotto, mandavo ( e mando) all'aria tutto e tiravo ( e tiro ) fuori quello che mi serviva ( e serve) . Un caos della malora affollava lo spazio e si ricominciava daccapo.
Diciamo che in questo ultimo anno mi sono trovato la testa e la vita piena di cose, belle, sistemate, organizzate ed impilate, troppe. Siano esse cattive, belle, piacevoli e spiacevoli. Persone, conoscenti, luoghi, cose da fare, comprate perché desiderate, realizzare perché volute, cercate perché non avute, provate perché non ancora usate, d'impiccio perché pesanti da portare.
Un paio di mesi or sono mi sono armato di strumenti vari quali "faccio", "provo", "organizzo", "diario tappe", "butto", "metto da parte", "dimentico", “compro”, “vendo”, “restituisco”, etc. tutte fatte con lo spirito messo in campo per riparare la bici a Bergamo, quando ce la misi tutta per fare una cosa che volevo fare, per far del bene a me e condividerlo con chi mi stava accanto.
Poi è arrivata la visita dal medico del 15 Settembre, dove ho aggiunto un punto importante decidendo di trovare un senso alla ginecomastia e prendendomi cura di altre mie parti che chiedevano attenzioni. Il fatto è che ho iniziato a muovermi. Forse ho iniziato a muovermi già quella sera nel bagno di casa, quando mi concessi un bagno rilassante per me e feci il punto della situazione sul da farsi, sulle varie cose da sbrigare con i primi soldi presi lavorando nuovamente.
La parte del riparar la bici, non può esser tenuta in un cassetto e questo potrebbe esser svuotato, per far spazio e cimentarsi, così come si è cimentata nel lavoro da lavapiatti, nel bivacco sui Peloritani, nell'ascesa a Monte Scuderi, nell'andare dal medico per risolvere alcuni problemi di salute che mi porto dietro da tempo e non mi facilitano, ma appesantiscono nella corsa della vita.
C'è da uscire la parte positiva della bici, usarla per svuotare questo cassetto, svilupparla, sostenerla, scremarla dalle parti eccessive della mania, vivere il tempo rimastomi, dato che quando misi sul tavolo per una persona il dono del presente condiviso, del domani donato e del disinteressamento verso il passato, questa non lo volle.
Ritiro le cose e le tengo per me, ma sopratutto le uso per svuotare questo cassetto troppo pieno.

martedì 19 agosto 2014

Ma che ve state a dì .



Acab – Chiacchierata in cucina .

Vai in Sicilia, incontri una e ve la raccontate: Te che sei una persona meravigliosa e Lei che te ama. Quando tornate alle vostre case, sempre due precari di merda restate. Allora non ve la raccontate più. Tornate ad essere un Precario del Cazzo e nà Zoccola de Bergamo.”

Fortuna che non ho fatto una figlia...

Ricordo l'ultima telefonata con Marilena, poco prima di partire. Parlammo della storia che stavo vivendo, tenendo a mente questo filmato e con una frase che mi girava in mente “Ma che cazzo ve state a dì? Sempre du precari de merda siete”. Marilena condivise la mia osservazione e l'idea chiara che avevo in mente. Partii rincuorato e tenni salda l'idea.
Giunsi a destinazione. L'idea era ben chiara in mente, non la lasciai perdere, almeno fino all'inferno di Piazza Dante.
Lì crollai. Come un naufrago lasciai la presa da questo pezzo di legno a cui mi ero aggrappato fino ad allora, lasciandomi andare per le correnti della tempesta e naufragando per un mare blu e freddo, da cui ora sto uscendo lentamente, grazie anche al lavoro.
Capita..

giovedì 3 luglio 2014

Accartocciato dal dolore .

Come una lattina .

Il dolore è quasi palpabile, si direbbe un grumo nero interiore che a poco a poco gonfia. Gonfiano gli occhi, sotto le lacrime che spingono da dietro per fluire. Il dolore comincia interiormente a girare, come roccia nera di ossidiana. Gira, gira e rigira, prende pezzi interiori e comincia ad appiattirli, ad assottigliarli a poco a poco, via – via con maggiore velocità.
Quando il dolore è passato e si è calmato ti ritrovi come una lattina spiaccicata per terra.
Capita .

martedì 1 luglio 2014

La nebbia .


A gli occhi
Chiacchierata familiare passata (12 di aprile). Solita nenia sentita e risentita centinaia di volte e soliti contenuti assoluti: fallito, cretino, incapace, incompetente, buono a nulla etc. . In questa occasione decido di staccarmi da questa maledizione di Sisifo, dichiaro che se l'altra persona decide di impastare tutto e mesco 12 dilarlo all'infinito, lo può far pure, lui prende la sua strada ma Io non lo s pril più. Ribaditi i concetti che dalla merda me ne sono uscito da solo e che non ho la benchè minima intenzione di seguirlo, lo faccio prendere per la tangente ascendente della sua bolla di sapone di retorica. “Ciao – ciao” dico tra me e me, mentre gli ribadisco sbattendo la mano sul tavolo “Tu della mia vita non ti devi permettere di dire più alcun che”. Constata una capacità innata di amnesia selettiva delle cose, per cui decide di dimenticare quello che non gli conviene e passa avanti come un carro armato sovietico con la fanfara dell'armata rossa in sottofondo.
Finita la predica dal pulpito della chiesa mi alzo e me ne vado, scegliendo di non dar più retta. Basta. Con questa tiritera.
L'effetto lo conosco, è come la tempesta elettromagnetica che prendeva la TV prima del digitale terrestre, la mia “nebbia”.
Iersera la mia “gelida amica”, viene a trovarmi dopo il periodo di risalita. Mi lecca i piedi, le gambe, lo stomaco, lambisce il torace ed il suo contenuto e stamattina arriva la “nebbia a gli occhi”.
Una forma di brusio, retro-oculare, come di formiche che camminano negli occhi, un bruciore nel guardare le cose, una difficoltà a star fermo. Un vagare come cieco per le stanze, prima camminando, poi correndo. Infine la constatazione che da gli occhi non ci vedo bene, nel senso affettivo, qualcosa mi dice che non va. Una parte interiore, il mio Io, mi dice di fermarsi, di prendere e scriverne, di trovare un punto di partenza da cui descrivere come mi sento, poi snocciolare le idee ed infine metterle per iscritto, magari con una bella fotografia.

Anello .


Anticoncezionale, non solo per me .
Primo Atto: Cala la sera, ci ritroviamo seduti di fronte al mare a parlare di argomenti difficili. Mi parli del tuo rapporto con Luca ed Io ascolto attentamente, molto attentamente. Sento che hai preso la via del blues quando accenni all'esser restata in cinta e di come questo si sia rivelato un problema per Voi e non una soluzione. Resto agghiacciato dalla descrizione dei colpi alla pancia. Non ce la faccio più, soffoco. Sto male. Il mio Marte interiore urla con la sarissa in mano, non tanto per il comportamento di Lui, quanto ad un concetto ovvio non utilizzato. Ma è poi tanto ovvio? Forse per Me. << Giò, guarda che in un rapporto esiste la contraccezione condivisa, ma a patto che essa non venga scardinata o tolta dalla concezione condivisa. Come dire una coppia decide quando aver figli, ma il fatto di voler amarsi senza il rischio di gravidanze è un punto di partenza per un rapporto>>. Il mio Marte interiore urla di gioia. Hai chiarito questo punto, bravo. Gli occhi di lei cambiano, come se avesse avuto un cambiamento di direzione e vira dal Blues.
Secondo Atto: Ti è rimasto il boccone in gola, ma la tua fame è tanta ed altri appetiti vogliono esser soddisfatti. Vuoi esser presa e fatta mia da ogni parte, anche Lì. La cosa mi inquieta un po e ti ricordo che abbiamo scelto la contraccezione condivisa. Ma non chiudo la porta alla possibilità di instaurarla e parlarne assieme.
Terzo Atto: La notizia dell'anello anticoncezionale mi giunge all'orecchio in un momento particolare, è festa . La macchina scorre sull'asfalto, abbiamo superato un paio di semafori e prendo l'argomento della contraccezione condivisa. Ti chiedo di parlarmene e sei restia, quasi infastidita. Percepisco dell'astio nelle tue parole, ma voglio andarci a fondo su questo punto. Ti chiedo di spiegarmi il funzionamento dello strumento. Una descrizione scarna di particolari giunge, ti “giustifico”, sei alla guida.
Ma qualcosa non torna, appena ti chiedo di condividere la spesa del contraccettivo, salti dal sedile, come se avessi provato a metterti un cappio in gola. Come già ti dissi in altra occasione, se siamo una coppia allora dobbiamo condividere anche la spesa dell'anticoncezionale. Porti su di te la scelta del non condividere, che l'acquisto è tuo e che non ce n'è bisogno. La cosa mi lascia turbato ed infastidito, un altro pezzo di rapporto è saltato e la cosa non mi piace.
Ora capisco che l'anticoncezionale non era solo nostro, o meglio l'anticoncezionale non era solo per me, ma per un altro Noi che era un Voi ma con Massimo. Se a posteriori non glielo comprò addirittura lui l'anticoncezionale, come dire “La vacca che si fa mettere il giogo di sopra dal proprio padrone”.

Politica degli errori .

Fino a Seicento ?

La bici scorre sul lungomare. Più che una strada, sembra una via crucis. Superato il semaforo incontro Paolo, un saluto ed una considerazione “Coglione!”. Dopo il depuratore ed incrocio Claudia alla guida, dico tra me e me “Avanti un altro..”. Nei pressi di Torretta si vanno a sommare una serie di ricordi in negativo legati al luogo. Mi lascio convincere dalle parole dei radiocronisti alle cuffie e vado avanti.
Al ritorno, lasciato alle spalle un incidente, vedo una seicento tentennare nell'immissione in carreggiata. Sembra strano che proprio una piccola utilitaria tentenni al sopraggiungere di una bici per impegnare la corsia; in altre occasioni avrebbero inserito la prima e tagliata la strada .
Mi avvicino al mezzo. Riconosco il volto al volante, controllo il numero di targa e mi rendo conto che la volta precedente avevo sbagliato a segnarlo, dannate ultime lettere del codice. Mi fissa, come si fissa un fantasma passare . Mi domando “Perché?” ed è il preludio a tanti perché che si fanno strada nella coscienza.
Perchè non ho chiuso prima? Portare avanti per 2 anni una storia che non si sbloccava, non è che sia stata una gran scelta. Oggi in parte me ne pento, in parte mi incazzo con me stesso: una cosa morta va chiusa e basta. Forse ingenuamente credevo che si poteva riparare ed andare avanti, ma il silenzio di tomba non è che sia stato un grande aiuto. Sacrifici su sacrifici. Errori dietro errori, correzioni, passi indietro, riconoscimento di sbagli, scusa e poi per cosa? Per ritrovarmi il corpo devastato e la mente pronta a saltare.
Mettici l'essermi ridotto ad un topo in gabbia che appena ha avuto un briciolo di libertà se l'è svignata, non è che abbia concluso molto. Errori su errori.
Uno è stato anche con Lei, non appena vedevo che la situazione si sarebbe messa male, avrei dovuto chiudere, da entrambe le parti, ma il suo ricordo in quei 3 anni di inferno trascorsi, è come un dolce fiele che ammalia.
La notte passata assieme la porto dentro, come una notte tanto desiderata, voluta, cercata, l'essermi sciolto e mischiato in lei e con lei dopo tanta fame e miseria, assumeva guarda caso le sembianze di un porto sicuro dove approdai in periodo di burrasca e fame.

Lì morì la mia giovinezza .

Una Citroen verde pistacchio sfreccia nella tangenziale, direzione aeroporto. L'autista corre un po troppo per i miei gusti e per l'incolonnamento di mezzi sul largo nastro grigio. La percezione è che abbia fretta, togliersi un pacco di sopra.
Discorsi di incolonnamenti, incidenti ed ore perse in auto si susseguonoi mentre fuori una nebbia attanaglia tutto e morde i lineamenti della campagna, ieri produttiva, oggi inerte pronta ad esser preda della cementificazione .
Un'uscita dal nastro grigio attraversa una carreggiata a tre corsie, regolata da un tenue semaforo che “gestisce” lo svincolo. Il guidatore taglia sfrecciando la carreggiata ed Io mi afferro alla maniglia dello sportello. Troppa fretta, cosa celerà? Sono troppo preso da discorsi per far breccia sul futuro, ma una cortina di nebbia impenetrabile cela le intenzioni altrui.
Parcheggiamo l'auto, l'ennesima sbuffata su “si deve pagare anche il parcheggio”. Lascio scorrere, penso tra me e me “ti offrirò un caffè”. Guadagniamo l'entrata della stazione, nuovamente questo casermone nero dai lineamenti rifugio post – nucleare anni '80 inghiotte le nostre sagome.
Andiamo al BAR, cerco di capire il volo e scopro che è già in ritardo. Lo comunico a chi mi sta accanto, ma Lei preme per farmi superare il gate ed andarsene. Non passeremo dell'altro tempo assieme. Le propongo un caffè e rifiuta, gli dico che potrebbe essere l'ultimo ed infastidita lo accetta. Dallo sconforto mi metto a parlare addirittura con dei poliziotti, tanto è l'ermetismo di chi mi sta accanto. Pure il barrista/cassiere mi sembra più propenso al dialogo.
Il caffè senza zucchero scende per la gola, ma amara è la sensazione provata in quell'aereoporto piuttosto che il caffè non zuccherato. “E' una bevanda della pace Araba”, ripeto tra me e me, ma dall'altra parte vedo una persona con il cappello calato, una sciarpa avvolta al collo, quasi a voler celare il volto.
Gli dico che ho del tempo prima di dovermi imbarcare, mi risponde che il parcheggio si paga e tra non molto scadrà. A quel punto basta, non ce la faccio più, lascio le rendini e capisco che è andata, Un bacio stampato sulle labbra strette come una saracinesca è il preludio dell'incamminamento verso i cancelli di controllo. Mi volto una prima volta e scorgo un volto tagliato da un sorriso cinico sul volto, incorniciato da cappello e sciarpa. Faccio altri metri, mi volto e non vedo più nessuno alle spalle. Arrivo al cancello, supero i controlli, guardo ancora indietro e davvero sono solo.
Come un malato all'ospedale, cerco il parcheggio dove era messa l'auto, guardando da dietro le giganti finestre a vetro. Vuoto.
Sento una parte di me morire. La mia Giovinezza affoga nella melma della pianura del Serio per una persona sbagliata.
Ciao ragazzo mio, ciao.

lunedì 30 giugno 2014

Dove è finita la sensazione di sazietà

Miseria e nobiltà, by Me .
Mi siedo a tavola mangio, mangio meccanicamente, ingurgitando ogni cosa presa a tiro, fino a quando la sensazione di sazietà piena al basso ventre appaga i sensi ed ammutolisce la ragione.
Ma da un paio di anni a questa parte non la percepisco . Me ne resi conto alla cena sociale dell'AVIS Milazzo del 2012, quando seduto al desco e ripercorrendo le sensazioni percepite in quel momento, mi resi conto che avevo ingurgitato una mole di alimenti, ma la sensazione ebbra di appagamento non arrivava. Dovetti alzarmi da tavola ed uscire a camminare, tra rutti e peti per poter sgomberare l'intestino e far scorrere la nausea di vomito attanagliante.
Da un po di tempo la situazione sembra essersi calmata, ma dietro l'angolo c'è una fame nera ed un sonno nero che lambiscono la coscienza.
Forse dovrei dar attenzione alle sensazioni quando sono a tavola, non forzarle, capirle e dargli un senso. Forse ho cercato a tavola quello che altrove non riuscivo a saziare avendo fame, ma non c'era di che sfamarsi. E forse il non aver fatto i conti con questa sensazione di mancata sazietà ed eccessiva fame, mi ha portato prima a mangiare cibo contaminato e poi alimenti tossici.

sabato 28 giugno 2014

A scecca i Sdeu .




Il Carlo Catanzaro racconta di Milazzo:

Un tale Sdeu possedeva un'asina afflitta da tantissimi mali; novantanove, per la precisione.
Si racconta che un giorno, deciso a venderla, fece vedere la sfortunata bestia ad un ipotetico acquirente. Questi, dopo averla attentamente ispezionata, le alzò la coda. Ma, ahimè, oltre i novantanove mali, scoprì che l'animale aveva anche il culo fradicio.
Nasce dall'episodio l'espressione:
<<Ti ridducisti comu a scecca i Sdeu … 99 mali e u culu fradiciu!>>, detta comunemente, in tono scherzoso a proposito di persona che è solita cantilenare una infinità di acciacchi.

Mattina, poco prima del risveglio, le idee sono fluide, pulite e definite. Scorrono, le afferri e riesci a comprenderle. Alcune affiorano. Tra queste un particolare di un dente cariato di Lei, poi quello che gli mancava nei molari, la dentatura pennellata di giallo nicotina e caffeina. I capelli lunghi e a stoppa. Il pensiero va all'alito non da fresie. Senza scordarsi della pelle del volto: inspessita, lucida, dal colore plumbeo. I tratti del volto aggravati, marcati, forse dal fumo, dal bere, dalle storie finite male e non seppellite. Almeno la nostra l'avevo seppellita Io.
L'idea della scecca di Sdeu vi affiora a canto, << Minchia!>> esclamo tra me e me, << Fradicia comu a scecca i Sdeu era..>>. Una risata allontana il tutto e la nuova mattinata può iniziare. Ora ci rido su..

L'immagine appartiene al rispettivo proprietario.


venerdì 27 giugno 2014

Maledetto Martedì .

Suona la sveglia, la solita, prima o poi mi dovrò decidere a cambiarla. Scappo in bagno appena salto giù dal letto. Torno in stanza e la prima cosa è alzare la serranda.
Un pezzo dei ferro dalle tapparelle mi cade in testa, più impaurito dal rumore di tonfo metallico che dolorante, mi sposto indietro. Raccolgo le idee ed accendo la luce sul comò. E' un pezzo dei ganci interni della serranda. “Poco male” dico tra me e me, “Dopo colazione lo sistemo”.
Finito il pasto mattutino, torno alle tapparelle. Fiducioso penso “E' solo uno, che vuoi che sia”. Prendo la mia cassetta degli attrezzi ed inizio a mettermi all'opera.
La situazione non si prospetta delle più rosee. Più ganci si sono staccati ed uno è rotto. Cerco i “nuovi” comprati ( non ricordo più quanti anni or sono) ed inizio ad armeggiare con l'immancabile cacciavite a taglio e le pinze, la mia preferita è quella con i becchi storti.  
Allineo i ganci usciti dagli incastri, sostituisco i rotti, sblocco i pezzi non allineati e dopo una montagna di polvere vecchia finitami nelle mani ed in faccia la tapparella è nuovamente funzionante.
Noto che i fermi di fine corsa sono stati divelti. Era una delle cose che mi ero prefisso di fare. “Mentre sono in ballo, balliamo!” una vocina dentro suggerisce. Guardo com'è stata la riparazione nell'altra serranda del balcone e decido di avventurarmi.
Il pezzo di legno messo da parte a Palermo per non ricordo cosa, sbuca dalla cassetta e farà al caso mio. Un breve consulto con mio padre e sono in garage a tagliarlo. Tagliato e limato, lo rifinisco con la pomice e viene un discreto lavoro. Nel frattempo ho avuto modo di parlare pure con una vicina.
Tinteggio il legno per non farlo saltare all'occhio, vado a montarlo e mi domando “Ma non è meglio passargli una mano di flatting?”. Cerco la vernice, ma invano. Inforcata la bici, direzione ferramenta. Forse sbaglio a comprare il prodotto top a 12,00€ ma so che la vernice servirà anche un domani per finire il lavoro ai remi del Kajak.
Tornato a casa tinteggio i due parallelepipedi di legno e li lascio al sole. Avranno modo di asciugarsi mentre pranzo. Alle 2 e mezza passate torno in garage, prendo le rondelle ricavate dai precedente fermi, i nuovi asciutti e passo a montarli. Una mezzoretta di lavoro, un'ultima passata di vernice nella parte seduta per l'asciugatura del fermo ed et voilà la serranda di 37 anni è nuovamente riparata e funzionante.
Non nego il forte scoramento presomi nel momento in cui ho capito che ci sarebbe voluto un bel po per raggiungere la soluzione, senza scordarsi la sensazione di privazione nel dover comprare la vernice. Fortunatamente gli attrezzi ho usato in parte quelli di mio padre ed in parte i miei. Il pezzo di legno veniva da Palermo, le viti sono state prese in prestito e la rondella è stata recuperata da un precedente pezzo e riadattata.
Il martedì non è uno dei miei giorni migliori, lo vivo male e non mi sento proprio bene. Sarà una coincidenza? O vorrà dire qualcosa? Forse che il Lunedì lo posso affrontare con meno impeto, non partendo in quarta, dato che la settimana è lunga e se mi sparo tutte le forze il primo giorno i restanti 5 che faccio? Vegeto. Fortunatamente ieri mi sono trattenuto un po, sentivo che stavo salendo dalla Domenica pomeriggio all'imbrunire e che il giorno dopo correvo con le cose e con la mente, testimone ne è la montagna di cose sbrigate per me, l'associazione e gli altri, ma ho da continuare a lavorare di più su me stesso, continuare ad ascoltarmi e fare le cose con calma.
Calma, non comodo. La stessa messa in campo per la manutenzione della bici a Bergamo e che era ed è il mio modo di fare ed essere. Non per forza lo devo vincolare ad una persona od un contesto, è mio e lo metto in campo Io e non quella persona.
Aggiungo che quella persona lo stesso giorno mi ha “sfanculizzato” su Facebook e mi ha tolto l'amicizia. Valevo molto, davvero. 

Bloody Sunday: Derry (Northen Ireland) Jenuary 30, 1972

Agamennone ed il Ricordo .

Forse Agamennone non ricordava più il sacrificio tremendo, disumano, di Ifigenia, vittima innocente immolata perchè si compisse l'impresa. Oppure aveva sepolto il ricordo nelle profondità più oscure dell'animo. Ricordava solo il torto subito, la congiura e il massacro, il tradimento della sposa.

Il ricordo diventa un oggetto quasi palpabile, con una sua dimensione, quasi reale, toccabile. Sembrerebbe che si possa modificare, toglierne, tagliarne le parti non consone, non più “buone”. Scartarlo, metterlo da parte e perchè no, seppellirlo nelle profondità dell'inconscio.

E' come giocare con il fuoco. Ci si brucia con la memoria

martedì 24 giugno 2014

Generosità .

Pag. 6 di “Milazzo Diario di Viaggio”.

Il ragazzo che ci guida, lui che è stato così cortese da prestare il proprio cappello alla mamma, racconta una storia che ha a che fare con la sua famiglia. Mi intenerisce, un po commuove. Sta dando a tutti noi, gratis, qualcosa che gli appartiene e ne apprezzo la generosità.

La storia è la seguente:

I miei nonni, sposini novelli, scesero a mare alla cala della “Rinella”. Vuoi per star da soli, vuoi per passare la giornata a mare, vuoi per altro. Scendere per i due fu facile, forse mia nonna era gravida di zio Nino e la passeggiata gli sarebbe servita per facilitare il parto. Una volta giunti in spiaggia e goduto il posto, non riuscirono più a trovar modo di risalire. Fu lì che il nonno dovette urlare, far gesti ed attirare l'attenzione dei pescatori che transitavano di lì per venire a farsi prendere e poter finalmente abbandonare la cala.

La storiella la raccontai in quel 19 agosto del 2013, quando con l'associazione AMA Camminare in Sintonia mi trovai a condurre un gruppo per la Fondazione Lucifero. Eravamo nei pressi di punta Mazza, dopo aver fatto capolino ai resti della baracca preistorica. Mi venne spontaneo raccontare la storiella ai partecipanti, un po come Pippo Napoli raccontava le sue radici storiche ai visitatori del Castello di Milazzo ed un po per esercitarmi all'arte oratoria del conduttore di gruppo.
Quel pezzo donato quel giorno, mesi dopo, me lo ritrovai servito davanti, da un'angolatura diversa e neutra. La cosa mi scombussolò un po, ma mi ritrovai un feed-back di una mia parte che presa nelle giuste dosi è una virtù, ma se abusata diventa una piaga dolorante: la generosità.
Diciamo che da quell'occasione in poi la mia generosità cerco di custodirla e metterci un freno. Non sempre porta cose buone questa virtù.

lunedì 23 giugno 2014

Mauro.


 
L'amore rubato- Luca Barbarossa .

Per ora è il periodo delle forti emozioni che si scontrano dentro. Una coppia di queste si ridesta quando metto a dormire il Tuo libro “Ti amo..”.
Le dita scorrono tra le pagine, mi ritrovo alla 220, come se volevano farmi arrivare lì. Complice una delle tante orecchie fatte al tomo, forse una memoria motoria impressa nelle membra.
Mi immergo nel torrente in piena di parole e mi lascio scivolare rigo dopo rigo. I fatti raccontati si fanno sempre più freddi ed attanagliano le budella. Un senso di sdegno e rabbia monta per l'ennesima volta leggendo nuovamente quelle frasi.
Immagino la scena a modo mio.
Una ragazzina ancora bimba al suo primo appuntamento. Con cura si prepara tra il bagno di casa e la sua stanzetta per quello che sarà il suo primo incontro fuori casa. La manina che fino a poco fa giocava con le Barbie, ora passa un accenno di matita negli occhi. Una madre dall'occhio attento accompagna la cucciola affinché non ecceda nel trucco, come un'ombra pronta ad aiutarla nei momenti decisionali le evita l'eccesso che non si addice ad una ragazza di casa. Immagino un padre seduto su una poltrona bianca che legge il quotidiano, scena di una domenica pomeriggio familiare.
La madre con lo sguardo segue la cosa più preziosa della vita e non gli sembra vero che quell'orchidea stia sbocciando sotto i suoi occhi. Il padre fa finta di esser impegnato con il giornale, ma con attenzione controlla da lontano tutto in modo che siano al sicuro e niente le intralci.
Suona il citofono, la Cucciola finisce di preparasi. Farsi aspettare è bene, ma troppo non è da buone Signorine. Un bacio alla mamma ed uno al babbo e preso il cappottino delle occasioni importanti esce. Troppo contenta, tutta eccitata per il primo appuntamento, non ce la fa ad attendere l'ascensore, prenderà le scale. A passo lungo e saltando gli ultimi gradini delle rampe come se fosse un gioco a chi arriva prima, raggiunge il pian terreno. Lì si ricompone e si sposta un ciocca di capelli dietro l'orecchio. Le brave ragazze sono sistemate ed ordinate.
Apre l'uscio del palazzo e Mauro con il suo sorriso l'aspetta in auto. Tutta contenta cammina a passo svelto verso di lui, ma qualcosa non quadra. “Dov'è l'utilitaria? Come mai è venuta con una familiare così grande a prendermi?” si domanda la cucciola.
Il dubbio viene ricacciato nel dimenticatoio, forse una passeggiata ed un gelato su a Città alta coroneranno le aspettative. Aperta la portiera e salita in auto, un forte odore di profumo le investe le narici, come se Mauro se se ne fosse fatto la doccia. Forse c'è anche un sottofondo di acido dietro alle note di profumo, sembrerebbe sudore . “Poco male!” Pensa tra se e se la Ragazzina, di sicuro la buona aria di Città Alta allontanerà il forte odore.
La station wagon parte. Va dritto, non inverte verso la strada per città alta che è solita fare assieme al suo Babbo. La cucciola tra se e se si dice “Non prenderemo la solita strada, ne faremo un'altra!”. Mauro è un po impacciato nel guidare, sarà per via dell'auto più grande, ma un impercettibile strato di umidità screzia il volante.
La macchina prosegue dritto, senza voltare per una decina di chilometri. Quando l'ultima svolta per raggiungere Città alta è lasciato alle spalle, hanno cambiato Comune.
Parcheggiano in uno spiazzale, la macchina viene spenta e dagli altoparlanti escono solo le note di 2 canzoni che girano di continuo da quando è salita a bordo. Una è di Phill Collins, l'altra non si sa.
La voce di Mauro si fa profonda, cavernosa, mentre le sue mani iniziano a scorrere sul corpo della Ragazza. L'odore acido in sottofondo si fa più marcato, mentre i finestrini si appannano ed il sole inizia a coricarsi dietro le montagne.
Le mani di Lui si fanno invadenti, fastidiose e toccano la Ragazza dove prima non era mai passato nessuno altro se non per il bagnetto da infante. Lei cerca di scansarsi, ma è bloccata sul sedile dal peso di lui. Il porco è sopra la bambina e come un coltello la colpisce lì sotto. Il dolore aggrava la sensazione di fastidio e sporco che ha cominciato ad assalirla quando Mauro le ha messo le mani di sopra. Sente come del bagnato sulla pelle, inopportuna, impaurita si raggomitola mentre Lui si stacca e si ricompone dall'altra parte. Il sole è tramontato definitivamente dietro le montagne ed una notte senza Luna avvolge lo spiazzale e l'animo della Donna.
La macchina viene accesa ed i pochi chilometri che la separano da casa vengono coperti in un nonnulla. L'auto si ferma sotto il palazzo, ne un ciao, ne altra parola esce dalla bocca di Lei. Lo sportello si apre ed escono Lei e le note di quelle due maledette canzoni suonate per tutto il pomeriggio. L'aria della sera le inonda le narici, allontanando i forti odori che l'hanno marcata. Non si volta nemmeno, anche perchè appena chiuso lo sportello, l'auto fugge.
Respira velocemente, come fosse un criceto. La bambina che è in lei vorrebbe accasciarsi per terra, piangere ed urlare, ma la Donna nata nello spiazzale la tiene in piedi, la ricompone e tremante le fa premere il pulsante del citofono di casa. Sa che avrà una decina di secondi abbondanti prima che la mamma le risponderà al microfono, per cui si schiarisce la gola e allontana ogni increspatura dalla voce che possa tradirla. I secondi sono più di una decina, sarà papà a rispondere:
<> Una voce maschile suona dall'altoparlante. <>. Scatta l'elettroserratura del portone. La Donna spinge l'anta trovandola più leggera dell'andata, trascinando nell'androne Lei e la Bimba. Aspetta l'ascensore, userà lo specchio nella cabina per sistemarsi. Una veloce sistemata ai capelli, ai vestiti, la borsetta coprirà ma macchia di bagnato che poi laverà nel dopocena, mentre i suoi guarderanno i programmi alla TV. Si stampa sul volto la maschera del sorriso che da ora in avanti poche volte toglierà.
Una madre radiosa le apre il portone, chiedendole << Com'è andata cucciola?>>, un tono tra l'incuriosito ed il riservato risponde <>. Un grosso sorriso simil - compiacente chiude l'ultima frase senza però avere il coraggio di guardare la madre in volto, mentre passa inosservata all'occhio scrutatore di controllo materno. << Se avessi bisogno di qualcosa chiamami. Sono con papà sul divano a guardare la Tele.>> << Va bene mamma, mi faccio una doccia>>.
Entra in bagno ed apre l'acqua calda della vasca, la riempie di liquido bollente mentre si spoglia a luci spente. Ha paura di vedere se quella pugnalata l'abbia deformata. Dopo che si è coperta con l'accappatoio accende una lucina, si guarda dove non sarà mai più una Bambina ed è diventata Donna. Entra nella vasca bollente e si immerge tutta fino alla bocca. Quando l'acqua si raffredda apre la doccia calda sperando che lo scroscio possa lavarle e renderle nuovamente pura l'anima.
Esce da sotto la doccia dopo essersi lavata con il sapone, il bagnoschiuma di papà, di mamma ed il suo. La mamma la chiama per la cena. Vorrebbe cancellare l'odore di acido che le ha marchiato la pelle. Per la macchia sui vestiti ci penserà dopo cena. Tanto di giocare con le bambole non ne ha proprio voglia. Si sente sporca.. Dentro.
Il materiale audio e video appartengono ai rispettivi proprietari.